Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 3754 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 3754 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/12/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI MILANO
parte civile COGNOME NOME, nata a Como il DATA_NASCITA
nel procedimento a carico di:
COGNOME NOME, nato a Como il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 12/07/2023 della Corte d’appello di Milano visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME, la quale ha concluso chiedendo che il ricorso del Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Milano sia rigettato; letta la memoria dell’AVV_NOTAIO, difensore di COGNOME NOME, con la quale si chiede che il ricorso del Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Milano sia dichiarato inammissibile o, in subordine, infondato; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 12/07/2023, la Corte d’appello di Milano, in riforma della sentenza del 20/06/2022 del Tribunale di Como – che aveva condannato NOME COGNOME alla pena di due anni e sei mesi di reclusione ed C 1.500,00 di multa per il reato di appropriazione indebita di un’autovettura e di due motocicli di proprietà della ex convivente NOME COGNOME, alla quale tali mezzi erano stati
fiduciariamente intestati dal COGNOME, oltre che alla restituzione dei medesimi mezzi alla COGNOME e al risarcimento del danno da essa subito – assolveva il COGNOME per non avere commesso il fatto, revocando le statuizioni civili.
Avverso l’indicata sentenza del 12/07/2023 della Corte d’appello di Milano, hanno proposto ricorsi per cassazione il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Milano e, per il tramite del proprio difensore, la parte civile NOME COGNOME.
Il ricorso del Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Milano è affidato a un unico motivo, con il quale il ricorrente deduce, in relazione alla lett. b) del comma 1 dell’art. 606 cod. proc. pen., l’inosservanza dell’art. 110 cod. pen., e, in relazione alla lett. e) del comma 1 dell’art. 606 cod. proc. pen., la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, con riguardo all’esclusione del concorso dell’imputato nel contestato reato di appropriazione indebita.
Secondo il ricorrente, tali vizi di inosservanza della legge penale e motivazionali risulterebbero dalle seguenti considerazioni: a) la Corte d’appello di Milano ha affermato il diritto della parte civile NOME COGNOME a ottenere la restituzione dell’autovettura e dei due motocicli che le erano stati fiduciariamente intestati dall’imputato; b) il fatto, evidenziato dalla stessa Corte d’appello, che l Procura della Repubblica presso il Tribunale di Como avesse elevato un’imputazione nei confronti della madre dell’imputato NOME COGNOME e del compagno di lei NOME COGNOME sarebbe «irrilevante ai fini della condotta illecita del COGNOME»; c questi non aveva mai affermato che sua madre NOME COGNOME gli avesse sottratto l’autovettura e i due motocicli, con la conseguenza che si dovrebbe ritenere che tali mezzi, che risultavano essere stati sempre utilizzati dal COGNOME sin dall’adolescenza, fossero stati «appresi con il suo consenso»; d) la pretesa della madre dell’imputato NOME COGNOME che NOME COGNOME pagasse il deposito nel proprio garage dei tre mezzi sarebbe illegittima, sia perché il privato NOME COGNOME non poteva vantare alcun diritto di ritenzione sia, soprattutto, perché sarebbe stato pacifico in causa che NOME COGNOME non aveva mai consegnato gli stessi mezzi alla COGNOME, sicché questa «non poteva compere alcuna “interversio possessionis” nei confronti della stessa COGNOME»; e) sarebbe manifestamente illogico ritenere che NOME COGNOME «dovesse inoltrare la diffida al proprio figlio, NOME NOME, atteso che costui non ne era più proprietario ma solo il possessore che aveva pacificamente prestato il consenso volontario a farglieli detenere nel garage ma non aveva alcun titolo per poterglieli cedere, avendoli alienati in precedenza con “reale trasferimento della proprietà” alla parte civile»; f) sarebbe «aberrante ritenere che l’appropriazione indebita della COGNOME, mai denunciata da COGNOME, sia stata commessa in odio a COGNOME stesso e non già, in concorso col figlio
COGNOME, in odio alla COGNOME»; g) sarebbe illogico ritenere che il COGNOME non avesse il potere di indurre la propria madre NOME COGNOME a consegnare i tre beni mobili registrati, atteso che egli non l’aveva mai denunciata per qualsiasi «reato delittuoso appropriativo», ma aveva prestato il proprio consenso a che essa li detenesse, con la conseguenza che «non contro la volontà di COGNOME, bensì mediante la sua volontà, lui consenziente, COGNOME non ha mai posseduto i mezzi di cui trattasi e quindi mai avrebbe potuto affidarli alla COGNOME; essi erano rimasti nell esclusiva disponibilità del COGNOME e depositati nel garage».
