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Appropriazione indebita in ospedale: non è peculato

La Corte di Cassazione ha riqualificato il reato commesso da infermieri di un ospedale privato accreditato, che si erano impossessati di farmaci, da peculato ad appropriazione indebita aggravata. La Corte ha chiarito che il rapporto di lavoro con l’ente privato non implica di per sé la qualifica di incaricato di pubblico servizio per ogni attività svolta. Sebbene il reato sia stato dichiarato prescritto, sono state confermate le condanne al risarcimento del danno in sede civile.

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Pubblicato il 11 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Appropriazione indebita in ospedale: quando non è peculato

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato il delicato tema della qualificazione giuridica della sottrazione di farmaci e presidi medici da parte del personale infermieristico in una struttura sanitaria privata accreditata. Il caso solleva una questione fondamentale: tale condotta costituisce il più grave reato di peculato o si configura come appropriazione indebita? La risposta della Suprema Corte chiarisce i confini della qualifica di ‘incaricato di un pubblico servizio’ per gli operatori sanitari.

I Fatti del Processo

Il caso ha visto coinvolti una caposala e alcuni infermieri di un ospedale privato di Roma, accreditato presso il Servizio Sanitario Nazionale. Essi erano stati condannati in primo grado e in appello per il reato di peculato (art. 314 c.p.) per essersi appropriati di medicinali e presidi sanitari di proprietà dell’ospedale, di cui avevano la disponibilità in ragione del loro servizio. I beni sottratti erano stati ritrovati nelle loro abitazioni, auto e in un armadietto a uso esclusivo.

La difesa degli imputati ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo principalmente un punto cruciale: la loro condotta non poteva essere qualificata come peculato, in quanto essi non rivestivano la qualifica di incaricati di un pubblico servizio nell’ambito del rapporto meramente interno e patrimoniale con la struttura sanitaria. Di conseguenza, il fatto andava ricondotto al reato di appropriazione indebita aggravata, con importanti conseguenze sulla procedibilità e sulla prescrizione.

La qualificazione del reato: perché si tratta di appropriazione indebita

La Corte di Cassazione ha accolto la tesi difensiva, ritenendo fondata la doglianza sulla qualificazione giuridica del fatto. La Corte ha operato una distinzione fondamentale tra le diverse attività svolte dal personale infermieristico.

La duplice natura dell’attività infermieristica

I giudici hanno ribadito che un infermiere, anche se dipendente di una struttura privata, riveste la qualifica di incaricato di un pubblico servizio quando svolge attività che incidono direttamente sulla cura e l’assistenza del paziente. Ad esempio, la compilazione della cartella infermieristica è un’attività con poteri certificativi assimilabili a quelli di un pubblico ufficiale. Queste funzioni, infatti, perseguono finalità pubbliche di tutela della salute, costituzionalmente garantite.

Il rapporto interno con la struttura

Tuttavia, la Corte ha specificato che questa qualifica pubblicistica non si estende ‘a tutto tondo’ a ogni aspetto del rapporto di lavoro. La gestione e il possesso dei farmaci e del materiale sanitario all’interno dei magazzini e delle medicherie ospedaliere derivano dal rapporto di lavoro di natura privatistica tra il dipendente e l’ente. La sottrazione di questi beni, quindi, non avviene ‘per ragione del pubblico servizio’, ma nell’ambito di una relazione lavorativa privata. L’appropriazione di beni di proprietà del datore di lavoro da parte di un dipendente configura, per l’appunto, il reato di appropriazione indebita, aggravato dall’abuso delle relazioni d’ufficio (art. 646 e 61 n. 11 c.p.).

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha chiarito che il criterio per distinguere la funzione pubblica dal rapporto privato è oggettivo-funzionale. Bisogna analizzare l’attività concretamente esercitata. L’esercizio di una pubblica funzione o di un pubblico servizio è escluso quando l’attività del soggetto è regolata in forma interamente privatistica. Nel caso di specie, il possesso dei farmaci da parte degli infermieri era legato al loro ruolo di dipendenti dell’ospedale e non all’esercizio di poteri pubblicistici esterni. Pertanto, la condotta appropriativa resta confinata nella sfera del rapporto di lavoro privato, integrando l’ipotesi di appropriazione indebita.

Le conclusioni: Annullamento per prescrizione e conferma delle statuizioni civili

La riqualificazione del reato ha avuto conseguenze decisive. Il delitto di appropriazione indebita ha un termine di prescrizione più breve rispetto al peculato. La Corte, effettuati i calcoli e tenuto conto delle sospensioni, ha dichiarato il reato estinto per intervenuta prescrizione. Di conseguenza, la sentenza di condanna è stata annullata senza rinvio. È importante sottolineare, però, che l’annullamento ha riguardato solo gli effetti penali. Ai sensi dell’art. 578 c.p.p., la Corte ha confermato le statuizioni civili, essendo stata provata la condotta illecita a danno della parte civile (l’ospedale). Gli ex imputati sono stati quindi condannati a rifondere le spese legali e restano obbligati al risarcimento del danno.

Un infermiere di una clinica privata accreditata è sempre un incaricato di pubblico servizio?
No, la qualifica di incaricato di pubblico servizio va valutata in base all’attività concreta. Si applica alle funzioni di natura pubblicistica (es. cura del paziente, compilazione di cartelle cliniche), ma non al mero rapporto di lavoro interno con la struttura privata.

L’appropriazione di farmaci da parte di un infermiere in una struttura privata è peculato o appropriazione indebita?
Secondo la sentenza, si tratta di appropriazione indebita aggravata. Il reato di peculato non è configurabile perché il possesso dei farmaci deriva dal rapporto di lavoro privato con l’ospedale e non dall’esercizio di una funzione pubblica.

Cosa succede se un reato viene riqualificato e nel frattempo si prescrive?
La sentenza di condanna viene annullata senza rinvio perché il reato è estinto per prescrizione. Tuttavia, se c’è una parte civile costituita, le statuizioni civili (come il risarcimento del danno) possono essere confermate, in quanto la condotta illecita è stata comunque accertata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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