Appropriazione Indebita: L’Onere della Prova Ricade sull’Imputato che Nega l’Accusa
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 34892/2025) ha riaffermato un principio cruciale in materia di appropriazione indebita: la semplice negazione dei fatti da parte dell’imputato non è una strategia difensiva sufficiente. Quando l’accusa presenta prove a sostegno della propria tesi, spetta all’imputato fornire elementi concreti e positivi che dimostrino una diversa realtà dei fatti. Analizziamo questa importante decisione per comprenderne le implicazioni pratiche.
I Fatti di Causa
Il caso trae origine dalla condanna di un individuo per il reato di appropriazione indebita, confermata dalla Corte d’Appello di Messina. L’imputato ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione, lamentando una presunta violazione di legge e un vizio di motivazione riguardo alla sussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi del reato. In sostanza, la difesa sosteneva che i giudici di merito avessero errato nel ritenerlo colpevole, contestando l’interpretazione del materiale probatorio raccolto durante il processo.
La Decisione della Corte di Cassazione e l’onere probatorio
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per due ragioni fondamentali. In primo luogo, i motivi del ricorso non erano formulati in modo corretto per un giudizio di legittimità: la difesa, infatti, si limitava a riproporre le stesse critiche già esaminate e respinte dalla Corte d’Appello, tentando di ottenere una nuova valutazione dei fatti, attività preclusa alla Cassazione. In secondo luogo, e questo è il punto centrale, il ricorso è stato giudicato manifestamente infondato.
Le Motivazioni della Corte
La Cassazione ha chiarito che, di fronte a un’accusa di appropriazione indebita, la difesa non può essere meramente passiva. Richiamando un consolidato orientamento giurisprudenziale (in particolare la sentenza n. 7484 del 2014), la Corte ha spiegato che l’imputato che nega la condotta ascrittagli ha un onere specifico. Non deve provare un fatto negativo (cioè il “non aver commesso” il reato), ma deve allegare e, se possibile, provare “specifiche circostanze positive” che contraddicano le prove dell’accusa.
In altre parole, l’imputato deve fornire una versione alternativa e credibile dei fatti, supportata da elementi concreti, dalla quale si possa logicamente dedurre che l’appropriazione non è avvenuta. Ad esempio, potrebbe dimostrare di aver restituito il bene, di averlo perso per cause di forza maggiore o di averlo trattenuto legittimamente. Una semplice e generica affermazione di innocenza non è sufficiente a smontare il quadro probatorio presentato dalla pubblica accusa.
Conclusioni
Questa ordinanza consolida un principio di grande rilevanza pratica per la difesa nei processi penali per appropriazione indebita. La decisione sottolinea che la strategia difensiva deve essere attiva e costruttiva. Non basta contestare la ricostruzione dell’accusa; è necessario contrapporre una narrazione alternativa supportata da prove o, quantomeno, da allegazioni specifiche e circostanziate. Per chi si trova ad affrontare un’accusa di questo tipo, è fondamentale comprendere che il silenzio o la negazione generica possono non essere sufficienti a ottenere un’assoluzione, specialmente quando l’impianto accusatorio poggia su basi solide. La difesa deve essere in grado di introdurre nel processo elementi positivi che possano creare un ragionevole dubbio sulla colpevolezza dell’imputato.
In un processo per appropriazione indebita, è sufficiente che l’imputato neghi i fatti?
No. Secondo l’orientamento della Corte di Cassazione, la semplice negazione della condotta non è sufficiente a contrastare le prove raccolte dall’accusa.
Qual è l’onere della prova per un imputato che si dichiara innocente dal reato di appropriazione indebita?
L’imputato ha l’onere di allegare o provare specifiche circostanze positive che siano contrarie a quelle provate dall’accusa. Da questi fatti alternativi deve potersi desumere che l’appropriazione contestata non è avvenuta.
Perché un ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile se contesta la valutazione delle prove?
Perché la Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, non di merito. Il suo compito è verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione, non riesaminare i fatti del processo o valutare nuovamente le prove, attività che spetta ai giudici di primo e secondo grado.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 34892 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 34892 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a Messina il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 01/12/2023 della Corte d’appello di Messina
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME;
osservato che l’unico motivo di ricorso, con cui si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla configurabilità dell’elemento oggettivo e soggettivo del delitto di appropriazione indebita ascritto all’odierno ricorrente, no è formulato in termini consentiti dalla legge in sede di legittimità, poiché la difes reiterando profili di censura già prospettati e motivatamente respinti in appello (si vedano le pagg. 3-4 dell’impugnata sentenza), finisce per contestare la decisione circa il giudizio di responsabilità ritenendola errata in virtù del risultato probato cui sono approdati i giudici di merito;
che, in aggiunta, è manifestamente infondato poiché contrario al noto orientamento secondo cui, «in tema di appropriazione indebita, l’imputato che neghi la sussistenza della condotta ascrittagli ha l’onere di provare o allegare, non un fatto negativo, consistente nel mancato accadimento di quanto gli è addebitato, e segnatamente nella mancata appropriazione, ma specifiche circostanze positive contrarie a quelle provate dalla pubblica accusa, dalle quali possa desumersi che
il fatto in contestazione non è avvenuto» (Sez. 2, n. 7484 del 21/01/2014, P.G., P.C. in proc. Baroni, Rv. 259245);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 23 settembre 2025.