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Appropriazione indebita: quando scatta il termine?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5877/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per appropriazione indebita di un bene in leasing. La Corte ha ribadito che il termine per sporgere querela non decorre dalla risoluzione del contratto, ma dal momento in cui la persona offesa acquisisce piena consapevolezza della volontà dell’agente di non restituire il bene, comportandosi come se ne fosse il proprietario. Rigettate anche le richieste di sospensione condizionale della pena e pene sostitutive.

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Pubblicato il 31 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Appropriazione Indebita: Da Quando Decorre il Termine per la Querela?

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 5877/2024) affronta un tema cruciale nel reato di appropriazione indebita: la decorrenza del termine per la proposizione della querela. La decisione chiarisce che il momento rilevante non è la semplice violazione contrattuale, ma l’istante in cui la vittima ha piena consapevolezza della volontà dell’agente di tenere il bene per sé. Analizziamo insieme questo importante principio.

Il Caso in Esame: La Mancata Restituzione del Bene in Leasing

Il caso riguarda un soggetto condannato in primo e secondo grado per il reato di cui all’art. 646 c.p. per non aver restituito un bene detenuto in forza di un contratto di leasing. La difesa dell’imputato aveva proposto ricorso in Cassazione basandosi su tre motivi principali:

1. Tardività della querela: Secondo il ricorrente, la querela, presentata il 21 ottobre 2015, era tardiva. La volontà di non restituire il bene sarebbe stata chiara già il 5 luglio dello stesso anno, rendendo ininfluente la successiva messa in mora.
2. Mancata concessione della sospensione condizionale della pena.
3. Mancata concessione delle pene sostitutive.

Il cuore della controversia risiedeva quindi nella corretta individuazione del dies a quo, ovvero del giorno dal quale far decorrere il termine di tre mesi per sporgere querela.

La Decisione della Cassazione sull’Appropriazione Indebita

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato e reiterativo di argomenti già vagliati e respinti nei gradi di merito. La decisione si fonda su principi giurisprudenziali consolidati e offre chiarimenti essenziali.

Il Momento Decisivo: La Piena Conoscenza del Fatto

Il punto centrale della sentenza riguarda la tempestività della querela. La Corte ribadisce un orientamento costante: il termine per proporre querela decorre non dal momento in cui il reato si consuma, ma da quello in cui la persona offesa ha raggiunto la piena cognizione di tutti gli elementi che consentono la valutazione dell’esistenza del reato.

Nel contesto dell’appropriazione indebita di un bene in leasing, la Cassazione precisa che il semplice inadempimento dei canoni, che porta alla risoluzione del contratto, non integra di per sé il reato. Il delitto si perfeziona solo quando il detentore manifesta in modo inequivocabile la volontà di possedere il bene uti dominus (come se fosse il proprietario), non restituendolo senza giustificazione a seguito di una richiesta formale. Di conseguenza, i giudici hanno ritenuto che la messa in mora di settembre 2015 fosse l’evento che ha reso la vittima pienamente consapevole del reato, rendendo la querela di ottobre tempestiva.

Il Rifiuto della Sospensione Condizionale e delle Pene Sostitutive

Anche gli altri due motivi di ricorso sono stati rigettati. La Corte ha evidenziato come i giudici di merito avessero già fornito una motivazione logica e congrua per negare i benefici richiesti. La decisione si basava su una valutazione negativa della personalità dell’imputato e sulla gravità del danno causato, in applicazione dei criteri stabiliti dall’art. 133 del codice penale.

le motivazioni

Le motivazioni della Corte si ancorano a un principio di diritto consolidato. Si distingue nettamente tra l’inadempimento contrattuale (la mancata paga dei canoni di leasing) e la condotta penalmente rilevante. Quest’ultima emerge solo quando si manifesta la volontà di interversione del possesso, ovvero l’intenzione di comportarsi come proprietario del bene che si detiene per conto di altri. Il termine per la querela, pertanto, non può che decorrere dal momento in cui questa intenzione diventa palese e conosciuta dalla vittima, poiché solo allora essa può valutare in modo completo l’offesa subita. Per quanto riguarda il diniego dei benefici di legge, la Corte ha sottolineato la correttezza del giudizio di merito, che aveva adeguatamente ponderato gli indici di cui all’art. 133 c.p. (gravità del reato e capacità a delinquere del colpevole) per escludere la meritevolezza dei benefici richiesti.

le conclusioni

Questa sentenza conferma che, nel reato di appropriazione indebita, l’aspetto determinante per la procedibilità è la percezione soggettiva della persona offesa. La legge tutela la vittima concedendole il tempo necessario per acquisire piena consapevolezza della lesione del proprio diritto, a partire dal momento in cui la volontà criminale dell’agente si manifesta in modo inequivocabile. Per le aziende che operano con contratti di leasing o noleggio, ciò significa che la semplice risoluzione contrattuale non fa scattare automaticamente il conto alla rovescia per la querela. È la mancata restituzione a seguito di una formale richiesta (come una messa in mora) a costituire, nella maggior parte dei casi, il momento dal quale la volontà di appropriarsi del bene diventa certa e, di conseguenza, il reato è pienamente conoscibile.

Quando inizia a decorrere il termine per presentare una querela per appropriazione indebita?
Secondo la sentenza, il termine non decorre dal momento della consumazione del reato (es. la risoluzione di un contratto di leasing), ma dal momento in cui la persona offesa acquisisce la piena e completa conoscenza di tutti gli elementi del reato, inclusa la chiara volontà dell’autore di tenere il bene per sé.

Il mancato pagamento dei canoni di leasing è di per sé appropriazione indebita?
No. La Corte chiarisce che il mero inadempimento contrattuale, pur causando la risoluzione del contratto, non integra automaticamente il reato. L’appropriazione indebita si perfeziona solo quando chi detiene il bene manifesta la volontà di possederlo ‘uti dominus’ (come fosse il proprietario), non restituendolo senza giustificazione dopo una specifica richiesta.

Perché sono stati negati la sospensione condizionale della pena e le pene sostitutive?
I giudici di merito hanno negato tali benefici basandosi su una valutazione degli elementi indicati dall’art. 133 del codice penale. Nello specifico, hanno considerato la personalità negativa dell’imputato e la gravità del danno causato, ritenendo che non fosse meritevole di accedere a misure alternative alla detenzione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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