4. Il ricorso della parte civile NOME COGNOME è affidato a un unico motivo, con il quale la ricorrente deduce, in relazione alla lett. b) del comma 1 dell’art. 606 cod. proc. pen., la violazione degli artt. 110 e 646 cod. pen., con riguardo all’assoluzione dell’imputato dal contestato reato di appropriazione indebita per non avere commesso il fatto.
Secondo la ricorrente, tali vizi di inosservanza della legge penale e motivazionali risulterebbero dalle seguenti considerazioni: a) le sentenze di merito hanno conformemente affermato che NOME COGNOME era la proprietaria dell’automobile e dei due motocicli; b) nel capo d’imputazione, il concorso del COGNOME con sua madre NOME COGNOME «non era neppure ipotizzabile dalla Pubblica Accusa», atteso che i suddetti tre mezzi, che erano stati utilizzati solo dal COGNOME sin dall’adolescenza, nonostante il trasferimento fiduciario della proprietà di essi a NOME COGNOME, erano rimasti nella disponibilità del COGNOME, essendo pacifico in causa che egli li aveva volontariamente depositati nel garage della residenza, in comune con la madre NOME COGNOME, sita in Como, INDIRIZZO, e che dagli atti di causa non era emerso alcun elemento che potesse avvalorare un’abusiva appropriazione degli stessi mezzi da parte della COGNOME ai danni del figlio NOME COGNOME, con la conseguenza che la COGNOME si doveva ritenere la mera detentrice dei tre mezzi «mediante il consenso volontario e comune di suo figlio NOME COGNOME» e che la stessa COGNOME «non poteva non riconoscere che delle sorti dei beni poteva decidere colui che glieli aveva dati volontariamente»; c) «il silenzio serbato dal COGNOME circa la restituzione dei beni all’avente diritto/proprietaria, rende pienamente ragione del suo concorso con la propria madre nel negare la restituzione alla parte civile COGNOME»; d) la sentenza impugnata avrebbe errato con l’affermare che una diffida sarebbe stata fatta «alla sola COGNOME, non anche al COGNOME» (pag. 4 della sentenza impugnata), atteso che nessuna diffida fu mai fatta alla COGNOME e che dall’istruttoria dibattimentale risultere esclusivamente che, il 06/05/2019, la COGNOME inviò alla COGNOME una raccomandata (alla stessa mai pervenuta) nella quale menzionava un diritto di ritenzione dei tre mezzi assolutamente non spettante al privato; e) il COGNOME fu avvisato da un collega di lavoro dell’intervento dei RAGIONE_SOCIALE, il 03/05/2019, presso il
menzionato indirizzo in INDIRIZZO, INDIRIZZO (o, secondo la sentenza di primo grado, San Michele del Carso) e, ciò nonostante, «si guardò bene dal conferire con la madre e perfino quantomeno chiederle se volesse effettuare la suddetta restituzione», come pure di offrire la restituzione dei tre beni, con la COGNOME che «s è assunta l’onere del “lavoro sporco” rifiutando la consegna»; f) il concorso di madre e figlio nell’appropriazione indebita sarebbe perciò «lampante» e il concorso del COGNOME sarebbe stato escluso «con palese erroneità, illogicità e violazione di legge»; g) il già ricordato fatto che la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Como avesse elevato un’imputazione nei confronti della madre dell’imputato NOME COGNOME e del compagno di lei NOME COGNOME si doveva evidentemente spiegare con il fatto che il COGNOME era già stato condannato dal Tribunale di Como; h) la conferma dell’assoluzione del COGNOME renderebbe «improbabile se non impossibile» la condanna di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, atteso che la COGNOME querelò il solo COGNOME, con la conseguenza che, «recitando “due parti in commedia” COGNOME NOME NOMEperché il giorno dell’accesso era assente”, COGNOME NOME “perché non è stata querelata dalla parte offesa”, la pretesa punitiva dello Stato resterebbe delusa con grave ingiustizia»; i) anche nel corso del dibattimento, il COGNOME aveva rifiutato di restituire i tre mezzi, ciò che aveva impedito la conciliazione tra le par I) la violazione dell’art. 110 cod. pen. sarebbe resa palese, come correttamente sostenuto anche dal Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Milano, dai fatti che l’imputato, sia in occasione del ricordato intervento dei RAGIONE_SOCIALE, sia successivamente, anche nel corso del processo, aveva rifiutato di restituire i tre mezzi «con la puerile scusa che erano nel garage della propria madre, peraltro situato nella stessa abitazione di INDIRIZZO dove risiede il COGNOME» e che NOME COGNOME «con il tacito assenso del figlio NOME COGNOME, si è rifiutata il 06/05/2019 di consegnare i mezzi ai RAGIONE_SOCIALE ed anche successivamente al pari del figlio». Corte di Cassazione – copia non ufficiale
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi – i quali, sollevando censure sostanzialmente analoghe, possono essere esaminati congiuntamente – sono fondati.
