Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 26043 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 26043 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/06/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
Noventa NOME nata a Padova il 29/10/1975
avverso la sentenza emessa in data 10/09/2024 dalla Corte di appello di Venezia visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
preso atto che il procedimento si celebra con contraddittorio scritto, senza la presenza delle parti, in mancanza di rituale richiesta di trattazione orale secondo quanto disposto dagli artt. 610, commi 1 e 5 e 611, comma 1, cod. proc. pen.; udita la relazione svolta dalla consigliera NOME COGNOME
lette le conclusioni scritte depositate in data 19/05/2025 con le quali la Sostituta Procuratore generale, NOME COGNOME ha chiesto il rigetto del ricorso; lette le conclusioni scritte depositate in data 29/05/2025 dal difensore della ricorrente, avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Venezia, in parziale riforma della pronuncia emessa in data 27/11/2023 dal Tribunale di Padova, all’esito di giudizio dibattimentale nei confronti di NOME COGNOME, così statuiva:
-confermava il giudizio di responsabilità a carico dell’imputata per il delitto di cui all’art. 646 aggravato ai sensi dell’art. 61 n. 11 cod. pen. per essersi appropriata, in qualità di consulente contabile della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE della somma complessiva di euro 112.892, 39 di proprietà delle società medesime; -rideterminava la pena inflitta in anni due mesi sei di reclusione ed euro 2.500,00 di multa e riduceva la liquidazione del danno cagionato alla parte civile RAGIONE_SOCIALE Italia
s.r.l. in euro 112.692,39.
Ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME tramite il difensore di fiducia, articolando due motivi.
2.1. Con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. e), cod. proc. pen., la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in punto di giudizio di responsabilità.
Rileva la difesa ricorrente che la Corte di merito ha acriticamente avallato le argomentazioni del giudice di primo grado pedissequamente riportate in sentenza con la tecnica del “copia/incolla”, senza in alcun modo confrontarsi con le doglianze difensive prospettate nell’atto di appello concernenti:
(a) l’inattendibilità delle dichiarazioni rese da NOME COGNOME legale rappresentante delle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, inveritiere su molti aspetti precisamente elencati nell’atto di gravame e non supportate da adeguati riscontri, avendo la Corte di appello valorizzato, al riguardo, mere testimonianze de relato, in parte aventi come fonte addirittura la persona offesa; (b) l’assenza di prova in ordine al momento in cui l’imputata sarebbe entrata in e a quello successivo in cui tale chiavetta sarebbe stata restituita, con conseguente
possesso del token per effettuare pagamenti tramite home banking impossibilità di individuare la prima condotta appropriativa;
(c) il travisamento del dato probatorio da parte del giudice di primo grado in relazione al contratto di conferimento di incarico professionale all’imputata che non prevedeva la gestione di pagamenti per conto delle due società;
(d) la mancata ricostruzione delle singole condotte appropriative con riferimento alla natura e entità della somme distratte;
(d) l’assenza di ragioni per le quali erano state ricondotti all’imputata pagamenti effettuati, invece, in favore di soggetti terzi che non avevano alcun tipo di rapporto con costei e la mancata esplicitazione dei motivi per i quali alcuni
pagamenti effettuati dalla RAGIONE_SOCIALE erano stati ritenuti eccentrici rispetto alla attività di RAGIONE_SOCIALE;
(e) la presenza di plurimi elementi documentali a discarico che i giudici di appello non hanno esaminato, ad eccezione di due di essi rispetto ai quali ne è stata erroneamente affermata l’irrilevanza per la genericità del loro contenuto.
2.2. Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione di legge con riferimento agli artt. 533, comma 2, cod. proc. pen. e 81 cod. pen, la nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in punto di rideterminazione della pena base come operata dalla Corte di appello (in ragione dei nuovi limiti sanzionatori edittali stabiliti per la fattispecie di appropriazione indebita, a seguito dell pronuncia n. 46 del 22 marzo 2014 della Corte Costituzionale), di entità degli aumenti operati dal primo giudice a titolo di continuazione e di mancato riconoscimento di attenuanti generiche.
Quanto al primo profilo, rileva la difesa ricorrente che, a fronte del vigente minimo edittale pari a giorni 15 di reclusione, il collegio di merito ha immotivatamente stabilito la pena base nella misura di un anno e otto mesi di reclusione discostandosi dal minimo edittale in misura assai superiore da quella stabilita dal Tribunale (solo due mesi) rispetto al range minimo previgente (anni due di reclusione), così incorrendo anche in una sostanziale reformatio in peius.
