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Appropriazione indebita pensione: la Cassazione decide

Un uomo è stato condannato per aver continuato a riscuotere la pensione della suocera deceduta per oltre vent’anni. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10935/2025, ha annullato la condanna per il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche (art. 316-ter c.p.), riqualificando il fatto come appropriazione indebita pensione. La Corte ha chiarito che l’obbligo di comunicare il decesso all’INPS non ricade sui parenti, ma su altri enti pubblici. Pertanto, l’omessa comunicazione non integra il reato contestato, mentre il trattenimento delle somme costituisce appropriazione indebita. Il caso è stato rinviato alla Corte d’Appello per una nuova valutazione.

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Pubblicato il 21 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Riscossione Pensione Defunto: è Appropriazione Indebita

Continuare a riscuotere la pensione di un parente dopo la sua morte non costituisce il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche, bensì quello di appropriazione indebita pensione. Questa è la conclusione fondamentale a cui è giunta la Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 10935 del 2025, che ha annullato con rinvio una sentenza di condanna, chiarendo i confini tra le due fattispecie criminose e precisando su chi ricada l’obbligo legale di comunicare il decesso all’ente previdenziale.

I Fatti di Causa

Il caso riguardava un uomo condannato in primo e secondo grado per il reato previsto dall’art. 316-ter del codice penale (Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato). All’imputato era stato contestato di aver continuato a percepire, in qualità di delegato alla riscossione, le rate della pensione INPS spettante alla suocera, nonostante quest’ultima fosse deceduta da oltre vent’anni (dal 1997 al 2018). L’ammontare complessivo delle somme indebitamente percepite era di quasi 100.000 euro.
L’imputato ha proposto ricorso in Cassazione, sollevando diverse questioni, tra cui la violazione del principio del ne bis in idem (divieto di un secondo giudizio per lo stesso fatto) e l’errata qualificazione giuridica del fatto contestato.

La Decisione della Corte di Cassazione sulla appropriazione indebita pensione

La Suprema Corte ha ritenuto fondato il motivo relativo all’errata qualificazione giuridica del reato. Ha quindi annullato la sentenza impugnata e rinviato il caso ad un’altra sezione della Corte d’Appello per un nuovo giudizio. Secondo la Cassazione, la condotta dell’imputato non integra il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche, ma quello, diverso, di appropriazione indebita (art. 646 c.p.).
La Corte ha assorbito gli altri motivi di ricorso, concentrandosi sulla distinzione cruciale tra le due fattispecie di reato.

Le Motivazioni

Il cuore della decisione risiede nell’analisi degli obblighi di comunicazione del decesso. Il reato di cui all’art. 316-ter c.p. si configura quando si ottengono erogazioni pubbliche mediante l’utilizzo di documenti falsi o l’omissione di informazioni dovute.
La Cassazione ha chiarito che, sulla base del quadro normativo vigente, non esiste un obbligo diretto per i congiunti o per il delegato alla riscossione di comunicare il decesso del pensionato direttamente all’INPS. La legge, infatti, impone ai familiari di comunicare la morte all’ufficiale di stato civile del Comune. Successivamente, è compito del Comune (tramite l’Anagrafe) e dei medici necroscopi trasmettere queste informazioni agli enti previdenziali come l’INPS.
Di conseguenza, l’inerzia del parente nel non comunicare il decesso all’INPS non costituisce un'”omissione di informazioni dovute” ai sensi dell’art. 316-ter c.p., perché tale obbligo non è posto dalla legge a suo carico. La condotta non è quindi quella di indurre in errore l’ente erogatore, ma quella di trattenere per sé somme che, dopo la morte del titolare, non gli spettano più e che sono state accreditate sul conto corrente.
Questo comportamento integra, invece, la fattispecie di appropriazione indebita pensione: l’imputato, avendo la disponibilità del denaro confluito sul conto, se ne appropria illegittimamente anziché restituirlo all’ente previdenziale.

Le Conclusioni

La sentenza ha importanti implicazioni pratiche. La riqualificazione del reato da indebita percezione ad appropriazione indebita non è un mero tecnicismo. Cambia la natura stessa del reato e le condizioni per la sua punibilità. L’appropriazione indebita, infatti, è un reato procedibile a querela della persona offesa (in questo caso, l’INPS), salvo alcune eccezioni. La Corte d’Appello, nel nuovo giudizio, dovrà quindi verificare se sia stata presentata una valida querela e se l’imputato non sia già stato giudicato per gli stessi fatti in relazione ad altro reato. Questa decisione riafferma un principio di stretta legalità: si può essere puniti solo per l’omissione di un’azione che la legge impone esplicitamente. In questo caso, non essendoci un obbligo per il delegato di informare l’INPS, la sua condotta omissiva è penalmente irrilevante ai fini dell’art. 316-ter c.p., mentre rileva la successiva condotta attiva di trattenere il denaro non dovuto.

Chi ha l’obbligo di comunicare il decesso di un pensionato all’INPS?
Secondo la normativa analizzata dalla Corte, l’obbligo di comunicazione non ricade direttamente sui familiari o sul delegato alla riscossione. I congiunti devono denunciare la morte all’Ufficiale di Stato Civile del Comune. Sono poi il Comune e i medici necroscopi a dover trasmettere l’informazione agli enti previdenziali.

Perché riscuotere la pensione di un defunto non è indebita percezione di erogazioni pubbliche (art. 316-ter c.p.)?
Non è indebita percezione perché questo reato richiede un’omissione di informazioni ‘dovute’. Poiché la legge non impone al parente o al delegato un obbligo specifico di comunicare il decesso all’INPS, la sua inerzia non integra tale fattispecie. L’erogazione della pensione non avviene a causa di un inganno o di un’omissione giuridicamente rilevante da parte del percettore.

Quale reato commette chi continua a incassare la pensione di un parente deceduto?
Commette il reato di appropriazione indebita (art. 646 c.p.). Il reato non consiste nell’aver indotto l’INPS a pagare, ma nell’essersi appropriato di somme di denaro che, pur essendo confluite su un conto a sua disposizione, non gli spettavano più dopo la morte del titolare della pensione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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