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Appropriazione indebita: quando il danno non è tenue

La Corte di Cassazione conferma la condanna per appropriazione indebita a carico di un soggetto che non aveva restituito uno smartphone e una carta prepagata. La Corte ha respinto la richiesta di applicare la non punibilità per particolare tenuità del fatto, a causa del rilevante valore economico dei beni sottratti, superiore complessivamente a duemila euro.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Appropriazione Indebita: Anche uno Smartphone può Costare una Condanna

Il reato di appropriazione indebita si configura quando una persona si impossessa di un bene mobile altrui di cui ha già il possesso, con lo scopo di trarne un profitto ingiusto. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre uno spunto interessante per capire quando questo reato non può essere considerato di lieve entità, anche se riguarda oggetti di uso comune come un cellulare. Analizziamo insieme la decisione per comprenderne i principi e le implicazioni pratiche.

I Fatti del Caso: La Mancata Restituzione di Smartphone e Carta Prepagata

Il caso riguarda un individuo condannato per essersi appropriato indebitamente di un telefono cellulare e di una carta prepagata appartenenti a un’altra persona. Nonostante le ripetute richieste di restituzione da parte del legittimo proprietario, l’imputato non solo non ha mai provveduto a riconsegnare i beni, ma si è reso irreperibile, eludendo ogni tentativo di contatto. Questo comportamento è stato interpretato dai giudici come un chiaro indice della sua volontà di appropriarsi definitivamente degli oggetti per un proprio tornaconto.

Il Percorso Giudiziario e le Censure dell’Imputato

La vicenda giudiziaria ha visto una prima condanna da parte del Tribunale, parzialmente modificata in Appello. La Corte d’Appello, pur escludendo l’aggravante della recidiva, aveva confermato la responsabilità penale per il delitto di appropriazione indebita, comminando una pena di quattro mesi di reclusione e 200 euro di multa.

L’imputato ha quindi proposto ricorso in Cassazione, basandolo su due motivi principali:
1. La contestazione della sussistenza stessa della condotta appropriativa.
2. La richiesta di applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis del codice penale.

L’Analisi della Cassazione sull’Appropriazione Indebita

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo entrambe le censure difensive con argomentazioni nette.

La Sussistenza della Condotta

Sul primo punto, i giudici hanno ritenuto la censura manifestamente infondata. La Corte territoriale aveva già ampiamente dimostrato come il comportamento dell’imputato – la mancata restituzione e il rendersi irreperibile – palesasse in modo inequivocabile la finalità di profitto perseguita, elemento costitutivo del reato di appropriazione indebita.

L’Esclusione della Particolare Tenuità del Fatto

Ancora più rilevante è la decisione sul secondo motivo. La Cassazione ha confermato la valutazione della Corte d’Appello, che aveva negato l’applicazione dell’art. 131-bis c.p. La ragione è puramente economica: il danno cagionato alla vittima non era affatto ‘tenue’. Il telefono cellulare aveva un valore di oltre mille euro e la carta prepagata una disponibilità di 995 euro. Un danno complessivo di circa duemila euro è stato giudicato di entità tale da non poter essere qualificato come particolarmente esiguo, impedendo così il riconoscimento della causa di non punibilità.

Le Motivazioni della Decisione

La motivazione della Corte di Cassazione si fonda su due pilastri. In primo luogo, la condotta dell’imputato è stata valutata come chiaramente finalizzata all’appropriazione definitiva dei beni. Il suo rendersi irreperibile è stato un elemento fattuale decisivo per dimostrare l’intento doloso di trarre profitto. In secondo luogo, e questo è il punto centrale, il criterio per valutare la ‘particolare tenuità del fatto’ non può prescindere da una valutazione oggettiva del danno economico. La Corte ha stabilito che un valore complessivo di quasi duemila euro non rientra nella nozione di ‘danno esiguo’ richiesta dalla norma. Pertanto, il ricorso è stato giudicato inammissibile perché le argomentazioni erano o palesemente infondate o semplici ripetizioni di tesi già respinte nel grado precedente.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: il reato di appropriazione indebita viene valutato anche in base al valore concreto dei beni. La soglia per l’applicazione della non punibilità per tenuità del fatto è bassa, e la sottrazione di beni di valore significativo, come uno smartphone di fascia alta, esclude quasi automaticamente questo beneficio. La decisione insegna che la condotta successiva al mancato adempimento dell’obbligo di restituzione, come la fuga o l’irreperibilità, assume un peso determinante nella prova dell’intento criminale. Per i cittadini, ciò significa che trattenere un bene altrui di valore non è una leggerezza, ma un reato con conseguenze penali concrete, non mitigabili se il danno economico è rilevante.

Perché la mancata restituzione di un cellulare è stata considerata appropriazione indebita?
Perché l’imputato, nonostante le ripetute richieste della persona offesa, non ha mai provveduto a restituire il telefono e la carta prepagata, rendendosi persino irreperibile. Questo comportamento ha dimostrato la chiara volontà di trarre un profitto illecito dai beni.

Perché non è stata applicata la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131 bis c.p.)?
La Corte ha escluso l’applicazione di tale norma perché il danno economico non era ‘particolarmente tenue’. Il valore del telefono cellulare superava i mille euro e la carta prepagata aveva una disponibilità di 995 euro, importi considerati troppo significativi.

Cosa ha deciso la Corte di Cassazione riguardo al ricorso?
La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. Ha ritenuto le censure manifestamente infondate e una mera ripetizione di quanto già discusso, confermando la condanna decisa dalla Corte d’Appello e condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di tremila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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