Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 23949 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 23949 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME NOME a CARBONIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 19/11/2024 della CORTE di APPELLO di CAGLIARI;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore Generale NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto emettersi declaratoria di inammissibilità del ricorso;
udite le conclusioni dell’AVV_NOTAIO, per la parte civile RAGIONE_SOCIALE, che si è riportato alla memoria depositata chiedendone l’accoglimento;
udite le conclusioni dell’AVV_NOTAIO, per il ricorrente, che si è riportato ai motivi di ricorso e ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza resa in data 19 novembre 2024 la Corte d’Appello di RAGIONE_SOCIALE, in parziale riforma della sentenza emessa il 20 febbraio 2023 dal Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, dichiarava non doversi procedere nei confronti dell’imputato COGNOME NOME in relazione al reato di appropriazione indebita ascrittogli limitatamente alle condotte poste in essere fino al 14 luglio 2016
perché estinto per prescrizione e confermava nel resto la statuizione di condanna emessa dal giudice di primo grado.
All’COGNOME, in particolare, era stato contestato di essersi appropriato, al fine di procurarsi un ingiusto profitto, di somme di denaro provenienti da pagamenti incassati per beni venduti in qualità di rappresentante commerciale del RAGIONE_SOCIALE, di ulteriori somme provenienti da pagamenti per premi assicurativi incassati per conto del RAGIONE_SOCIALE quale subagente della RAGIONE_SOCIALE, di somme sottratte dalla cassa del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE della quale era custode, di merci di proprietà del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE quali aveva la disponibilità, il tutto per un importo totale pari a euro 204.317,02.
Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del proprio difensore, chiedendone l’annullamento e articolando un unico motivo di doglianza, con il quale deduceva inosservanza o erronea applicazione della legge penale nonché vizio di motivazione in relazione all’omessa considerazione dei motivi di appello e all’omessa valutazione della prova.
Esponeva che, in qualità di agente di commercio per conto del RAGIONE_SOCIALE, aveva provveduto per circa trent’anni (dal 1985 al 2017) alle vendite dei beni dell’ente e al versamento al medesimo consorzio RAGIONE_SOCIALE somme riscosse a titolo di corrispettivo di tali vendite, ricevendo successivamente la propria provvigione, e che dal 2012 era entrato in sofferenza e aveva concordato con il RAGIONE_SOCIALE un piano di rientro per il versamento RAGIONE_SOCIALE somme dovute, ciò fino al 2017, epoca in cui il rapporto di mandato era stato interrotto.
Rassegnava che era emersa una discrepanza fra l’importo complessivo dovuto al RAGIONE_SOCIALE come risultante dall’imputazione e quello emerso all’esito RAGIONE_SOCIALE indagini, inferiore al primo e pari a euro 131.000,00.
Assumeva, per altro verso, che l’COGNOME era creditore nei confronti del RAGIONE_SOCIALE di ingenti somme, come risultanti dalla consulenza tecnica effettuata ad iniziativa della difesa.
Lamentava che la Corte d’Appello non aveva disposto perizia contabile al fine di accertare l’esatto importo eventualmente dovuto dall’imputato e aveva omesso di motivare in relazione alle risultanze della consulenza contabile effettuata a cura della difesa.
Deduceva che il reato contestato era insussistente e che il rapporto intercorso tra l’imputato e il RAGIONE_SOCIALE aveva avuto esclusivamente natura civilistica.
Assumeva che in seno al detto rapporto si era diffusa la prassi di dilazionare nel tempo il versamento dei proventi RAGIONE_SOCIALE vendite effettuate dai mandatari del RAGIONE_SOCIALE con appositi piani di rientro, circostanza che era stata affermata anche dalla stessa parte civile.
