Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 2333 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 2333 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/12/2023
SENTENZA
Sui ricorsi proposti da: RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALEin persona del legale rapp.te NOME COGNOME; avverso la sentenza della Corte di appello di Milano in data 20/9/2021 visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; preso atto che le ricorrenti sono stateautorizzate alla richiesta trattazione orale in presenza; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udita la requisitoria con la quale il Sostituto procuratore generale NOME COGNOME ha chiestodichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi; udita la discussione dell’AVV_NOTAIO in sostituzione dell’AVV_NOTAIO il quale ha chiesto l’accoglimento dei ricorsi; udita la discussione del difensore dell’imputato, AVV_NOTAIO, la quale si è associata alle conclusioni del Procuratore generale
RITENUTO IN FATTO
1.La Corte di appello di Milano con la sentenza indicata in epigrafe, riformando la sentenza del Tribunale di Milano emessa in data 20/9/2021, ha assolto COGNOME NOME dal delitto di appropriazione indebita a lui ascritto.
In particolare la Corte di appello ha ritenuto che la condotta delittuosa contestata all’imputato, consistita nell’appropriarsi, quale amministratore della RAGIONE_SOCIALE, a sua volta amministratrice unica della RAGIONE_SOCIALE della somma di euro 370.118,82, destinata alla RAGIONE_SOCIALE a titolo di contributi ambientali, non fosse sostenuta da dolo.
Avverso detta sentenza propongono ricorso per cassazione, agli effetti civili, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante, per mezzo del difensore e procuratore speciale, il quale denuncia violazione di legge in relazione agli artt. 85, 88,89, 42 e 43 c.p., 404 e 409 c.c., nonchè carenza ed illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta insussistenza del dolo di appropriazione indebita
2.1. Ad avviso delle ricorrenti la Corte d’appello avrebbe erroneamente sovrapposto il piano della imputabilità della condotta e quello del dolo, desumendo l’insussistenza dell’elemento soggettivo dalla circostanza che COGNOME, dal 31/1/2016, era stato sottoposto alla procedura di amministrazione di sostegno e pertanto, non poteva rendersi conto del disvalore delle proprie azioni; si tratterebbe secondo la prospettazione difensiva, di una condizione soggettiva rilevante ai fini della verifica della imputabilità ma non dell’elemento soggettivo del reato.
Aggiungono che la Corte di appello avrebbe motivato in maniera apparente sulla mancanza di dolo facendo esclusivamente riferimento al certificato del casellario giudiziario, da cui risultava l’apertura della procedura di amministrazione di sostegno, senza effettuare alcun accertamento concreto sul punto.
2.2. Con il secondo motivo si censura la sentenza per illogicità, contraddittorietà e mancanza di motivazione rafforzata avendo la Corte d’appello assolto l’imputato per carenza dell’elemento soggettivo in base all’assunto, erroneo, dell’essere COGNOME un mero prestanome. Si tratterebbe, secondo la difesa, di una conclusione illogica basata su dati inconferenti posto che l’incaricodi amministratore, diversamente da quanto ritenuto in sentenza, non aveva avuto una breve durata ma si era protratto per due anni(di tal che non poteva ritenersi che COGNOME lo svolgesse inconsapevolmente); che l’entità dell’importo dei contributo ambientale non versato dipendeva da
elementi esterni alla volontà dell’imputato e quindi non incideva sul dolo; che non vi erano elementi dimostrativi della presenza di un “amministratore di fatto”.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1 ricorsi sono basati su motivi infondati.
Il giudice di merito con motivazione puntuale e giuridicamente corretta ha esplicitato le ragioni del suo convincimento (si veda in particolare pag.6 della sentenza impugnata).
2.In primo luogo va osservato che, contrariamente a quanto si assume nel ricorso, il giudice di appello non ha fatto discendere dalla sottoposizione dell’imputato alla amministrazione di sostegno la prova della sussistenza dello stato di incapacità di intendere e di volere perchè così avrebbe effettivamente finito col sovrapporre i due piani: quello relativo all’imputabilità e quello della colpevolezza quale coscienza e volontà del fatto illecito che vanno, invece, tenuti distinti.
Come affermato dal consolidato orientamento di legittimità cui il collegio intende aderire, anche nei confronti del soggetto non imputabile o parzialmente imputabile, deve essere infatti stabilito, alla stregua delle regole di comune esperienza se l’evento prodotto sia stato “secondo l’intenzione”, “contro l’intenzione” o ” oltre l’intenzione” ( giusta le varie ipotesi di all’art. 43 c.p.) ( Sez. 6, n. 14795 del 08/04/2020,Rv. 278876).
