Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 289 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 289 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI ROMA nel procedimento a carico di: COGNOME NOME, nato a Roma il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 07/06/2024 della Corte d’appello di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME, il quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato;
letta la memoria dell’AVV_NOTAIO, difensore della parte civile COGNOME NOME, il quale ha chiesto l’accoglimento del ricorso e il conseguente annullamento della sentenza impugnata;
letta la memoria dell’AVV_NOTAIO, difensore dell’imputato NOME, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso;
letta l’ulteriore memoria dell’AVV_NOTAIO, difensore della parte civile COGNOME NOME, di replica alle conclusioni del Pubblico Ministero, con la quale si è insistito per l’accoglimento del ricorso e l’annullamento della sentenza impugnata;
lette le conclusioni dello stesso AVV_NOTAIO, difensore della parte civile RAGIONE_SOCIALE NOME, il quale ha concluso chiedendo che la sentenza impugnata
venga annullata, anche in punto di statuizioni civili, e che l’imputato sia condannato alla rifusione delle spese del presente giudizio, come da nota che allega;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 07/06/2024, la Corte d’appello di Roma, in riforma della sentenza del 24/11/2023 del Tribunale di Roma – con la quale NOME COGNOME era stato condannato alla pena di otto mesi di reclusione ed C 600,00 di multa per il reato di appropriazione indebita ai danni di NOME COGNOME – assolveva il COGNOME da tale reato perché il fatto non sussiste, revocando le statuizioni civili del sentenza impugnata.
Secondo il capo d’imputazione, il reato di appropriazione indebita era stato contestato all’imputato perché, «allo scopo di procurarsi un ingiusto profitto, dopo aver ricevuto dalla Banca RAGIONE_SOCIALE la restituzione della complessiva somma di 11.004,52 euro quale rimborso dei ratei per l’estinzione anticipata del mutuo ipotecario gravante sul 50% di un immobile ceduto dal NOME a COGNOME NOME con atto notarile del 21.7.2017 nel quale veniva stabilito che eventuali rimborsi assicurativi inerenti al predetto mutuo, per espressa volontà delle parti contraenti, sono da riconoscere al signor COGNOME NOME, consegnava a quest’ultimo unicamente la somma di 131,81 euro, trattenendo per sé, nonostante le reiterate richieste della persona offesa, la somma residua di 10.872,71 euro, così indebitamente impossessandosene».
Avverso la menzionata sentenza del 07/06/2024 della Corte d’appello di Roma, ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale presso la stessa Corte d’appello, affidato a un unico motivo, con il quale deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) , cod. proc. pen., violazione di legge e vizio di motivazione, sotto il profilo del travisamento della prova per omissione, con riguardo alla ritenuta insussistenza del contestato reato di appropriazione indebita.
Il ricorrente lamenta che la Corte d’appello di Roma, nell’escludere che vi fosse stata un’interversione del possesso della somma di C 10.872,71 che l’imputato aveva ricevuto dalla banca RAGIONE_SOCIALE s.p.a. quale rimborso dei ratei di premio delle polizze assicurative concluse a seguito dell’estinzione anticipata del mutuo ipotecario che gravava sull’immobile compravenduto, e nel ritenere che lo stesso imputato fosse perciò responsabile di un mero inadempimento civilistico, avrebbe omesso di considerare che il COGNOME aveva ricevuto la suddetta somma dalla banca il 24/07/2017, cioè dopo che, con la stipula del mutuo ipotecario, che era cointestato all’imputato e alla persona offesa, e, poi, con il contratto d
compravendita dell’immobile del 21/07/2017 – il cui art. 4 stabiliva che «eventuali rimborsi assicurativi inerenti al mutuo di cui sopra, per espressa volontà delle parti contraenti, sono da riconoscere al signor COGNOME NOME» – era già «sorto ab origine» il vincolo di destinazione della suddetta somma al COGNOME, con la conseguenza che, poiché essa era entrata nel patrimonio dell’imputato dopo che il menzionato vincolo di destinazione era già sorto, il mancato versamento della medesima al COGNOME integrerebbe il reato di appropriazione indebita.
Il Pubblico Ministero presso la Corte di cassazione ha chiesto che il ricorso sia rigettato, sulla considerazione che, diversamente da quanto è sostenuto dal ricorrente, il menzionato obbligo di cui all’art. 4 del contratto di compravendita dell’immobile non potrebbe essere interpretato come un vincolo di destinazione “originario” della somma corrispondente ai rimborsi assicurativi.
La parte civile NOME COGNOME ha depositato una memoria, con la quale ha motivatamente condiviso le argomentazioni esposte nel ricorso del Procuratore generale presso la Corte d’appello di Roma, chiedendo l’accoglimento del ricorso.