La Corte di cassazione ha chiarito che, in tema di giudizio di appello, la motivazione rafforzata, la quale è richiesta nel caso di riforma della sentenza di primo grado sia assolutoria sia di condanna, consiste nella compiuta indicazione delle ragioni per cui una determinata prova assume una valenza dimostrativa completamente diversa rispetto a quella ritenuta dal giudice di primo grado, nonché in un apparato giustificativo che dia conto degli specifici passaggi logici relativi alla disamina degli istituti di diritto sostanziale o processuale, in modo d conferire alla decisione una forza persuasiva superiore (Sez. 6, n. 51898 del
11/07/2019, P., Rv. 278056-01; in motivazione, la Corte ha precisato che l’obbligo di motivazione rafforzata prescinde dalla rinnovazione dell’istruttoria, prevista dall’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., in quanto trova fondamento nella mera necessità di dare una spiegazione diversa rispetto a quella cui era pervenuta la sentenza di primo grado).
Il Collegio reputa che tale obbligo di motivazione rafforzata non sia stato adeguatamente adempiuto dalla Corte d’appello di Milano.
Tale Corte ha assolto l’imputato dal reato di appropriazione indebita dell’autovettura e dei due motocicli che egli aveva fiduciariamente intestato all’allora convivente NOME COGNOME – così trasferendole la proprietà dei medesimi beni – per non avere commesso il fatto perché ha conclusivamente ritenuto «carente la prova in ordine ad una effettiva disponibilità dei mezzi in capo al COGNOME che, non restituendoli, se ne sarebbe appropriato».
A tale proposito, quanto all’«effettiva disponibilità dei mezzi in capo al COGNOME», si deve osservare come il Tribunale di Como avesse argomentato come gli stessi, in precedenza appartenuti al COGNOME, fossero solo «materialmente custoditi nel garage madre» dell’imputato – garage che, peraltro, era ubicato nello stesso stabile di INDIRIZZO dove risiedeva anche il COGNOME – il quale ne aveva conservato, perciò, il possesso (avendo quindi lo stesso Tribunale ritenuto la madre dell’imputato NOME COGNOME mera detentrice dell’autovettura e dei due motocicli). Ad avviso del Collegio, il fatto, che è stato valorizzato dalla Corte d’appello di Milano, che la COGNOME inviò una raccomandata, con la richiesta di restituzione dei mezzi, alla COGNOME (e non al COGNOME) non appare dotato di una valenza dimostrativa adeguata a comprovare che la COGNOME fosse il possessore e non la mera detentrice dei mezzi e a escludere il persistente possesso degli stessi in capo al COGNOME, che di essi era stato il proprietario e l’utilizzator ciò che rendeva verosimile che egli si fosse limitato a custodirli nel garage della madre, senza trasferirgliene il possesso.
Quanto al fatto che non sarebbe stato il COGNOME a non restituire i mezzi alla COGNOME («non restituendoli»), si deve osservare come il Tribunale di Como avesse argomentato sia come, al termine della relazione tra il COGNOME e la COGNOME, questa avesse chiesto al primo la restituzione dei mezzi, che era stata rifiutata dall’imputato, sia come, quando la COGNOME, il 03/05/2019, facendosi accompagnare dai RAGIONE_SOCIALE e con un carro attrezzi, si recò presso il menzionato stabile in Como, INDIRIZZO, chiedendo la restituzione dei mezzi, il COGNOMECOGNOME avvertito di ciò, avesse sostanzialmente avallato il rifiuto della madre, alla quale non aveva indicato di restituire i mezzi. Ad avviso del Collegio, il fatto, che è stato valorizzat dalla Corte d’appello di Milano, che la COGNOME affermò di avere deciso lei di non restituire i mezzi, in ragione del mancato pagamento del deposito degli stessi nel
proprio garage, non appare dotato di una valenza dimostrativa adeguata escludere un concorso del COGNOME, in termini, quanto meno, di un rafforzament del proposito della madre di non restituire l’autovettura e i due motocicli ga
Per le ragioni che si sono esposte, il Collegio ritiene perciò che la d’appello di Milano non abbia adeguatamente assolto al proprio obbligo d motivazione rafforzata, la quale è richiesta, come si è detto, anche nel ca riforma della sentenza di condanna di primo grado.
Pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio nuovo giudizio a un’altra sezione della Corte d’appello di Milano.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezion della Corte d’appello di Milano.
Così deciso il 21/12/2023.