Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 22490 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 22490 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME COGNOME NOME
Data Udienza: 15/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME NOME
NOME nato a CATANIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 12/09/2023 della CORTE D’APPELLO DI CATANIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona della Sostituta Procuratrice generale NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso; lette le conclusioni del difensore della parte civile AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’inammissibilità o il rigetto del ricorso; lette le conclusioni del difensore del ricorrente AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte di appello di Catania, in parziale riforma della sentenza con la quale il primo giudice aveva assolto dal reato di appropriazione indebita NOME COGNOME, condannava quest’ultimo – in
accoglimento dell’appello della parte civile RAGIONE_SOCIALE – al risarcimento subito dalla stessa, assegnandole una provvisionale di 10.000 euro.
Ha proposto ricorso NOME COGNOME, a mezzo del proprio difensore, ai sensi dell’art. 574 cod. proc. pen., chiedendo l’annullamento della sentenza di appello in ragione di due motivi.
2.1. Violazione di legge e connesso vizio motivazionale in relazione alla ritenuta ammissibilità della parte civile alla impugnazione della sentenza di assoluzione emessa dal primo giudice, nonostante la carenza di interesse conseguente alla formula di proscioglimento adottata (“perché il fatto non costituisce reato”), che non precludeva l’esercizio dell’azione per il risarcimento del danno davanti al giudice civile.
L’orientamento giurisprudenziale seguito nella sentenza impugnata, contrastato da altro di segno opposto, poggia su una interpretazione troppo estensiva del diritto all’impugnazione di cui all’art. 576 cod. proc. pen., lesiva del principio di autonomia dei giudicati civile e penale, fondati su tipologie di valutazioni eterogenee.
2.2. Erronea applicazione della legge penale (artt. 43 e 646 cod. pen.) e connesso vizio motivazionale.
La Corte territoriale, sovvertendo il giudizio operato dal Tribunale, ha ritenuto fondata la pretesa risarcitoria della parte civile per la sola circostanza della omessa restituzione alla società finanziaria delle tre autovetture avute in leasing, a seguito del mancato pagamento di alcuni canoni, senza considerare che il debitore non venne a conoscenza della volontà del concedente di rientrare nel possesso dei beni, intimandone la restituzione.
Infatti, l’omessa consegna del plico postale, pur se avvenuta per il mancato ritiro della corrispondenza presso l’ufficio postale da parte del destinatario, non dimostra . che quest’ultimo fosse venuto a conoscenza della intimazione del creditore alla consegna dei beni, difettando così l’elemento soggettivo del reato.
Inoltre, il ricorrente non ha mai compiuto alcun atto dispositivo dei mezzi né ha espresso un reiterato rifiuto alla loro restituzione, considerate anche le trattative tra le parti per la risoluzione della controversia.
La sentenza non ha fatto alcun cenno al profilo dell’ingiusto profitto e ha erroneamente evocato il criterio del “più probabile che non”.
Si è proceduto alla trattazione scritta del procedimento in cassazione, ai sensi dell’art. 23, comma 8, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito nella legge 18 dicembre 2020, n. 176 (applicabile in forza di quanto disposto dall’art. 94, comma 2, del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150,
come modificato dal decreto-legge 30 dicembre 2023, n. 215, convertito nella legge 23 febbraio 2024, n. 18), in mancanza di alcuna tempestiva richiesta di discussione orale, nei termini ivi previsti; il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, mentre il difensore della parte civile e quello del ricorrente hanno presentato memorie, rassegnando le conclusioni in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso va rigettato perché proposto con motivi infondati.
Va premesso che le Sezioni Unite di questa Corte hanno da ultimo statuito che l’art. 573, comma 1-bis, cod. proc. pen., introdotto dall’art. 33 del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 (secondo il quale, quando «la sentenza è impugnata per i soli interessi civili, il giudice d’appello e la Corte di cassazione, se l’impugnazione non è inammissibile, rinviano per la prosecuzione, rispettivamente, al giudice o alla sezione civile competente, che decide sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile»), si applica alle impugnazioni per i soli interessi civili proposte nei giudizi nei quali la costituzione di parte civile intervenuta successivamente al 30 dicembre 2022, data di entrata in vigore della citata disposizione (Sez. U, n. 38481 del 25/05/2023, D., Rv. 285036), non applicabile, dunque, al caso di specie.
In ordine al primo motivo, la Corte di appello ha disatteso la tesi difensiva sulla inammissibilità dell’appello per carenza di interesse, seguendo l’indirizzo espresso dalla più recente giurisprudenza di legittimità, secondo il quale sussiste l’interesse della parte civile a impugnare la decisione assolutoria pronunciata con la formula “il fatto non costituisce reato”, in quanto le limitazioni alla efficacia del giudicato previste dall’art. 652 cod. proc. pen, non incidono sulla estensione del diritto all’impugnazione ad essa riconosciuto in termini generali nel processo penale dall’art. 576 cod. proc. pen., imponendosi altrimenti alla stessa di rinunciare agli esiti dell’accertamento compiuto nel processo penale e di riavviare ab initio l’accertamento in sede civile, con conseguente allungamento dei tempi processuali (Sez. 2, n. 6690 del 02/02/2023, Seno, Rv. 284216, non mass. sul punto; Sez. 2, n. 11934 del 05/10/2022, dep. 2023, Cuollo, Rv. 284444-01; Sez. 4, n. 14194 del 18/03/2021, COGNOME, Rv. 281016-01; Sez. 6, n. 36526 del 28/10/2020, COGNOME, Rv. 280182-02; Sez. 2, n. 10638 del 30/01/2020 Enderlin, Rv. 278519-01; Sez. 4, n. 10114 del 21/11/2019, dep. 2020, COGNOME,
Rv. 278643-01; Sez. 5, n. 27318 del 07/03/2019, COGNOME, Rv. 276640-01; da ultimo v. Sez. 2, n. 695 del 28/11/2023, dep. 2024, COGNOME, non mass.).