Anche l’imputato NOME COGNOME ha depositato una memoria, con la quale ha chiesto che il ricorso sia rigettato.
Il COGNOME deduce anzitutto che egli avrebbe correttamente versato al COGNOME i ratei di premio dell’unica delle tre polizze effettivamente «inerent[e] il mutuo» come era previsto dall’art. 4 del contratto di compravendita, cioè quella contro i danni da incendio e scoppio di gas, al netto dell’importo della sanzione che gli era stata irrogata dall’RAGIONE_SOCIALE delle entrate a causa del fatto che il COGNOME avrebbe detratto dalle proprie imposte sui redditi il 50% degli interessi sul mutuo che era stato accesso per l’acquisto dell’immobile nonostante gli stessi interessi fossero stati totalmente pagati dal NOME. Quanto ai ratei di premio delle altre due polizze «danni e vita, personali», essi non furono versati al RAGIONE_SOCIALE in quanto sarebbero stati «inerenti la persona che ha stipulato anche la polizza e non solo il mutuo e la compravendita». L’eventuale dubbio o anche errore nell’interpretazione della menzionata clausola del contratto di compravendita non potrebbe che escludere il dolo del reato.
Il NOME deduce in secondo luogo la mancanza dell’elemento dell’appropriazione indebita costituito dall’altruità della somma, atteso che i vincolo di destinazione della stessa, la cui violazione integra il reato d appropriazione indebita, non potrebbe essere identificato con un mero obbligo di natura civilistica assunto con la stipula di un contratto, come era appunto avvenuto nel caso di specie con la stipula del contratto di compravendita dell’immobile.
La parte civile ha depositato un’ulteriore memoria, di replica alle conclusioni del Pubblico Ministero presso la Corte di cassazione, con la quale, sulla premessa che rileverebbe «il momento in cui il bene entra nel patrimonio dell’accipiens, se
prima o dopo il sorgere del vincolo di destinazione, al fine di qualificarne l condotta come penalmente rilevante», sostiene che, nel caso in esame, il reato di appropriazione indebita si sarebbe integrato, atteso che, «già sorto il vincolo di destinazione con la compravendita [del 21/07/2017], viene a materializzarsi l’accrescimento economico [il 24/07/2017] successivamente al vincolo di destinazione (contrattuale)».
CONSIDERATO IN DIRITTO
L’unico motivo non è fondato.
È anzitutto necessario riepilogare i fatti, che sono, sinteticamente, questi.
Con contratto di compravendita del 21/07/2017, l’imputato NOME COGNOME cedeva la metà della proprietà di un immobile alla persona offesa NOME COGNOME, il quale, essendo già proprietario dell’altra metà, ne diveniva così l’unico proprietario (art. 1 del contratto di compravendita). Il prezzo della compravendita veniva regolato dal COGNOME mediante la consegna al COGNOME di un assegno circolare di importo corrispondente allo stesso prezzo (art. 2 del contratto di compravendita) e che era destinato all’estinzione del mutuo a garanzia del quale gravava sull’immobile un’ipoteca (art. 4 del contratto di compravendita). Sempre nell’art. 4 del contratto di compravendita, le parti stabilivano, come si è già visto che «eventuali rimborsi assicurativi inerenti al mutuo di cui sopra, per espressa volontà delle parti contraenti, sono da riconoscere al signor COGNOME NOME».
Mentre il menzionato mutuo ipotecario era stato acceso dal NOME e dal COGNOME, le polizze assicurative che si conclusero a seguito dell’estinzione anticipata dello stesso mutuo erano intestate al solo COGNOME. Per tale ragione, estinto il mutuo, RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, il 24/07/2017, aveva rimborsato i ratei di premio delle polizze concluse in favore dell’assicurato COGNOME, accreditandoli sul suo conto corrente.
Il COGNOME, avuta notizia che la banca aveva rimborsato al NOME la somma di C 11.004,52 relativa ai ratei di premio delle menzionate polizze, richiedeva tale somma all’imputato, il quale, dopo essersi in un primo momento mostrato disponibile, successivamente versava al COGNOME soltanto la somma di C 131,81.
Il COGNOME aveva anche scritto a RAGIONE_SOCIALE chiedendo che gli fossero riconosciute le somme a titolo di rimborso dei ratei di premio delle polizze concluse, ma la banca gliele aveva negate, rispondendogli, appunto, che l’unico legittimato a riceverle era, per la ragione che si è detta, il COGNOME, al quale stesse somme erano state perciò riconosciute mediante versamento di esse sul suo conto corrente.
