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Appropriazione indebita: la Cassazione sulla pena

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per appropriazione indebita aggravata a carico di una consulente contabile. La ricorrente aveva sottratto oltre 112.000 euro a due società clienti. La Corte ha rigettato i motivi di ricorso, ritenendo la motivazione della Corte d’Appello logica e completa, e ha chiarito i criteri per la determinazione della pena e la concessione delle attenuanti generiche, escludendo una violazione del divieto di peggioramento della pena in appello.

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Pubblicato il 25 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Appropriazione indebita e calcolo della pena: la parola alla Cassazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26043/2025, è tornata a pronunciarsi sul reato di appropriazione indebita, fornendo importanti chiarimenti sui criteri di determinazione della pena e sulla valutazione dei motivi di ricorso. Il caso riguarda una consulente contabile condannata per aver sottratto ingenti somme di denaro a due società clienti. Analizziamo insieme la decisione per comprenderne la portata.

I Fatti del Caso

Una consulente contabile, avendo pieno accesso ai conti correnti di due società clienti tramite token per l’home banking, si appropriava di una somma complessiva di oltre 112.000 euro. A seguito della denuncia, veniva processata e condannata in primo grado per il reato di appropriazione indebita aggravata.

La Corte di Appello confermava il giudizio di colpevolezza, ma rideterminava la pena detentiva e riduceva parzialmente il risarcimento del danno dovuto alla parte civile. Contro questa decisione, la difesa della consulente proponeva ricorso per cassazione, lamentando vizi di motivazione sulla responsabilità e violazioni di legge nel calcolo della pena.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa ha articolato il ricorso su due fronti principali:

1. Vizio di motivazione sulla responsabilità: Si sosteneva che la Corte d’Appello avesse confermato la condanna senza un’analisi critica delle prove, limitandosi a un ‘copia-incolla’ della sentenza di primo grado e senza confutare specifici punti sollevati dalla difesa, come l’inattendibilità di alcuni testimoni e la mancanza di prove certe sul possesso del token bancario.
2. Violazione di legge sulla pena: La ricorrente lamentava un’errata determinazione della pena base, un mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e una presunta violazione del divieto di reformatio in peius (il divieto di peggiorare la pena in appello).

La Valutazione della Cassazione sul caso di appropriazione indebita

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, ritenendolo in parte inammissibile e in parte infondato.

Sul primo punto, i giudici hanno stabilito che la motivazione della Corte d’Appello non era affatto un ‘copia-incolla’, ma un’analisi puntuale e logica che aveva esaminato e confutato ogni doglianza difensiva. La Corte territoriale aveva adeguatamente giustificato l’attendibilità dei testimoni, individuato con precisione il periodo in cui l’imputata aveva avuto la disponibilità esclusiva dei token e ricostruito le operazioni illecite tramite l’analisi contabile.

Sul secondo punto, relativo alla pena, la Cassazione ha smontato le argomentazioni della difesa, chiarendo alcuni principi fondamentali.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione ha motivato il rigetto del ricorso affermando che la valutazione della Corte d’Appello è stata corretta e priva di vizi logici o giuridici. In particolare, è stato chiarito che:

Nessuna reformatio in peius*: Non vi è stata alcuna violazione del divieto di peggioramento della pena. Anzi, la Corte d’Appello aveva ridotto la sanzione detentiva rispetto al primo grado, applicando correttamente i nuovi e più favorevoli limiti edittali per il reato di appropriazione indebita.
* Congruità della pena: La pena base, sebbene superiore al minimo, è stata ritenuta congrua e ben motivata in base alla gravità dei fatti (art. 133 c.p.), considerando l’ingente somma sottratta, l’uso di artifizi contabili e l’intensità del dolo.
* Diniego delle attenuanti generiche: La Corte ha ribadito un principio consolidato: per la concessione delle attenuanti generiche non basta l’assenza di elementi negativi (come la fedina penale pulita), ma sono necessari elementi di segno positivo che giustifichino una riduzione della pena. La difesa non aveva fornito tali elementi, rendendo legittimo il diniego.

Conclusioni

Questa sentenza riafferma la solidità dei principi che governano il giudizio di legittimità e la determinazione della pena. La Corte di Cassazione non entra nel merito dei fatti, ma verifica che i giudici dei gradi precedenti abbiano applicato correttamente la legge e motivato le loro decisioni in modo logico e coerente. Il caso dimostra che un ricorso basato sulla mera riproposizione di argomenti già vagliati e respinti, senza evidenziare reali vizi di legittimità, è destinato all’insuccesso. Inoltre, conferma che la concessione delle attenuanti generiche è una scelta discrezionale del giudice di merito, che deve essere basata su elementi concreti e positivi, non sulla semplice assenza di precedenti penali.

Quando una Corte d’Appello può essere accusata di aver semplicemente “copiato” la sentenza di primo grado?
Secondo la Cassazione, non si può parlare di motivazione apparente o ‘copia-incolla’ quando il giudice d’appello esamina e confuta in modo logico e puntuale ciascuna doglianza presentata dalla difesa, anche se giunge alle stesse conclusioni del primo giudice e ne richiama le argomentazioni.

Cosa significa “divieto di reformatio in peius” e perché non è stato violato in questo caso di appropriazione indebita?
Il ‘divieto di reformatio in peius’ impedisce al giudice di peggiorare la situazione dell’imputato quando è solo lui a fare appello. In questo caso, non è stato violato perché la Corte d’Appello ha ridotto la pena detentiva inflitta in primo grado (da due anni e due mesi a un anno e otto mesi), applicando i nuovi limiti di pena più favorevoli.

Avere la fedina penale pulita è sufficiente per ottenere le attenuanti generiche?
No. La Corte di Cassazione ha ribadito che, specialmente dopo le modifiche legislative del 2008, la concessione delle attenuanti generiche (art. 62-bis c.p.) non può basarsi solo sullo stato di incensuratezza dell’imputato. È necessario che emergano elementi positivi che giustifichino una riduzione della pena, la cui assenza legittima il diniego da parte del giudice.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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