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Appropriazione indebita: l’assoluzione del prestanome

La Cassazione conferma l’assoluzione di un amministratore accusato di appropriazione indebita. Decisiva la valutazione della sua posizione di mero prestanome e la conseguente assenza di dolo, elemento soggettivo essenziale per il reato. La Corte ha ritenuto irrilevante la sua sottoposizione ad amministrazione di sostegno ai fini dell’imputabilità, ma l’ha valorizzata come indizio della mancanza di volontà di commettere il reato.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Appropriazione indebita: l’assoluzione del prestanome per mancanza di dolo

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un interessante caso di appropriazione indebita, confermando l’assoluzione di un amministratore di società ritenuto un mero ‘prestanome’. La decisione sottolinea la cruciale distinzione tra imputabilità e dolo, chiarendo come la prova dell’intento criminale sia indispensabile per una condanna, anche quando la condotta materiale del reato sembra evidente. Analizziamo i dettagli di questa importante pronuncia.

I Fatti di Causa

Il caso riguardava un amministratore di una società a responsabilità limitata, a sua volta amministratrice unica di un’altra società. L’accusa era di essersi appropriato di una somma considerevole, circa 370.000 euro, destinata a un consorzio a titolo di contributi ambientali e mai versata.

Contrariamente alla sentenza di primo grado che lo aveva condannato, la Corte di Appello aveva assolto l’imputato. La ragione? La mancanza dell’elemento soggettivo del reato, ovvero il dolo. Secondo i giudici di secondo grado, l’amministratore era in realtà un ‘prestanome’, una figura di facciata, e non aveva agito con la coscienza e la volontà di appropriarsi del denaro. A sostegno di questa tesi, la Corte territoriale aveva valorizzato alcuni elementi, tra cui il fatto che l’imputato fosse stato sottoposto ad amministrazione di sostegno.

Le parti civili, due consorzi danneggiati, hanno presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che la Corte d’Appello avesse erroneamente confuso il piano dell’imputabilità (la capacità di intendere e volere) con quello del dolo (l’intenzione criminale).

Il Ricorso e la Distinzione tra Dolo e Imputabilità

I ricorrenti hanno argomentato che la sottoposizione di un soggetto ad amministrazione di sostegno attiene alla sua capacità e, quindi, alla sua imputabilità, ma non esclude di per sé il dolo. In altre parole, una persona fragile e supportata da un amministratore potrebbe comunque agire con l’intento di commettere un reato. Hanno inoltre criticato la motivazione della sentenza d’appello, ritenendola illogica e basata su dati inconferenti, come la presunta posizione di ‘prestanome’ dell’imputato.

La Prova dell’Appropriazione Indebita e l’Elemento Soggettivo

Per comprendere la decisione della Cassazione, è fondamentale ricordare cosa sia l’appropriazione indebita. Questo reato si configura quando un soggetto, che ha il possesso di denaro o beni mobili altrui, se ne appropria per ottenere un profitto ingiusto. L’elemento psicologico richiesto è il dolo: la persona deve agire con la piena coscienza e volontà di trattare il bene altrui come se fosse proprio, sapendo di non averne il diritto.

Le Motivazioni della Cassazione: Analisi del Dolo nell’Appropriazione Indebita

La Corte di Cassazione ha rigettato i ricorsi, ritenendoli infondati. I giudici supremi hanno chiarito che la Corte d’Appello non ha affatto confuso imputabilità e dolo, ma ha svolto una corretta e autonoma indagine proprio sull’elemento soggettivo.

La motivazione della sentenza di assoluzione è stata giudicata puntuale, logica e giuridicamente corretta. La Corte territoriale ha basato il suo convincimento non solo sulla misura dell’amministrazione di sostegno, ma su un quadro indiziario complessivo:
1. Diminuzione degli Ammancati: Nel periodo di gestione dell’imputato, l’importo dei contributi non versati era significativamente inferiore rispetto agli anni precedenti.
2. Esistenza di un ‘Dominus’: Le precedenti amministratrici avevano dichiarato di essere mere figure ‘cartolari’, poiché il vero gestore (‘dominus’) della società era un’altra persona.
3. Tempistiche Sospette: Un anno dopo l’assunzione della carica da parte dell’imputato, la società è stata dichiarata fallita, rafforzando l’idea che egli fosse stato messo lì come figura di comodo in una situazione già compromessa.
4. L’Amministrazione di Sostegno come Indizio: Il fatto che l’imputato fosse stato posto sotto amministrazione di sostegno a tempo indeterminato un anno prima di assumere la carica è stato considerato un forte indizio della sua posizione di prestanome, scelto proprio per la sua fragilità e scarsa consapevolezza.

La Cassazione ha ribadito che l’amministrazione di sostegno non equivale a un’incapacità di intendere e volere, ma presuppone una condizione di infermità o menomazione che rende la persona non autonoma nella gestione dei propri interessi. Questa condizione è stata ritenuta ‘perfettamente compatibile’ con la conclusione di un’assenza del dolo di appropriazione.

Conclusioni: La Centralità della Prova del Dolo

La sentenza in esame riafferma un principio cardine del diritto penale: per una condanna non basta la prova del fatto materiale, ma è necessaria la prova, al di là di ogni ragionevole dubbio, della colpevolezza dell’imputato. Nel caso dell’appropriazione indebita, ciò significa dimostrare la volontà cosciente di sottrarre il bene altrui per un profitto ingiusto.

La Corte ha stabilito che il ruolo formale di amministratore non è sufficiente a fondare una responsabilità penale automatica. Il giudice di merito ha il dovere di valutare tutti gli elementi di fatto (i cosiddetti ‘elementi sintomatici’) per accertare se, in concreto, l’imputato abbia agito con l’intenzione richiesta dalla norma. In questo caso, la convergenza di più indizi ha portato i giudici a concludere, in modo logico e motivato, che l’amministratore era solo una pedina inconsapevole in un gioco gestito da altri, e come tale non poteva essere considerato colpevole.

Essere sottoposti ad amministrazione di sostegno esclude automaticamente il dolo in un reato come l’appropriazione indebita?
No, la Cassazione chiarisce che l’amministrazione di sostegno non esclude automaticamente il dolo. Tuttavia, la condizione di fragilità che ne è alla base può essere un elemento di fatto, tra gli altri, che il giudice può valutare per ritenere insussistente la volontà cosciente di commettere il reato.

Un amministratore ‘prestanome’ risponde sempre del reato di appropriazione indebita commesso dalla società?
Non necessariamente. La sentenza dimostra che se viene provato che l’amministratore era un mero ‘prestanome’, inconsapevole delle operazioni illecite e privo della volontà di appropriarsi dei beni altrui per un profitto ingiusto, può essere assolto per mancanza dell’elemento soggettivo (dolo).

Qual è la differenza tra imputabilità e dolo secondo la Corte?
L’imputabilità è la capacità di intendere e di volere, ovvero la condizione per poter essere chiamati a rispondere di un reato. Il dolo, invece, è l’elemento soggettivo del reato, ossia la coscienza e la volontà di compiere l’azione illecita. La Corte ha ribadito che sono due piani distinti e che l’assenza di dolo può essere accertata anche in un soggetto pienamente imputabile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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