Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 42978 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 42978 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/09/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposto da:
NOME, nata il DATA_NASCITA a Roma;
NOME NOME, nata il DATA_NASCITA a Roma;
NOME, nato il DATA_NASCITA a Frosinone;
avverso la sentenza della Corte di appello di Roma del 09/10/2023;
visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
sentite le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto ProRAGIONE_SOCIALEtore generale NOME COGNOME, che ha chiesto che i ricorsi vengano dichiarati inammissibili; sentito il difensore della Parte civile, RAGIONE_SOCIALE, AVV_NOTAIO, che ha chiesto che i ricorsi vengano dichiarati inammissibili o comunque rigettati;
sentito il difensore dei ricorrenti, AVV_NOTAIO, che ha insistito per l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Roma con sentenza del 9 ottobre 2023 (motivazione depositata il successivo 20 dicembre) ha, per quel che rileva in questa sede, confermato la condanna inflitta dal Tribunale di Roma agli imputati COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME (oltre che a COGNOME NOME, non ricorrente, in favore del quale, riconosciuta l’attenuante ex art. 62 n. 6 cod. pen, ha ridotto la pena concedendo la sospensione condizionale) in relazione al reato di cui all’art. 314 cod. pen.
L’imputazione in relazione alla quale è intervenuta la condanna concerne la condotta dei ricorrenti che – in qualità di caposala la COGNOME e di infermieri gli altri due imputati, in RAGIONE_SOCIALE presso l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, struttura accreditata presso il RAGIONE_SOCIALE, e dunque incaricati di un pubblico RAGIONE_SOCIALE – si appropriavano di medicinali di cui avevano il possesso o comunque la disponibilità in ragione del RAGIONE_SOCIALE stesso.
Avverso tale sentenza i sopraindicati imputati hanno, a mezzo del proprio difensore, proposto ricorsqtnet qualEtdeducono tre motivi.
3.1. Con il terzo motivo – avente natura pregiudiziale – si censura la sentenza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione in merito alla valutazione delle prove a carico degli imputati, in particolare evidenziandosi che l’affermazione di penale responsabilità si è basata su mere presunzioni e sulla indebita “assimilazione” delle diverse posizioni soggettive, senza individuare le singole condotte appropriative.
3.2. Il primo e secondo motivo, tra loro correlati, eccepiscono l’assenza della necessaria qualifica soggettiva pubblicistica di “incaricati di un pubblico RAGIONE_SOCIALE“; si evidenzia che la sentenza impugnata ha affermato detta qualifica sulla base del travisamento dell’orientamento giurisprudenziale di legittimità che ha riconosciuto tale elemento soggettivo in capo al personale infermieristico dipendente de aziende private accreditate presso il SSN (come l’RAGIONE_SOCIALE in oggetto) ma solo in relazione alle attività da detto personale poste in essere a contatto con i pazienti e nell’ambito di un rapporto di RAGIONE_SOCIALE e assistenza dei malati. Nel caso di specie, secondo la contestazione, si è trattato di appropriazione di medicinali di proprietà dell’ente privato senza che sia venuto in rilievo alcun profilo pubblicistico, non potendo ritenersi che la struttura sanitaria RAGIONE_SOCIALE e accreditata svolga una funzione pubblicistica “a 360°”, al di fuori delle concrete attività volte all’espletamento di funzioni sanitarie. Tale conclusione – si rileva – è avvalorata anche da pronunce dei Giudici amministrativi e dalla esclusione degli organismi
accreditati dalla disciplina del Codice dei contratti; elementi dai quali emerge che tali strutture sanitarie private non possono essere qualificate come “organismi di diritto pubblico”. Da ciò – secondo la prospettazione dei ricorrenti – deriva che, in relazione al rapporto intercorrente tra addetti sanitari e ospedale privato accreditato, non possono essere ritenuti sussistenti profili pubblicistici e che dunque l’eventuale appropriazione di beni del predetto non rientra nella fattispecie di peculato ma deve qualificarsi come appropriazione indebita aggravata dall’abuso di prestazione d’opera, reato non procedibile nella specie per mancanza della querela.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è parzialmente fondato.