Premessa, quindi, l’autonomia delle indagini sul dolo e sulla imputabilità, le ricorrenti nel proprio motivo contraddicono questo principio, attribuendo alla Corte di merito un errore nella valutazione dell’elemento soggettivo del reato, che non si ravvisa nella sentenza impugnata.
Il giudice di merito, infatti, ha accertato l’insussistenza del dolo alla stregu delle regole di comune esperienza secondo i normali criteri di valutazione e cioè sulla base di elementi di fatto aventi valore sintomatico che, invece, le società ricorrenti trascurano sollecitando alla Corte di legittimità una diversa lettura dei dati processuali non consentita nel giudizio di legittimità essendo precluso alla Corte di cassazione non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno (tra le altre, Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260).
I giudici di merito con motivazione puntuale, esente da vizi logici e corretta in diritto hanno significativamente evidenziato come : 1) nel periodo in cui COGNOME aveva ricoperto il ruolo di amministratore della RAGIONE_SOCIALE, l’importo dei contributi dovuti e non versati, era molto inferiore rispetto a quello non versato negli anni precedenti; 2) che le precedenti amministratrici avevano dichiarato di svolgere attività meramente cartolare, posto che il vero dominus della società era tale NOME COGNOME; 3) che un anno dopo l’assunzione della carica di amministratore da parte di COGNOME, la società venne posta in fallimento, ricavando da ciò la ragionevole conclusione che l’imputato fungesse solo da prestanome, deduzione avvalorata dal fatto che l’imputato a partire dal 13/1/2016 e cioè un anno prima della nomina quale amministratore di RAGIONE_SOCIALE, era stato sottoposto ad amministrazione di sostegno a tempo indeterminato.
In proposito preme ricordare che l’amministrazione di sostegno presuppone un’infermità o una menomazione che impediscono, anche temporaneamente, di provvedere ai propri interessi (art. 404 cod.civ.), circostanza perfettamente compatibile con la ritenuta assenza del dolo di appropriazione. Va al riguardo sottolineato che la procedura di nomina dell’amministratore di sostegno presuppone una condizione attuale d’incapacità, ma non esige che la persona versi in uno stato d’incapacità d’intendere o di volere, essendo sufficiente che sia priva, in tutto o in parte, di autonomia per una qualsiasi “infermità” o “menomazione fisica”, anche parziale o temporanea e non necessariamente mentale, che la ponga nell’impossibilità di provvedere ai propri interessi; in tale ipotesi, il giudice è tenuto, in ogni caso, a nominare un amministratore di sostegno, poiché la discrezionalità attribuitagli all’art. 404 cod. civ., ha ad oggetto solo la scelta della misura più idonea (amministrazione di sostegno, inabilitazione, interdizione) e non anche la possibilità di non adottare alcuna misura, che comporterebbe la privazione, per il soggetto incapace, di ogni forma di protezione dei suoi interessi, ivi compresa quella meno invasiva(Sez. 1 civ., Ordinanza n. 12998 del 15/05/2019,Rv. 653917). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
4. Quanto all’elemento soggettivo del reato di appropriazione indebita è bene ricordare che esso consiste nella coscienza e volontà di appropriarsi del denaro o della cosa mobile altrui, posseduta a qualsiasi titolo, sapendo di agire senza averne diritto e allo scopo di trarre per sé o per altri una qualsiasi illegittima utilità ( Sez. 2, 27023. Del 27/30012, Rv(253411).
In tale condivisibile ottica interpretativa va evidenziato che per potersi configurare il delitto di appropriazione indebita, occorre che la condotta tipizzata sia sostenuta dalla volontà di conseguire un ingiusto profitto o un
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vantaggio che si ponga come danno patrimoniale (cfr. Sez. 2, n. 36030 del 22/05/2014, Rv. 2608465ez. 2, Sentenza n. 30942 del 03/07/2015 Cc. (dep. 16/07/2015 ) Rv. 264555), aspetto che è stato adeguatamente valutato dalla sentenza impugnata e rispetto al quale non si rinviene la carenza di motivazione denunciata, essendo stati valorizzati elementi fattuali, tra i quali, ma non solo, la sottoposizione di COGNOME alla amministrazione di sostegno che hanno portato a ritenere insussistente l’elemento soggettivo del reato.
Sul punto la Corte territoriale ha, dunque, correttamente motivato applicando il canone di giudizio di cui all’art. 533 cod. proc. pen.
Alla luce delle considerazioni sopra riportate, i ricorsi vanno rigettatati; ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali
Roma, 1/12/2023
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Il Consigliere estensore
Il Presidente
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NOME COGNOME
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