Quanto al secondo profilo relativo agli aumenti a titolo di continuazione, la difesa ricorrente evidenzia che l’atto di appello lamentava la mancata individuazione, da parte del giudice di primo grado, del singolo aumento di pena operato per ciascun reato satellite; che il collegio di merito, con affermazione del tutto eccentrica, ha affermato, rispetto a tale doglianza, che con il gravame non erano state indicate le ragioni per le quali l’imputata avrebbe avuto interesse a conoscere l’entità dei singoli aumenti.
Si deduce, altresì, che la Corte di merito che ha escluso la natura indebita della somma di euro 200,00 bonificata all’imputata a titolo di un regolare rimborso spese e, per l’effetto ha ridotto il quantum di risarcimento liquidato alle parti civile, ma avrebbe dovuto anche escludere una delle condotte appropriative o comunque rimodulare l’aumento di pena ai sensi dell’art. 81 cod. pen.
Quanto al terzo profilo relativo al diniego di attenuanti generiche, la Corte di appello non ha preso in considerazione e valutato gli elementi positivi indicati nell’atto di appello (l’incensuratezza dell’imputata, la collaborazione processuale e la circostanza che la Noventa, successivamente ai reati contestati, non ha commesso ulteriori illeciti).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso non può trovare accoglimento.
E’ manifestamente infondato il primo motivo con il quale si deduce la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in punto di giudizio di responsabilità.
La censura, pur investendo formalmente la motivazione, si risolve nella prospettazione di una diversa valutazione di elementi probatori già adeguatamente condotta dalla Corte territoriale con un percorso argomentativo, scevro da manifeste illogicità, che esamina e confuta ciascuna doglianza dedotta nell’atto e che, messo a fronte a confronto con quello contenuto nella sentenza di primo grado, non risulta affatto redatto mediante la tecnica del c.d copia/incolla.
Il collegio di merito ha motivato in modo puntuale sulla affermata attendibilità della testimonianza di NOME COGNOME, rappresentante legale e socio di entrambe le società (pagg. 9 e 10 del provvedimento impugnato, con richiamo alle pagg. 5 6) prendendo in esame tutte le criticità intrinseche di tale portato dichiarativo prospettate nell’atto di gravame (che ha escluso) ed evidenziando gli elementi obiettivi di riscontro, individuati non in mere testimonianze de relato, bensì nell’apporto dichiarativo dell’impiegate COGNOME COGNOME che, a seguito di verifica, avevano personalmente rilevato irregolarità e incongruenze nell’operato dell’imputata e nella consulenza contabile prodotta dalla parte civile, non confutata con contributo tecnico introdotto dalla imputata, la quale aveva anche omesso di fornire giustificazioni in merito alle evidenti anomalie rilevate.
La Corte distrettuale ha precisamente individuato, sulla scorta delle risultanze probatorie, il momento in cui la Noventa era entrata in possesso dei token, necessari per effettuare i pagamenti (anche da remoto) per conto delle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, strumenti dei quali aveva avuto la disponibilità piena ed esclusiva dalla data del 01/02/2018 al 02/09/2019 (pagg. 10 e 11); ha anche disatteso la doglianza difensiva in ordine alla mancata ricostruzione delle singole operazioni distrattive e delle somme distratte, che invece emergevano nitidamente dal compendio istruttorio ed in particolare dalla analisi dell’intera contabilità aziendale per le annualità 2018 e 2019 che era stata condotta con corretta metodologia raffrontando i bonifici in uscita da conti correnti bancari delle società con le schede contabili e che non era stato in concreto confutato dalla difesa (pagg. da 12 a 14).
Quanto alla riconducibilità all’imputata di operazioni di pagamento effettuate in favore di soggetti terzi e relative ad obbligazioni del tutto eccentriche rispetto alla attività di RAGIONE_SOCIALE, il collegio di merito ha posto in luce come le indagi
svolte avevano consentito di verificare che i beneficiari in questione erano creditori della stessa Noventa (pagg.14-15).