Manifestamente infondato è il motivo con il quale si eccepisce la illogicità della motivazione in ordine alla prova delle condotte appropriative.
2.1. Invero, va preliminarmente evidenziato che nel caso di specie si è di fronte alla c.d. “doppia conforme”. Situazione, questa, che ricorre quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, NOME, Rv. 277218).
Ancora, è opportuno ribadire che in tema di giudizio di cassazione, esula dai poteri della Corte quello di operare una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali ritenute dal ricorrente più adeguate (Sez. U, n. 6402 del 2/07/1997, Dessimone, Rv. 207944; conforme, ex pluri bus, Sez. 1, n. 45331 del 17/02/2023; Rezzuto, Rv. 285504 01, che ha precisato come in tema di giudizio di legittimità, la cognizione della Corte di cassazione è funzionale a verificare la compatibilità della motivazione della decisione con il senso comune e con i limiti di un apprezzamento plausibile, non rientrando tra le sue competenze lo stabilire se il giudice di merito abbia proposto la migliore ricostruzione dei fatti, né condividerne la giustificazione).
Pertanto, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto
a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020 dep. 11/02/2021, F., Rv. 280601 – 01).
Fondata è invece la doglianza che attiene alla qualificazione giuridica del fatto.
3.1. La sentenza di appello ha confermato la valutazione del Tribunale (pag. 42 ss.) secondo cui nel caso di specie le condotte appropriative degli imputati hanno integrato la fattispecie di cui all’art. 314 cod. pen., richiamando al riguardo l’orientamento giurisprudenziale in ordine alla qualifica soggettiva degli infermieri.
I ricorrenti eccepiscono che detta conclusione contrasta con le decisioni dei Giudici amministrativi che hanno affrontato il tema della valenza pubblicistica delle strutture sanitarie accreditate. In particolare, nella sentenza del Consiglio di Stato n. 82 del 10 febbraio 2021 – indicata nel ricorso e sulla quale si è soffermato anche il Tribunale – ci si è chiesto se «la sussistenza del rapporto di accreditamento (tralaticiamente definito in giurisprudenza “a metà strada tra concessione di RAGIONE_SOCIALE pubblico e abilitazione tecnica idoneativa”), che rende gli operatori privati accreditati soggetti accomunati dal raggiungimento di fini di pubblico interesse di particolare rilevanza costituzionale e non semplici fornitori di servizi sanitari operanti in un ambito puramente contrattualistico (ex aliis, C.d.S., sez. III 3 febbraio 2020 n. 824), basti a rendere il soggetto accreditato “ente istituzionalmente competente” alla realizzazione dell’opera di interesse generale ovvero a renderlo “organo indiretto” dell’amministrazione, come nel caso della concessione o della delega. La risposta dev’essere negativa. La Sezione ha già avuto modo di osservare, con riferimento all’art. 17, comma 3, lett. c), d.P.R. n. 380/2001, che, mediante l’espressione “ente istituzionalmente competente”, la norma “non può riferirsi che ad enti pubblici, ovvero a soggetti che agiscono per conto di essi, come confermato dal fatto che soltanto nella seconda parte della proposizione normativa, concernente le opere di urbanizzazione, la disposizione si riferisce ad opere “eseguite anche da privati” (C.d.S., sez. V, 11 gennaio 2006, n. 51)”, traendone il corollario per cui, allora, “occorre … che, quando non sia esso stesso ente pubblico, il soggetto realizzatore abbia agito quale organo indiretto dell’amministrazione, come nella concessione o nella delega (C.d.S., sez. IV, 20 