Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 35255 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2   Num. 35255  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME COGNOME NOME NOME a ATESSA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 24/10/2024 della CORTE di APPELLO di L’AQUILA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore Generale NOME, che ha chiesto emettersi declaratoria di inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
 Con sentenza resa in data 24 ottobre 2024 la Corte d’Appello di L’Aquila confermava la sentenza emessa il 16 dicembre 2022 dal Tribunale di Vasto con la quale l’imputato COGNOME COGNOME NOME era stato dichiarato colpevole del reato di appropriazione indebita di una macchina agricola vendemmiatrice e condanNOME alle pene di legge.
 Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del proprio difensore, chiedendone l’annullamento e articolando cinque motivi di doglianza.
 Con il primo motivo deduceva inosservanza dell’art. 646 cod. pen. nonché mancanza e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del reato di appropriazione indebita.
Rassegnava che con l’atto di appello la difesa aveva dedotto che il ben presentava evidenti segni di usura e che il ricorrente, nel trattenere il aveva esercitato il diritto di ritenzione in relazione al credito di euro 6. maturato nei confronti della persona offesa in relazione all’attività di ripara del bene medesimo, così che la vicenda aveva assunto una rilevanza esclusivamente civilistica.
Assumeva che la Corte d’Appello aveva reso, al riguardo, una motivazione scarna e logicamente viziata in relazione alla ritenuta attendibilità della vers dei fatti fornita dalla persona offesa e deduceva in particolare che l’impu non aveva mai noleggiato il mezzo a terzi.
 Con il secondo motivo deduceva violazione dell’art. 131-bis cod. pen. nonché manifesta illogicità della motivazione in relazione ai presupposti p l’applicazione della causa di punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., Corte territoriale aveva ritenuto insussistenti in ragione del considerevole val del mezzo, valutato, al netto dei lavori di riparazione, in euro 20.000,00.
Rassegnava che nel caso di specie i limiti di pena previsti per l’applicazio della detta causa di punibilità non erano superati e che il provvedimen impugNOME non conteneva un apprezzamento della gravità del fatto tale da escludere l’applicabilità dell’art. 131-bis cod. pen.
 Con il terzo motivo deduceva violazione degli artt. 646 e 641 cod. pen., in relazione alla chiesta riqualificazione del fatto nel diverso reato di insol fraudolenta, assumendo che l’imputato si era limitato ad assumere nei confront della persona offesa un’obbligazione, avente ad oggetto il pagamento del prezzo del bene, con il chiaro intento di non adempierla.
Con il quarto motivo deduceva violazione dell’art. 133 cod. pen. e mancanza di motivazione in relazione alla mancata rideterminazione della pena, richiesta dalla difesa con conclusioni scritte, avuto riguardo alla sentenza d Corte Costituzionale n. 46/2024 che aveva dichiarato l’illegittimità costituzion dell’art. 646 cod. pen. nella parte in cui prevedeva la pena della reclusion due a cinque anni in luogo della reclusione fino a cinque anni, assumendo che sul punto la Corte di merito non aveva reso alcuna motivazione.
 Con il quinto motivo deduceva violazione degli artt. 53 e ss. della legg n. 689/1981, nonché manifesta illogicità della motivazione in relazione al
mancata sostituzione della pena detentiva inflitta con quella sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, rassegnando che l’imputato non poteva percepire la pena inflitta come giusta, considerato che i fatti oggetto del processo erano ai limiti della rilevanza penale.
In data 4 giugno 2025 il ricorrente depositava note di conclusioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo è inammissibile in quanto non consentito, poiché si risolve in considerazioni di merito, inammissibili nella presente sede. La Corte d’Appello, peraltro, ha reso una motivazione immune da vizi in relazione all’affermazione di responsabilità del ricorrente, evidenziando congruamente che la versione dei fatti fornita dalla parte civile COGNOME NOME era stata confermata dal teste COGNOME, del tutto indifferente rispetto ai fatti, che il COGNOME aveva affermato di avere constatato mediante ricerca sulla rete che la macchina vendemmiatrice era stata noleggiata a terzi e che comunque, alla richiesta di restituzione, l’imputato non aveva fornito alcun riscontro, che a conferma del fatto che la macchina era idonea all’uso vi era una ulteriore offerta di acquisto per la somma di euro 16.000,00, non accettata dalla persona offesa perché ritenuta non congrua, che “la comprovata circostanza relativa alla volontà dell’imputato di poter utilizzare il bene per attività lavorative dalle quali avrebbe dovuto ricavare parte del corrispettivo da destinare poi all’acquisto del medesimo smentisce completamente l’assunto difensivo circa la ricezione dello stesso a titolo di riparazione e, per l’effetto, ordine all’esercizio di un diritto di ritenzione fino al saldo dell’impor asseritamente corrisposto per le non meglio specificate riparazioni del macchinario” (v. pag. 8 della sentenza impugnata). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Come si vede, la corte di merito ha richiamato in maniera puntuale le fonti di prova utilizzate e dai contenuti delle prove assunte ha tratto conseguenze del tutto logiche, risultando peraltro del tutto generica la deduzione da parte del ricorrente del vizio di motivazione, definita in ricorso “scarna” e “illogica”.