Con riferimento, infine, alla valutazione delle prove introdotte a discarico (con il gravame la difesa si era doluta del mancato vaglio dei documenti n. 8 e 12 prodotti nel dibattimento di primo grado), la Corte di appello ne ha rilevato l’inconferenza rispetto al tema della condotta appropriativa, spiegando le ragioni di tale irrilevanza (pagg. 15 e 16).
Rispetto al dedotto travisamento del contratto di conferimento di incarico professionale il cui contenuto si assume essere stato valutato in modo difforme dal reale, tale documento non è allegato al ricorso, né è indicata la concreta incidenza di tale asserito vizio sulla tenuta logica della motivazione che non si ravvisa atteso che la Corte di appello ha ricavato la disponibilità esclusiva dei token in capo all’imputata, sin dall’inizio dell’incarico, dalle testimonianze di NOME COGNOME rappresentante legale e socio di entrambe le società, e della dipendente COGNOME
Il secondo motivo di ricorso è, in parte, inammissibile ed in parte infondato.
La censura secondo cui la Corte di appello, rideterminando la pena base, sarebbe incorsa in una sostanziale violazione del divieto di reformatio in peius è manifestamente erronea in quanto la sanzione detentiva per la violazione più grave è stata stabilita, tenendo conto dei nuovi limiti edittali (” fino a 5 anni”), un anno e otto mesi di reclusione (correttamente invariata la componente pecuniaria) e quindi in misura inferiore a quella inflitta dal primo giudice (anni 2 e mesi due di reclusione).
Tale quantum è stato ritenuto congruo con ampia motivazione, correttamente ancorata ai parametri di cui all’art. 133 cod. pen., dando rilievo alla ritenuta gravità dei fatti, commessi anche ricorrendo ad artifizi contabili, all’entità dell’importo sottratto per la violazione più grave (più di 5.000 euro) e alla intensità del dolo (pagg. 17 e 18).
La circostanza che la Corte di merito abbia escluso la natura indebita della somma di euro 200,00 bonificata all’imputata a titolo di regolare rimborso spese e, per l’effetto abbia ridotto il quantum di risarcimento liquidato alle parti civile, non imponeva, diversamente da quanto sostenuto nel ricorso, l’esclusione di una delle condotte appropriative, ma neppure una rimodulazione dell’aumento di pena irrogato a titolo di continuazione atteso che tale importo non risulta in imputazione oggetto di specifico ed autonomo addebito distrattivo.
Infondato è il secondo profilo di censura relativo alla mancata individuazione da parte del giudizio di appello del singolo aumento di pena stabilito per ciascuna delle condotte appropriative.
Se effettivamente appare eccentrica l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata relativa alla mancata prospettazione da parte della ricorrente di un
interesse a conoscere l’entità dei singoli aumenti, la Corte ha comunque correttamente posto in luce che il
quantum complessivo di aumento ai sensi
dell’art. 81 cod. pen. stabilito dal primo giudice era conforme al limite legale del triplo della pena base e che l’incremento non richiedeva una motivazione specifica
e dettagliata dei singoli aumenti per ciascuno dei reati satellite trattandosi di condotte seriali contraddistinte da modalità omogenee per le quali l’aumento
complessivo era stato anche particolarmente contenuto (pag. 18)
Quanto al lamentato diniego di circostanze attenuanti generiche, la doglianza
è manifestamente infondata.
La Corte territoriale ha fondato tale esclusione sulla assenza di elementi positivi, diversi dalla incensuratezza, anche sotto il profilo della mancanza di segni
di resipiscenza rispetto a fatti di elevato disvalore patrimoniale (pag. 18).
Si tratta di motivazione immune da vizi dovendosi ribadire il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui l’applicazione della diminuente prevista
dall’art. 62 bis cod pen., oggetto di un giudizio di fatto, non costituisce un diritto conseguente alla assenza di elementi negativi connotanti la personalità dell’imputato, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle circostanze in parola; soprattutto dopo la modifica dell’art. 62-bis cod. pen. operata con il dl. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modif. dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale la concessione della diminuente non può più fondarsi sul mero stato di incensuratezza dell’imputato, è sufficiente che il giudice di merito si limiti a dar conto della assenza di elementi o circostanze positive a tale fine (ex multis Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, COGNOME, Rv 283489; Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, COGNOME, Rv. 281590; Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, COGNOME, Rv. 270986).
Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali relative al presente grado di giudizio.
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P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il giorno 04/06/2025