novembre 2017, n. 5356, Id., sez. IV, 30 agosto 2016, n. 3721, con riferimento alla previsione ora contenuta nell’art. 17 co. 3, lett. c, D.P.R. n. 380 del 2001)” (C.d.S., sez. II, 23 luglio 2019, n. 5194). La corrispondente disposizione RAGIONE_SOCIALE, sopra riprodotta, non conteneva alcuna differenza significativa che ne potesse giustificare una diversa lettura rispetto alla normativa statale, peraltro neppure propugnata dalla stessa appellante. Correttamente il T.A.R. ha riconosciuto che il rapporto di accreditamento tra la RAGIONE_SOCIALE e il RAGIONE_SOCIALE non avesse caratteri tali da far ritenere che l’ampliamento della struttura RAGIONE_SOCIALE potesse dirsi realizzato in nome o per conto della struttura pubblica od ancora quale espressione delle “competenze istituzionali” della stessa. Il rapporto di accreditamento ha per oggetto l’erogazione di specifiche prestazioni sanitarie sulla base della stipula di apposita convenzione e presuppone la valutazione, da parte della Regione, degli elementi relativi al fabbisogno assistenziale, al volume dell’attività erogabile, alla programmazione di settore, al possesso dei requisiti da parte delle strutture private ed agli oneri finanziari sostenibili, non sottraendosi i sistema dell’accreditamento al preminente esercizio del potere autoritativo Corte di Cassazione – copia non ufficiale
conformativo, di natura concessoria, dell’amministrazione, che assolve la funzione di ricondurre in un quadro di certezza il volume e la tipologia dell’attività del soggetto accreditato, il cui concorso con le strutture pubbliche nelle prestazioni di assistenza non avviene in un contesto di assoluta libertà di iniziativa e di concorrenzialità , ma – nella misura in cui comporta una ricaduta sulle risorse pubbliche – soggiace alla potestà di verifica sia tecnica che finanziaria della Regione ed a criteri di sostenibilità, nei limiti di spesa annuali (C.d.S., sez. III, 27 apri 2015, n. 2143). È, dunque, da escludere che la sola esistenza di un rapporto di accreditamento (che costituisce condizione necessaria, ma non sufficiente, all’ammissione tra i soggetti abilitati ad erogare prestazioni in favore del S.S.N.: C.d.S., sez. III, 14 settembre 2015, n. 4271), possa determinare l’effetto di una sostanziale assimilazione del soggetto accreditato all’ente pubblico al di là dei limiti e dello specifico oggetto della relativa convenzione».
3.2. Tale conclusione, certamente condivisibile, non risolve però la questione oggetto del ricorso, dal momento che la disciplina contenuta negli artt. 357 e 358 cod. pen. non consente di desumere la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico RAGIONE_SOCIALE dalla mera natura dell’ente di appartenenza, in quanto la funzione pubblica e il pubblico RAGIONE_SOCIALE possono essere svolti sia da soggetti privati che da soggetti pubblici (Sez. 6, n. 5550 del 16/12/2021 – dep. 16/02/2022), COGNOME). A seguito della legge 26 aprile 1990, n. 86, il legislatore ha, infatti, delineato la nozione di pubblico ufficiale (art. 357 cod. pen.) e di incaricato di un pubblico RAGIONE_SOCIALE (art. 358 cod. pen.) secondo una concezione oggettivofunzionale, che ha superato il riferimento presente nella disciplina previgente al «rapporto di dipendenza con la pubblica amministrazione», e che si incentra sul regime giuridico dell’attività concretamente esercitata. Il perseguimento dell’interesse pubblico è, del resto, pienamente compatibile con il ricorso a forme non imperative dell’attività svolta e, dunque, con un regime integralmente privatistico della stessa.