Quella dedotta con il motivo in trattazione è una censura in fatto, come tale inammissibile nel giudizio di legittimità, attenendo a “vizi” diversi dall mancanza di motivazione, dalla sua “manifesta illogicità”, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante) su aspetti essenziali astrattamente idonei ad
imporre diversa conclusione del processo. Inammissibili sono, pertanto, tutte le doglianze che “attaccano” la “persuasività”, l’inadeguatezza, la mancanza di “rigore” o di “puntualità”, la stessa “illogicità” quando non “manifesta”, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove ovvero che evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, de spessore della valenza probatoria del singolo elemento. Tutto ciò è “fatto”, riservato al giudice del merito. Quando il giudice del merito ha espresso il proprio apprezzamento, la ricostruzione del fatto è definita, e le sole censure possibili nel giudizio di legittimità sono quelle dei soli tre tassativi vizi indi dall’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., ciascuno dotato di peculiare oggetto e struttura: sicché è altro costante insegnamento di questa Suprema Corte che la deduzione alternativa di vizi, invece assolutamente differenti, è per sè indice di genericità del motivo di ricorso e, in definitiva, “segno” della natura di merito della doglianza che ad essi solo strumentalmente tenta di agganciarsi (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965).
In relazione alle conclusioni assunte dalla Corte territoriale, il ricorrente omette di sviluppare un adeguato confronto critico rispetto alla sostanza delle contrarie argomentazioni ivi utilizzate e di indicare la specifiche ragioni della loro asserita erroneità, limitandosi a contrapporvi una serie di doglianze già analizzate e motivatamente disattese in punto di fatto, così prospettando una diversa e alternativa “lettura” delle risultanze probatorie acquisite, fondate su una non consentita richiesta di rivisitazione del loro contenuto, senza addurre censure destinate a disarticolare, o anche solo a porre in crisi, la complessiva tenuta e la coerenza logica delle valutazioni al riguardo operate nella decisione impugnata.
Parimenti inammissibile, in quanto manifestamente infondato, è il secondo motivo, dovendosi ritenere immune da vizi la motivazione resa dalla Corte territoriale in relazione alla ritenuta inapplicabilità al caso di specie dell causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen.; la Corte, invero, h congruamente dato conto del fatto che il danno procurato alla parte civile doveva essere considerato consistente e di certo non particolarmente tenue, considerato che lo stesso era corrispondente al valore del mezzo, pari a euro 20.000,00.
Ai fini dell’applicabilità della causa di esclusione della punibilità pe particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis cod. pen., il giudizio sul
tenuità dell’offesa dev’essere effettuato con riferimento ai criteri di cui all’ar 133, comma primo, cod. pen., ma non è necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti (cfr. Sez. 6, n. 55107 del 08/11/2018, Milone, Rv. 274647 01).
Fra i criteri previsti dall’art. 133 cod. pen. è indicata, per l’appunto, l gravità del danno cagioNOME alla parte offesa.
 Anche il terzo motivo è manifestamente infondato e pertanto inammissibile, risultando la prospettazione di una riqualificazione del fatto nel reato di insolvenza fraudolenta palesemente eccentrica rispetto alla descrizione del fatto contenuta nel capo di imputazione, che contiene la descrizione di tutti gli elementi costitutivi del reato di appropriazione indebita, evidentemente del tutto diversi da quelli descritti dall’art. 641 cod. pen., ciò che consente d escludere la dedotta violazione di legge.
È inammissibile anche il quarto motivo, in quanto la richiesta di rideterminazione della pena in relazione alla sentenza della Corte Costituzionale n. 46/2024, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 646 cod. pen. nella parte in cui prevedeva la pena della reclusione da due a cinque anni in luogo della reclusione fino a cinque anni, non trattandosi nel caso in esame di pena illegale, non può essere proposta per la prima volta davanti al Giudice di legittimità; ciò in conformità al principio, affermato in relazione all’analoga declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 629 cod. pen., secondo i quale, in tema di impugnazioni, non è deducibile con ricorso per cassazione l’omessa motivazione del giudice di appello in ordine al denegato riconoscimento dell’attenuante della lieve entità del delitto di estorsione, prevista dalla sentenza della Corte cost. n. 120 del 2023, ove la questione, già proponibile in quella sede, non sia stata prospettata in appello con i motivi aggiunti ovvero in sede di formulazione delle conclusioni (v., in tal senso, Sez. 2, Sentenza n. 19543 del 27/03/2024, Rv. 286536-01).
Nel caso in esame la difesa non ha proposto la questione neppure in sede di conclusioni scritte, depositate il 17 ottobre 2024, nonostante la sentenza della Corte Costituzionale fosse stata già pubblicata nel mese di marzo dello stesso anno.
 Anche il quinto motivo è inammissibile in quanto meramente reiterativo, non essendosi il ricorrente confrontato con la motivazione resa dalla Corte d’Appello in relazione alla mancata sostituzione della pena inflitta con il lavoro
sostitutivo di pubblica utilità, motivazione che appare immune da vizi, avendo il giudice di merito congruamente osservato al riguardo che la sostituzione era rimessa alla valutazione discrezionale del giudice, da effettuarsi alla luce dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen., e che nella specie risultavano ostativi all chiesta sostituzione i precedenti penali a carico dell’imputato e il considerevole valore del bene sottratto, così che il favorevole esito dell’applicazione della pena sostitutiva “nel caso di specie, deve ritenersi cedevole rispetto all’obiettivo di assicurare effettività alla pena” (v. pag. 10 del provvedimento impugNOME).
Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile. Il ricorrente deve, pertanto, essere condanNOME, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento. In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende. 
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 11/06/2025