Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 10966 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 10966 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Palermo il 07/01/1961 rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME di fiducia avverso la sentenza del 27/03/2024 della Corte di appello di Palermo, quarta sezione penale
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
preso atto che il procedimento si celebra con contradditorio scritto, senza la presenza delle parti, in mancanza di rituale richiesta di trattazione orale secondo quanto disposto dagli artt. 610, commi e 5 e 611, comma 1, cod. proc. pen.; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria scritta con la quale il sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata;
preso atto che il difensore del ricorrente non ha depositato conclusioni scritte;
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’impugnata sentenza, la Corte di appello di Palermo, in parziale riforma della pronuncia emessa in data 08/11/2021 dal Tribunale di Palermo, così statuiva: -confermava il giudizio di responsabilità nei confronti di COGNOME NOME per il contestato delitto di cui all’art. 646 cod. pen. per essersi appropriato, al fine procurarsi un ingiusto profitto, di una macchina per confezionamento cialde monodose di caffè, nella sua disponibilità in seguito ad un contratto di leasing, senza provvedere alla riconsegna della stessa a fronte della richiesta avanzata dalla società proprietaria per mancato pagamento dei canoni di locazione; – riduceva la pena inflitta a mesi dieci di reclusione ed euro 300,00 di multa.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso in cassazione l’imputato, tramite il difensore fiduciario, articolando un unico motivo con il quale si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. b) e e), cod. proc. pen. l’erronea applicazione della legge penale con riferimento agli artt. 124 cod. pen e 336 cod. proc. pen. e l’illogicità della motivazione.
Rileva il ricorrente che la querela, sporta in data 9 aprile 2019 dalla società RAGIONE_SOCIALE è tardiva.
La Corte di appello ha ritenuto che il termine di 90 giorni per la proposizione di tale atto dovesse farsi decorrere dal giorno 19 gennaio 2014 e cioè dalla infruttuosa scadenza del termine di otto giorni per la restituzione del bene locato indicati nella formale diffida (con contestuale risoluzione del contratto di leasing per mancato pagamento dei canoni mensili) notificata all’imputato il giorno 11 gennaio 2019.
In realtà la società locatrice era venuta a conoscenza della sparizione di tale bene già in data 27 agosto 2018 allorquando, a seguito degli accertamenti esperiti, aveva appreso che nel febbraio di quell’anno era stata iscritta presso il Tribunale di Palermo una procedura fallimentare a carico della RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE di cui l’imputato era stato nominato liquidatore; a seguito di tale verifica si era quindi insinuata nel passivo fallimentare ed aveva chiesto la restituzione del macchinario concesso, ma tale istanza era stata respinta dal giudice delegato in quanto il bene non era stato materialmente rinvenuto presso la sede della fallita.
La RAGIONE_SOCIALE aveva quindi avuto contezza della volontà dell’imputato di detenere il bene “uti dominus” in data ben precedente all’11 gennaio 2019, giorno in cui aveva inviato all’imputato la messa in mora per la restituzione del bene.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza dell’unico motivo proposto.
Va ricordato che il termine per la proposizione della querela decorre non dalla data di commissione del reato, ma da quella (eventualmente posteriore) in cui la persona offesa sia venuta a conoscenza del fatto costituente l’illecito penale, intendendosi per tale la piena cognizione di tutti gli elementi che consentono la valutazione dell’esistenza dell’illecito.
Con specifico riferimento alla fattispecie di appropriazione indebita, la consolidata giurisprudenza di legittimità – alla quale si intende dare continuità – ha affermato che detto termine decorre dal momento in cui la persona offesa ha chiara conoscenza della definitiva volontà dell’imputato di invertire il possesso del bene e dell’ingiustificato rifiuto alla restituzione dello stesso (cfr. ex multis, Sez. 2, n. 2863 del 27/01/1999, Martino C., Rv. 212867; Sez. 2 n. 18860 del 24/01/2012, Casamonica, Rv. 252813; Sez. 5, n. 28036 del 04/04/2013, Besana, Rv. 255572; Sez. 2 n. 29619 del 28/05/2019, D’urso, Rv. 276732).
Nel caso di specie la Corte di appello ha ritenuto tempestiva la querela in atti presentata il 9 aprile 2019 e dalla quale ha avuto avvio il presente procedimento. Al riguardo, ha affermato (pagg. da 1 a 4 della sentenza impugnata) che la persona offesa Unicredit Leasing s.p.a. aveva avuto effettiva contezza della volontà appropriativa dell’imputato solo il 19 gennaio 2019 e cioè alla scadenza del termine di otto giorni indicato nella formale diffida notificata a Pensavecchia in data 11 gennaio 2019 , prima di allora, la società locatrice aveva avuto notizia unicamente dell’inadempimento contrattuale (il mancato pagamento dei canoni) nonché dell’intervenuto fallimento della RAGIONE_SOCIALE, procedura nella quale si era insinuata avanzando anche istanza di restituzione del macchinario al giudice delegato che l’aveva respinta poiché non rinvenuto nei locali della fallita.
Con tale argomentare, la Corte di appello ha fatto buongoverno dei principi di diritto soprarichiamati.
La conoscenza dell’intervenuto fallimento della società RAGIONE_SOCIALE era circostanza dalla quale poter semplicemente dedurre la condizione di strutturale insolvibilità dell’imputato e la successiva insinuazione al passivo non era che lo strumento volto a far valere in via giudiziale l’inadempimento contrattuale relativo al mancato introito dei canoni del contratto di leasing; quanto all’esito negativo dell’istanza di restituzione avanzata in seno alla procedura fallimentare, tale circostanza attestava agli occhi della querelante la mera assenza del bene locato nei locali dell’azienda fallita.
Solo con l’infruttuosa richiesta di restituzione rivolta direttamente all’imputato che riceveva a proprie mani la formale diffida, la persona offesa acquisiva la precisa consapevolezza di trovarsi di fronte a una condotta appropriativa e cioè della effettiva volontà di costui di non restituire e, quindi, della interversione d possesso.
Alla inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali relative al presente grado di giudizio e al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 08/01/2025.