Così sinteticamente riepilogati i fatti, si deve rammentare come la Corte di cassazione abbia recentemente ribadito che, «in tema di possesso di somme di
denaro la Suprema Corte, con affermazione risalente nel tempo ma ancora valida stante l’immutabilità del quadro normativo di riferimento, ha affermato che la specifica indicazione del “denaro”, contenuta nell’art. 646 c.p., rende evidente che il legislatore ha inteso espressamente precisare, allo scopo di evitare incertezze e di reprimere gli abusi e le violazioni del possesso del NOME, che anche questo può costituire oggetto del reato di appropriazione indebita, in conseguenza del fatto che anche il NOME, nonostante la sua ontologica fungibilità, può trasferirsi nel semplice possesso, senza che al trasferimento del possesso si accompagni anche quello della proprietà.
Ciò di norma si verifica, oltre che nei casi in cui sussista o si instauri rapporto di deposito o un obbligo di custodia, nei casi di consegna del NOME con espressa limitazione del suo uso o con un preciso incarico di dare allo stesso una specifica destinazione o di impiegarlo per un determinato uso: in tutti questi casi il possesso del NOME non conferisce il potere di compiere atti di disposizione non autorizzati o, comunque, incompatibili con il diritto poziore del proprietario e, ove ciò avvenga, si commette il delitto di appropriazione indebita (Sez. 2, n. 4584 del 25/10/1972, Rv. 124301).
Ne deriva che ove il mandatario violi il vincolo fiduciario che lo lega al mandante e destini le somme a scopi differenti da quelli predeterminati può astrattamente integrarsi una condotta di appropriazione indebita» (Sez. 2, n. 43634 del 23/09/2021, COGNOME, Rv. 282351-01, relativa a una fattispecie concernente un’operazione di cartolarizzazione di provviste finanziarie di una società, di cui era stato deliberato l’accantonamento per il pagamento di oneri fiscali, mediante l’emissione di assegni bancari in favore del nuovo amministratore, da questi successivamente negoziati. Corsivo aggiunto).
La Corte di cassazione ha altresì precisato, sempre in tempi relativamente recenti, che, «ai fini della configurazione dell’appropriazione indebita nei confronti di beni fungibili e, dunque del denaro, è essenziale che alla “disponibilità” del bene si accompagni l’accertamento di un vincolo di destinazione che deve “accompagnare” la detenzione dal momento del conferimento del bene, non essendo possibile interpretare come “vincolo di destinazione originario” un obbligo di natura civilistica assunto con la stipula di un contratto […], cosicché, «[i]n sintesi: la appropriazione indebita, o il peculato di un bene fungibile possono essere configurati solo nei casi in cui il bene sia ab origine conferito dal proprietario con un vincolo di destinazione, che viene violato dal depositario» (Sez. 2, n. 49463 del 27/09/2018, Pagan, Rv. 274888-01. Corsivo aggiunto).
La Corte d’appello di Roma ha fatto corretta applicazione di tali principi.
Infatti, nel caso in esame, la somma di denaro in questione fu versata da RAGIONE_SOCIALE al NOME sulla base dei contratti di assicurazione dei quali egli
era l’esclusivo intestatario, sicché la stessa somma era, perciò, di esclusiva proprietà dell’imputato.
La medesima somma, inoltre, fu conferita da RAGIONE_SOCIALE allo stesso imputato senza alcun originario vincolo di destinazione di essa.
Contrariamente a quanto è sostenuto dal ricorrente (e dalla parte civile), infatti, alla luce di quanto si è esposto, non è possibile interpretare come vincolo di destinazione “originario” l’obbligo assunto dal NOME con il distinto contratto di compravendita dell’immobile di «riconoscere al signor COGNOME» «eventuali rimborsi assicurativi inerenti al mutuo», atteso che tale obbligo non scaturisce dal conferimento del denaro da parte del proprietario con un vincolo di destinazione ma costituisce un obbligo di natura civilistica assunto con la stipula del distint contratto di compravendita.
Si tratta, perciò, del mero obbligo civilistico (non “originario”) di corrisponder al COGNOME una somma, il cui ammontare è determinato per relationem, di importo corrispondente ai menzionati rimborsi e la cui violazione, come è stato esattamente affermato dalla Corte d’appello di Roma, può integrare esclusivamente un illecito civile, ma non gli estremi del reato di appropriazione indebita, atteso il difetto di un’interversione del possesso di una somma che fosse “vincolata” ab origine.
Pertanto, il ricorso deve essere rigettato.
Tale esito esclude che si debba fare luogo alla condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile, come era stato da questa richiesto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso il 13/12/2024.