Il Collegio condivide questo orientamento, aderente anche ai principi espressi dalle Sezioni Unite nella sentenza Papaleo (Sez. U, n. 28911 del 28/03/2019, Rv. 275953-01), con la quale si è statuito che, nei confronti della sentenza di primo grado che dichiari l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, così come contro la sentenza di appello che tale decisione abbia confermato, è ammessa l’impugnazione della parte civile che lamenti l’erronea applicazione della prescrizione. La sentenza ha ribadito il principio già affermato in altra precedente pronunzia delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 40049 del 29/05/2008, Guerra, Rv. 240815, non mass. sul punto), secondo il quale il danneggiato, avendo con la costituzione di parte civile inteso trasferire in sede penale l’azione civile di danno, ha «interesse ad ottenere nel giudizio penale il massimo di quanto può essergli riconosciuto», cosicché non gli si può negare l’interesse a impugnare la decisione di proscioglimento anche quando questa manchi di efficacia preclusiva.
4. Quanto al motivo inerente all’affermazione di responsabilità agli effetti civili, risulta irrilevante il riferimento della sentenza impugnata al criterio del ” probabile che non”, considerato che – a prescindere dalla risoluzione della questione in diritto, ultronea in questa sede – la pretesa risarcitoria è stata ritenuta fondata poiché la Corte di appello ha ritenuto “pacifico che l’imputato non abbia volontariamente restituito alla società di leasing i tre automezzi noleggiati, rifiutandosi di pagare i canoni residuali e di riscatto”, con una valutazione evidentemente non condizionata dall’astratto richiamo di detto criterio e non di quello dell’oltre ogni ragionevole dubbio, invocato dal ricorrente.
Ciò premesso, è pacifico nella giurisprudenza di legittimità che, in relazione allo schema negoziale del contratto di leasing, la condotta di appropriazione indebita non si realizza per il solo dato del mancato pagamento dei canoni e dell’eventuale previsione pattizia della risoluzione del contratto, essendo necessario che il debitore venga a conoscenza della volontà del concedente di rientrare nel possesso del bene intimandone la restituzione e che manifesti l’avvenuta interversione del possesso, comportandosi uti dominus e non restituendo il bene senza giustificazione (Sez. 2, n. 25288 del 31/05/2016, COGNOME, Rv. 267114; Sez. 2, n. 25282 del 31/05/2016, COGNOME, Rv. 267072).
Il principio è stato ribadito di recente anche nella pronuncia citata nel ricorso (Sez. 2, n. 34911 del 12/05/2023, COGNOME, non mass.), emessa in un caso particolare, diverso da quello di cui si tratta, nel quale la richiesta di restituzione a mezzo posta (con plico non ritirato dall’imputato), era stata fatta
“da una società che non corrisponde a quella con cui era sta originariamente stipulato il contratto di leasing non consente di trarre a inferenza logica sulla consapevolezza del destinatario dell’attinenza di quell’i al rapporto contrattuale e, in particolare, all’intimazione a restituire il oggetto del contratto”.
Nel caso di specie la Corte di appello ha tratto la prova della volontà ricorrente di trattenere indebitamente le tre autovetture, uti dominus, evidenziando che COGNOME aveva mosso contestazioni in relazione ad uno solo dei tre contratti di leasing, valutate “decine di migliaia di euro”, decidendo d procedere al pagamento dei canoni residui e di trattenere i veicoli, invec azionare eventualmente pretese risarcitorie in sede civile nei confronti d società concedente, con ciò conseguendo, evidentemente, l’ingiusto profitto utilizzare i mezzi senza corrispondere i canoni e il prezzo del riscatto.
L’atto di disposizione del bene altrui è chiaramente sintomatico della volon della indebita appropriazione, ma non è necessario qualora – come nel caso d specie – detta volontà sia aliunde ricavabile, come ritenuto dalla Corte di appello in accoglimento del gravame della parte civile, nel quale si era pure evidenzi che nel corso del giudizio di primo grado la stessa difesa dell’imputato av prodotto “copia telegramma inoltrato dal procuratore della RAGIONE_SOCIALE al Signo COGNOME AVV_NOTAIO“, il cui contenuto era analogo a quello della raccomandata con intimazione alla restituzione dei veicoli, dal ricorrente non ritirata.
La sentenza impugnata, dunque, è immune dai vizi denunciati.
Al rigetto della impugnazione proposta segue, ai sensi dell’art. 616 c proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese d procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spe processuali.
Condanna, inoltre, il ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentan difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante, che liquida in complessivi 3.686, oltre accessori di legge.
Così deciso il 15/05/2024.