4. Come ricordato nella sentenza impugnata, questa Corte (Sez. 5, n. 9393 del 16/12/2019 – dep. 2020, Feleppa, Rv. 278665 – 01) ha ritenuto che «l’infermiere operante in una struttura sanitaria RAGIONE_SOCIALE, anche se non accreditate con il RAGIONE_SOCIALE, riveste la qualità di incaricato di pubblico RAGIONE_SOCIALE, in quanto l’attività svolta, come evidenziato anche dall’art. 1 della legge 10 agosto 2005, n. 251, persegue finalità pubbliche di rilievo costituzionale, garantendo il diritto alla salute individuale e collettiva ed esercita, quindi, un’attività amministrativa con poteri certificativi assimilabili a quelli del pubblico ufficiale quando redige la cartella o la scheda infermieristica. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto configurabile il delitto di cui agli artt. 476 e 479 cod. pen. per le
false attestazioni compiute in una scheda infermieristica di una RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, in quanto atto destinato a confluire nella cartella clinica, condividendone, quindi, la natura di atto pubblico munito di fede privilegiata)».
In tale pronuncia si è precisato che «l’infermiere in ragione dell’attività espletata, riveste la qualità di incaricato di pubblico RAGIONE_SOCIALE, in quanto tale attività persegue finalità pubbliche di rilievo costituzionale, garantendo il diritto alla salute, ai sensi dell’art. 32 Cost. e, come evidenziato dall’art. 1 della L. 251/2000, si inscrive appunto in un’attività diretta alla prevenzione, alla RAGIONE_SOCIALE e salvaguardia della salute individuale e collettiva. Più volte questa Corte ha evidenziato come debba essere riconosciuta la qualifica di incaricati di un pubblico RAGIONE_SOCIALE ad infermieri ed operatori tecnici addetti all’assistenza, con rapporto diretto e personale, del malato (Sez. 6, n. 2996 del 11/12/1995 – dep. 26/03/1996, Preconia, Rv. 204520 – 01). Tale inquadramento non risulta scalfito dal fatto che l’espletamento di tale attività sanitaria avvenga in strutture private accreditate (come quella nella quale si sono svolti i fatti, secondo l’elenco pubblicato dalla ASL di Salerno), ovvero che per essa si sia fatto ricorso a strumenti privatistici, o comunque che la disciplina del rapporto di lavoro sia retta dalle norme del codice civile, poiché la rilevanza pubblica dell’attività svolta non risulta eliminata, siccome determinata dalle oggettive finalità di tutela e dal rapporto diretto e personale dell’infermiere con il malato (arg. ex. Sez. 2, n. 769 del 11/11/2005, Rv. 232989). Nel momento in cui l’infermiere redige la cartella infermieristica esercita anche un’attività amministrativa con poteri certificativi assimilabili a quelli del P.U. Solo quando l’attività svolta dagli infermieri – per la quale viene percepito un corrispettivo, risulti estranea alle attribuzioni di ufficio ed al particolare rapporto intercorrente con il malato, siccome compiuta nell’esercizio della loro professione sanitaria – può parlarsi di attività svolta da persone esercenti un RAGIONE_SOCIALE di pubblica necessità, la cui falsificazione è punita a norma dell’art. 481 cod. pen.». Corte di Cassazione – copia non ufficiale
4.2. Rileva il Collegio che tale pronuncia concerne l’attività – avente indubbiamente rilievo pubblicistico – svolta dall’infermiere in un ambito esterno al mero rapporto di lavoro con la struttura sanitaria RAGIONE_SOCIALE e il relativo principio non può quindi essere trasposto al profilo della qualificazione giuridica di condotte appropriative di beni propri della struttura sanitaria accreditata (che rimangano confinate all’interno del rapporto privatistico ospedale-dipendente).
Invero, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che «il parametro di delimitazione esterna del pubblico RAGIONE_SOCIALE è identico a quello della pubblica funzione ed è costituito da una regolamentazione di natura pubblicistica, che vincola l’operatività dell’agente o ne disciplina la discrezionalità in coerenza con il principio di legalità, senza lasciare spazio alla libertà di agire quale contrassegno tipico dell’autonomia RAGIONE_SOCIALE (Sez. 6, n. 53578 del 21/10/2014, Cofano, Rv.
