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Appropriazione indebita: quando scatta il termine querela

La Corte di Cassazione ha chiarito che, nel reato di appropriazione indebita di un bene in leasing, il termine di 90 giorni per presentare la querela decorre non dal mancato pagamento dei canoni, ma dal momento in cui il proprietario ha la certezza della volontà del possessore di non restituire il bene. Nel caso esaminato, un imprenditore non aveva restituito un macchinario dopo la risoluzione del contratto. La Corte ha ritenuto la querela tempestiva perché presentata dopo un’infruttuosa richiesta formale di restituzione, considerata il momento in cui la volontà di appropriarsi del bene è diventata manifesta.

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Pubblicato il 18 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Appropriazione indebita: da quando si contano i 90 giorni per la querela?

Il reato di appropriazione indebita, disciplinato dall’art. 646 del codice penale, si verifica quando un soggetto si appropria di un bene mobile altrui di cui ha già il possesso. Un caso frequente riguarda i beni concessi in leasing: cosa succede se l’utilizzatore smette di pagare i canoni e non restituisce il bene? Soprattutto, da quale momento il proprietario può sporgere querela? Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha fornito un chiarimento fondamentale, stabilendo che il termine per la querela decorre non dal semplice inadempimento contrattuale, ma dal momento in cui si ha la prova certa della volontà di non restituire il bene.

I Fatti di Causa

Il caso riguardava un imprenditore che aveva preso in leasing un macchinario per la produzione di cialde di caffè. Successivamente, la sua società veniva dichiarata fallita. La società di leasing, non ricevendo più i canoni pattuiti, si era insinuata nel passivo fallimentare e aveva richiesto la restituzione del bene. Tuttavia, il macchinario non veniva ritrovato nei locali dell’azienda fallita. Solo in seguito, la società proprietaria inviava una diffida formale all’imprenditore, intimandogli la restituzione entro otto giorni. Di fronte al silenzio e alla mancata riconsegna, la società sporgeva querela per appropriazione indebita.

Il Motivo del Ricorso: La Presunta Tardività della Querela per Appropriazione Indebita

Nei gradi di merito, l’imprenditore veniva condannato. In sua difesa, proponeva ricorso in Cassazione sostenendo che la querela fosse tardiva. A suo dire, la società di leasing era a conoscenza della sparizione del bene da molto prima, ovvero da quando, durante la procedura fallimentare, aveva scoperto che il macchinario non era più reperibile. Secondo questa tesi, il termine di 90 giorni per presentare la querela sarebbe dovuto partire da quel momento e non dalla successiva diffida formale. Di conseguenza, la querela presentata mesi dopo sarebbe stata inefficace.

La Decisione della Corte: Il Termine Decorre dalla Certezza della Volontà Criminale

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, dichiarandolo inammissibile. I giudici hanno ribadito un principio consolidato in giurisprudenza: il termine per proporre la querela decorre non dalla data di commissione del reato, ma da quella in cui la persona offesa ha una conoscenza piena e certa di tutti gli elementi che costituiscono l’illecito penale.

Nel caso specifico dell’appropriazione indebita, questo momento coincide con la chiara percezione della volontà definitiva dell’imputato di invertire il possesso, cioè di comportarsi come proprietario del bene e di rifiutarsi ingiustificatamente di restituirlo.

Le Motivazioni

La Corte ha spiegato che la conoscenza del fallimento della società dell’imprenditore e la mancata reperibilità del bene nei locali aziendali non erano elementi sufficienti a integrare la piena conoscenza del reato. Tali circostanze potevano al più indicare una grave insolvenza e un inadempimento contrattuale. L’insinuazione al passivo fallimentare e la richiesta di restituzione in quella sede erano strumenti di tutela civilistica, volti a recuperare il credito e il bene, non la prova di un’avvenuta appropriazione indebita.

Il momento cruciale, secondo la Cassazione, è stato quello successivo all’invio della diffida formale. Solo quando l’imprenditore, ricevuta la richiesta diretta e personale di restituzione, ha lasciato scadere il termine senza adempiere, la società di leasing ha acquisito la “precisa consapevolezza” di trovarsi di fronte a una condotta appropriativa. È in quel momento che la volontà di non restituire il bene si è manifestata in modo inequivocabile, facendo scattare il termine di 90 giorni per la querela. La querela, presentata entro questo lasso di tempo, è stata quindi ritenuta tempestiva.

Le Conclusioni

Questa sentenza ha importanti implicazioni pratiche per le società di leasing e per chiunque conceda beni in uso a terzi. Viene chiarito che il mancato pagamento dei canoni o la temporanea irreperibilità del bene non fanno automaticamente scattare il termine per la querela per appropriazione indebita. Per far partire il cronometro dei 90 giorni, è necessaria la prova certa dell’intenzione del possessore di tenere il bene per sé. Spesso, questa prova si ottiene solo attraverso un atto formale, come una diffida a restituire, il cui inadempimento trasforma un semplice illecito civile in un reato penalmente perseguibile. Questo orientamento garantisce che l’azione penale venga intrapresa sulla base di una volontà criminale accertata e non di un mero sospetto o di un inadempimento contrattuale.

Da quale momento esatto decorre il termine di 90 giorni per sporgere querela per appropriazione indebita?
Il termine decorre non dalla commissione del reato, ma dal momento in cui la persona offesa acquisisce la piena e certa conoscenza di tutti gli elementi del fatto illecito, inclusa la definitiva volontà del possessore di non restituire il bene.

Il mancato pagamento dei canoni di leasing e la sparizione del bene sono sufficienti a far decorrere il termine per la querela?
No. Secondo la sentenza, questi elementi configurano un inadempimento contrattuale. Il termine per la querela decorre solo quando vi è la prova della volontà di appropriarsi del bene, che nel caso di specie è stata accertata solo dopo l’infruttuosa richiesta formale di restituzione.

Cosa si intende per ‘interversione del possesso’ nel contesto dell’appropriazione indebita?
Significa il cambiamento dell’atteggiamento psicologico di chi detiene il bene: da possessore per conto altrui (es. utilizzatore in leasing) a soggetto che si comporta come se fosse il vero proprietario, con la manifesta intenzione di non restituire più il bene.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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