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Appropriazione indebita: oro in conto lavorazione

La Corte di Cassazione conferma la condanna per appropriazione indebita a carico del legale rappresentante di una società che aveva utilizzato oro, ricevuto in conto lavorazione, per scopi diversi da quelli pattuiti. La Corte chiarisce che il reato si consuma nel momento in cui il bene viene distolto dalla sua destinazione originaria, rendendo irrilevante la successiva possibilità contrattuale di restituirne l’equivalente in denaro. Il ricorso è stato dichiarato inammissibile per la genericità delle prove addotte riguardo a presunti accordi verbali diversi da quelli scritti.

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Pubblicato il 5 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Appropriazione indebita: quando l’uso diverso del bene in conto lavorazione diventa reato

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un caso di appropriazione indebita relativo a metalli preziosi consegnati in conto lavorazione. La decisione chiarisce il confine tra inadempimento civilistico e illecito penale, sottolineando come la distrazione del bene dalla sua finalità originaria integri il reato, a prescindere da accordi successivi sulla restituzione del suo valore. Questa analisi è fondamentale per le imprese che operano con contratti di fornitura e lavorazione di materie prime.

I Fatti del Caso

Al centro della vicenda vi sono due società operanti nel settore orafo. Una società committente affidava a un’altra società una quantità di oro puro per la realizzazione di specifici lavori, secondo un contratto di conto lavorazione. L’accordo prevedeva che la società esecutrice dovesse restituire l’oro non utilizzato o, in alternativa, il suo equivalente in denaro alla cessazione del rapporto.

L’amministratore della società esecutrice, tuttavia, utilizzava una parte dell’oro ricevuto (circa 235 grammi) per altre lavorazioni, non commissionate dalla società proprietaria del metallo. A seguito della richiesta di restituzione, la società esecutrice non era più in possesso del metallo. Per questo motivo, l’amministratore veniva condannato in primo e secondo grado per il reato di appropriazione indebita.

La Difesa e il Ricorso in Cassazione

L’imputato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su due motivi principali:

1. L’esistenza di un accordo verbale: La difesa sosteneva che vi fosse un accordo verbale, diverso da quello scritto, che autorizzava l’uso dell’oro anche per altre commesse. Tale accordo, però, non è stato provato in modo specifico, rendendo il motivo di ricorso generico e non autosufficiente.

2. L’errata applicazione della legge penale: Secondo la difesa, il contratto non era un semplice conto lavorazione, ma piuttosto un prestito d’uso, dato che era prevista la possibilità di restituire l’equivalente in denaro. Di conseguenza, l’impossibilità di restituire l’oro sarebbe stata un mero inadempimento contrattuale di natura civilistica, non un reato di appropriazione indebita.

Le Motivazioni della Corte sulla Appropriazione Indebita

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la condanna. Le motivazioni della Corte sono state chiare e precise nel definire i contorni del reato contestato.

I giudici hanno ribadito che il contratto in essere era inequivocabilmente un conto lavorazione. La consegna dell’oro era finalizzata a uno scopo preciso e predeterminato: la lavorazione commissionata dalla società proprietaria. L’opzione di restituire il valore equivalente in denaro non trasformava la natura del rapporto in un prestito d’uso, ma rappresentava solo una modalità alternativa di adempimento al termine del contratto.

Il punto cruciale della decisione risiede nella natura istantanea del reato di appropriazione indebita. La Corte ha spiegato che il reato si consuma nel momento esatto in cui chi ha il possesso del bene altrui compie un atto di disposizione come se ne fosse il proprietario, mutando la destinazione del bene. Nel caso specifico, l’amministratore ha commesso il reato nel momento in cui ha deciso di utilizzare l’oro della committente per altre lavorazioni. A quel punto, l’inversione del titolo del possesso si era già verificata e il reato era perfezionato. La successiva possibilità, prevista dal contratto, di saldare il debito in denaro è stata considerata irrilevante ai fini della configurabilità del reato, poiché la consumazione era già avvenuta.

Le Conclusioni della Sentenza

La sentenza consolida un principio giuridico fondamentale: la distrazione di un bene ricevuto per uno scopo specifico costituisce appropriazione indebita, anche se il contratto prevede forme alternative di restituzione. La decisione sottolinea che il momento consumativo del reato è l’atto di disposizione uti dominus (come se si fosse il proprietario), che manifesta la volontà di non rispettare il vincolo di destinazione originario. Per le aziende, ciò significa che la gestione dei beni di terzi ricevuti in conto lavorazione richiede la massima diligenza e il rispetto scrupoloso degli accordi contrattuali, poiché una gestione ‘disinvolta’ può facilmente trascinare l’amministratore dal campo civilistico a quello penale.

Quando si commette il reato di appropriazione indebita in un contratto di conto lavorazione?
Il reato si considera commesso nel momento in cui la persona che ha ricevuto il bene per una specifica lavorazione lo utilizza per scopi diversi da quelli pattuiti, mutando il vincolo di destinazione e agendo come se ne fosse il proprietario.

La possibilità di restituire il valore in denaro di un bene esclude l’appropriazione indebita?
No. Secondo la sentenza, la possibilità contrattuale di restituire una somma di denaro equivalente al bene non utilizzato è irrilevante. Il reato si è già consumato nel momento in cui il bene è stato utilizzato per uno scopo non autorizzato.

Perché un presunto accordo verbale contrario a quello scritto non è stato considerato valido dalla Corte?
Il motivo è stato ritenuto inammissibile perché generico. La difesa ha sostenuto l’esistenza di un accordo verbale senza però indicare specificamente quali fossero le prove documentali o testimoniali a supporto, rendendo impossibile per la Corte di Cassazione effettuare un controllo di legittimità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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