Appropriazione Indebita: Limiti del Ricorso e Tenuità del Fatto
L’ordinanza n. 7886/2025 della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti sul reato di appropriazione indebita e sui limiti del giudizio di legittimità. La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile un ricorso, ribadendo principi consolidati sia in materia processuale che sostanziale, in particolare riguardo all’impossibilità di rivalutare i fatti in Cassazione e all’inapplicabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto a fronte di un danno economico rilevante.
I Fatti alla Base della Controversia
La vicenda processuale ha origine da una condanna per il reato di appropriazione indebita confermata dalla Corte d’Appello di Bari. L’imputato, ritenuto responsabile di essersi illecitamente appropriato di beni o denaro altrui, ha deciso di impugnare la sentenza di secondo grado presentando ricorso per Cassazione. La difesa ha articolato il ricorso su due motivi principali, contestando sia la valutazione delle prove che il mancato riconoscimento di una specifica causa di non punibilità.
Analisi dei Motivi del Ricorso per Appropriazione Indebita
Il ricorrente ha basato la sua impugnazione su due distinti argomenti:
1. Primo Motivo: Violazione delle norme sulla valutazione della prova (art. 192 c.p.p.) e vizio di motivazione. La difesa ha sostenuto che la condanna fosse basata su una errata interpretazione delle prove e su una valutazione inattendibile delle dichiarazioni della persona offesa. In sostanza, si chiedeva alla Cassazione una rilettura del materiale probatorio.
2. Secondo Motivo: Violazione dell’art. 131-bis c.p. e vizio di motivazione riguardo al mancato riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. Secondo il ricorrente, la condotta, anche se ritenuta illecita, era talmente lieve da non meritare una sanzione penale.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, dichiarandolo inammissibile. La decisione si fonda su argomentazioni nette e in linea con l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità.
Le Motivazioni
La Corte ha ritenuto il primo motivo di ricorso aspecifico e reiterativo. I giudici hanno chiarito che il ricorso in Cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito della vicenda. La Suprema Corte non ha il potere di riesaminare i fatti o di sostituire la propria valutazione delle prove a quella, logica e congrua, espressa dai giudici di primo e secondo grado. Poiché la Corte d’Appello aveva fornito una motivazione esaustiva e coerente, basata su una pluralità di elementi (confermando la cosiddetta “doppia conforme”), ogni ulteriore doglianza sui fatti era preclusa.
Per quanto riguarda il secondo motivo, la Corte ha confermato la correttezza della decisione della Corte d’Appello di escludere l’applicabilità dell’art. 131-bis c.p. La motivazione è chiara: la particolare tenuità del fatto non può essere riconosciuta quando il danno patrimoniale subito dalla persona offesa è significativo. Nel caso di specie, il valore del danno, ammesso dallo stesso ricorrente come “non inferiore ai 5.000,00 euro”, è stato considerato un ostacolo insuperabile all’applicazione di tale istituto. La significatività del danno esclude a priori la tenuità dell’offesa.
Le Conclusioni
L’ordinanza ribadisce due principi fondamentali. Primo, il giudizio di Cassazione è un giudizio di legittimità, non di fatto: non si possono contestare le ricostruzioni fattuali e probatorie se la motivazione dei giudici di merito è immune da vizi logici o giuridici. Secondo, l’istituto della particolare tenuità del fatto, pur essendo uno strumento importante per la deflazione del sistema penale, non può trovare applicazione in casi di appropriazione indebita o altri reati patrimoniali che cagionano un danno economico di rilievo. La decisione, pertanto, condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, confermando in via definitiva la sua responsabilità penale.
È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove e la credibilità di un testimone?
No, la Corte di Cassazione non può riesaminare i fatti o rivalutare le prove. Il suo compito è verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione della sentenza precedente. Un ricorso che si limita a riproporre le stesse questioni di fatto già decise in appello è considerato inammissibile.
Quando si può applicare la causa di non punibilità per ‘particolare tenuità del fatto’ nel reato di appropriazione indebita?
Secondo la decisione, la ‘particolare tenuità del fatto’ non può essere applicata se il danno economico causato alla vittima è significativo. Nel caso specifico, un danno ‘sicuramente non inferiore ai 5.000,00 euro’ è stato ritenuto sufficiente per escludere questa causa di non punibilità.
Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Se il ricorso è dichiarato inammissibile, la condanna diventa definitiva. Inoltre, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata in 3.000 euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 7886 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 7886 Anno 2025
Presidente: IMPERIALI NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 14/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il 10/06/1962
avverso la sentenza del 13/05/2024 della CORTE APPELLO di BARI
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
CONSIDERATO IN FATTO E IN DIRITTO
Letto il ricorso di COGNOME NOME;
ritenuto che il primo motivo di impugnazione con cui il ricorrente vizio di violazione degli artt. 192 cod. proc. pen e 646 cod. pen. nonché vizio di motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità per il delitto di appropriazione indebita ed all’attendibilità della persona offesa, è aspecifico in quanto reiterativo di medesime doglianze inerenti alla ricostruzione dei fatti e all’interpretazione del materiale probatorio già espresse in sede di appello ed affrontate in termini precisi e concludenti dalla Corte territoriale nonché articolati esclusivamente in fatto e, quindi, proposto al di fuori dei limiti del giudizio di legittimità, restando estranei ai poteri della Corte di cassazione quello di una rilettura degli elementi probatori posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti;
rilevato che i giudici di appello, con motivazione esaustiva e conforme alle risultanze processuali, che riprende le argomentazioni del giudice di primo grado come è fisiologico in presenza di una doppia conforme, hanno indicato la pluralità di elementi idonei a dimostrare la penale responsabilità del ricorrente in ordine al reato di appropriazione indebita (vedi pagg. 3 della sentenza impugnata), tale ricostruzione, in nessun modo censurabile sotto il profilo della completezza e della razionalità, è fondata su apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede;
rilevato che la versione dei fatti offerta dalla persona offesa risulta essere stata valutata dai giudici dell’appello in maniera logica, congrua e lineare, anche in considerazione della portata dei rimanenti elementi di prova che non hanno evidenziato alcun profilo di contrasto significativo con le dichiarazioni rese dalla persona offesa né alcun interesse all’accusa da parte della stessa (vedi pagina 6 della sentenza impugnata);
rilevato che il secondo motivo con il quale il ricorrente lamenta violazione dell’art. 131-bis, cod. pen. e vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento della causa di esclusione della punibilità è aspecifico e non consentito in sede di legittimità. La Corte di appello ha correttamente escluso l’applicazione del disposto di cui all’art. 131-bis cod. pen., non ravvisando nella condotta della ricorrente gli estremi della tenuità del fatto in considerazione del valore significativo del danno subito dalla persona offesa -sicuramente non inferiore ai 5.000,00 euro come ammesso dallo stesso ricorrente- (vedi pag. 7 della sentenza impugnata);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2025.