261835 – 01; Sez. 6 n. 39359 del 07/03/2012, COGNOME, Rv. 254337 – 01). Agli effetti della legge penale, dunque, l’esercizio della pubblica funzione o del pubblico RAGIONE_SOCIALE da parte dell’agente deve essere escluso quando l’attività svolta dal soggetto sia regolata in forma privatistica, anche se ne è parte una persona giuridica pubblica o una società partecipata quasi totalitariamente da un ente pubblico. Il criterio oggettivo-funzionale della nozione di «pubblico ufficiale» impone, dunque, un attento scrutinio dell’attività concretamente esercitata dal soggetto, la ricerca e l’individuazione della disciplina normativa alla quale essa è sottoposta, quale che sia la connotazione soggettiva del suo autore, e la verifica della presenza dei poteri tipici della potestà amministrativa, come indicati dal secondo comma dell’art. 357 cod. pen., id est la constatazione che, nel suo svolgimento, l’agente abbia concorso alla formazione o alla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione ovvero esercitato poteri autoritativi o certificativi (Sez. U, n. 10086 del 13/07/1998, Citaristi, Rv. 211190; Sez. 6, n. 1943 del 13/01/1999, COGNOME ed altro, Rv. 213910)» (così, Sez. 6, n. 24598 del 08/02/2023, COGNOME, Rv. 284914 – 01). Tale principio deve operare anche in riferimento al presupposto della fattispecie del peculato rappresentato dal possesso o comunque della disponibilità del denaro o della cosa mobile altrui “per ragione del pubblico ufficio o RAGIONE_SOCIALE“. In difetto di tale rapporto, infatti, condotte appropriative restano confinate all’interno della sfera del rapporto tra ente e dipendente dello stesso, rapporto nel caso di specie di natura privatistica. Né sul punto appare rilevante la circostanza – evidenziata dal Tribunale – secondo cui l’RAGIONE_SOCIALE sarebbe stato finanziato per lo svolgimento dell’attività sanitaria anche con fondi pubblici. Tale profilo non incide comunque sul “rapporto interno” tra dipendente e ospedale, rapporto in sé non connotato da profili pubblicistici. In conclusione, nella condotta degli imputati non si ravvisa il necessario collegamento tra il possesso o la disponibilità dei beni dell’ospedale e la qualifica soggettiva pubblicistica del personale infermieristico, qualifica che non può ritenersi “a tutto tondo” ma va riservata allo svolgimento di funzioni “esterne” al mero rapporto di lavoro dipendente. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Alla stregua dei rilievi che precedono, pertanto, le condotte contestate agli imputati devono essere qualificate come ipotesi di appropriazione indebita di cui agli artt. 81, 646 cod. pen., aggravata dall’abuso di prestazione di opera ai sensi dell’art. 61 n. 11, cod. pen. Integra, infatti, il delitto di appropriazione indebi aggravato dall’abuso delle relazioni di ufficio la condotta del dipendente che si appropri di denaro o beni dell’ente stessa distraendolo dallo scopo cui è destinato (ex plurimis: Sez. 2, n. 50087 del 14/11/2013, Biondo, Rv. 257646 -01). Tale diversa qualificazione giuridica del fatto – operata direttamente in sentenza da
questa Corte senza preventivamente renderne edotte le parti – non determina, alcuna compressione o limitazione del diritto al contraddittorio, in conformità dell’art. 111, comma 2, Cost. e dell’art. 6 CEDU, secondo l’interpretazione della giurisprudenza della Corte EDU nella sentenza 11 dicembre 2007, Drassich c. Italia. Essa, infatti, non è avvenuta «a sorpresa», dal momento che i ricorrenti hanno espressamente invocato la diversa qualificazione in termini di appropriazione indebita (secondo motivo).
5.1. Secondo i ricorrenti, peraltro, detto reato sarebbe, a seguito della riforma del 2018, divenuto improcedibile per mancanza della necessaria querela. Dagli atti risulta che l’RAGIONE_SOCIALE si è costituito parte civile prima del mutamento del regime di procedibilità di tale reato, conseguente all’intervento del d.lgs. n. 36 del 2018 (in particolare, nel corso dell’udienza preliminare del 15 febbraio 2018, quindi precedentemente alla modifica del regime di perseguibilità, entrato in vigore il 9 maggio 2018). Trova quindi applicazione il principio recentemente riaffermato in riferimento alle modifiche del regime di procedibilità dei reati – in base al quale «la costituzione di parte civile non revocata equivale a querela ai fini della procedibilità di reati originariamente perseguibili d’ufficio, divenuti perseguibili a querela a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (cd. riforma “Cartabia”), posto che la volontà punitiva della persona offesa, non richiedendo formule particolari, può essere legittimamente desunta anche da atti che non contengono la sua esplicita manifestazione» (Sez. 3, n. 27147 del 09/05/2023, S., Rv. 284844 – 01). L’appropriazione indebita posta in essere dagli imputati risulta quindi procedibile.
6. Per tale reato – risalendo i fatti contestati al novembre 2015 – è intervenuta la prescrizione. Infatti, la sentenza di primo grado dà atto di due cause di sospensione del processo (e del corso della prescrizione) relative, la prima, all’adesione dei difensori all’astensione proclamata dagli organismi rappresentativi dell’Avvocatura – dal 2 dicembre 2019 al 6 aprile 2020 – e la seconda, dal 6 aprile al 4 giugno 2020, per l’emergenza sanitaria da Covid 19. I reati di appropriazione indebita risultano quindi prescritti al dicembre 2023 (dopo la sentenza di appello, emessa il 9 ottobre 2023).
Pertanto, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio per estinzione dei reati ascritti agli imputati, con conferma, ai sensi dell’art. 578 cod. proc. pen. delle statuizioni civili, risultando provata la condotta illecita a danno della Parte civile, ancorchè diversamente qualificata. Segue la condanna dei ricorrenti alla rifusione delle spese di rappresentanza e giudizio della Parte civile, liquidate come da dispositivo.
La declaratoria di intervenuta prescrizione si estende a favore del condannato non ricorrente COGNOME NOME, nei cui confronti vanno confermate le statuizioni civili.
Infatti, il predetto si trova nella medesima situazione degli imputati ricorrenti e l’accoglimento dei motivi a sostegno del ricorso per cassazione, anche se attinenti alla differente qualificazione giuridica del reato ascritto, giova anche ai coimputato non ricorrente «in virtù dell’effetto estensivo dell’impugnazione, previsto dall’art. 587, comma primo, cod. proc. pen., che opera di diritto come rimedio straordinario nei confronti di tutti coloro che sono stati giudicati con la stessa sentenza soggetta a impugnazione, al fine di assiRAGIONE_SOCIALEre la “par condicio” degli imputati che si trovino in situazioni identiche, rendendoli partecipi del beneficio conseguito dai coimputati non impugnanti» (così, Sez. 1, n. 1475 del 07/05/1999, COGNOME e altri, Rv. 213507 – 01).
P.Q.M.
Riqualificati i fatti contestati nel diverso reato di cui agli artt. 646, 61 n. 11 cod. pen. annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per intervenuta prescrizione, annullamento che, per effetto dell’art. 587 cod. proc. pen., produce effetto anche nei confronti del coimputato non ricorrente COGNOME NOME, con conferma delle statuizioni civili anche per quest’ultimo. Condanna COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa della Parte civile, RAGIONE_SOCIALE, che liquida in complessivi euro 3.000,00 oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 17 settembre 2024
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