Precisava che, a fronte di tale atteggiamento, improntato a tolleranza, al termine di ogni anno il RAGIONE_SOCIALE aveva fatto sottoscrivere all’imputato una promessa di pagamento avente natura di novazione, che aveva avuto l’effetto di far sorgere di una nuova obbligazione contrattuale in luogo di quella originaria, con la conseguenza che il mancato pagamento RAGIONE_SOCIALE somme portate dai piani di rientro non poteva mai essere qualificato come appropriazione indebita, trattandosi di un mero inadempimento rispetto alla nuova obbligazione.
Assumeva, infine, che la Corte territoriale non aveva reso alcuna motivazione in punto di elemento soggettivo del reato contestato.
In data 1 aprile 2025 il difensore della parte civile depositava conclusioni scritte con le quali chiedeva la conferma della sentenza impugnata e in particolare la condanna dell’COGNOME al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese dei tre gradi di giudizio; depositava inoltre nota spese e memoria illustrativa con la quale affermava che la motivazione della sentenza impugnata era immune da vizi, negava che presso il RAGIONE_SOCIALE fosse in vigore la prassi di dilazionare nel tempo i proventi RAGIONE_SOCIALE vendite dei beni dell’azienda da parte degli agenti muniti di mandato a vendere, fra i quali il ricorrente, deduceva che in ordine all’ammontare del debito maturato dall’RAGIONE_SOCIALE nei confronti del consorzio l’imputato aveva reso plurime ricognizioni di debito tutte prive di effetto novativo, rassegnava che il medesimo non era titolare di alcun credito certo, liquido ed esigibile nei confronti del RAGIONE_SOCIALE, assumeva che era sussistente l’elemento soggettivo del reato contestato poiché l’imputato era ben consapevole di non avere alcun diritto di trattenere le somme oggetto del reato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
In ricorso è manifestamente infondato e pertanto deve essere dichiarato inammissibile.
Il ricorrente deduce entrambi i vizi di violazione di legge e di mancanza di motivazione, quest’ultimo decliNOME sotto i diversi profili della omessa considerazione dei motivi di appello e della omessa valutazione della prova.
Si deve innanzitutto osservare, quanto al dedotto vizio di violazione di legge, che, lungi dal delineare un effettivo vizio di legittimità, le doglianze articolate finiscono per contestare il giudizio di responsabilità, ovvero il risultato probatorio cui sono approdati i giudici di merito che, con valutazione conforme RAGIONE_SOCIALE medesime emergenze istruttorie, sono stati concordi nel ritenere al contrario tali elementi pienamente e integralmente riscontrati all’esito della ricostruzione della concreta vicenda processuale. Ed in effetti, è utile ribadire che, ai fini della corretta deduzione del vizio di violazione di legge di cui all’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., il motivo di ricorso deve strutturarsi sulla contestazione della riconducibilità del fatto – come ricostruito dai giudici di merito – nella fattispecie astratta delineata dal legislatore; altra cosa, invece, è, come accade sovente ed anche nel caso di specie, sostenere che le emergenze istruttorie acquisite siano idonee o meno a consentire la ricostruzione della condotta di cui si discute in termini tali da ricondurla al paradigma legale. Nel primo caso, infatti, viene effettivamente in rilievo un profilo di violazione di legge laddove si deduce l’erroneità dell’opera di “sussunzione” del fatto (non suscettibile di essere rimessa in discussione in sede di legittimità) rispetto alla fattispecie astratta; nel secondo caso, invece, la censura si risolve nella contestazione della possibilità di enucleare, dalle prove acquisite, una condotta corrispondente alla fattispecie tipica che è, invece, operazione prettamente riservata al giudice di merito. Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
Con le censure svolte, il ricorrente contesta, in sostanza, l’approdo decisionale cui sono pervenuti i giudici di merito nell’affermare la penale responsabilità dello stesso, sottoponendo alla Corte una serie di argomentazioni che si risolvono nella proposizione di diverse e rinnovate chiavi di lettura del compendio probatorio.
Quanto, poi, al dedotto vizio di motivazione, l’inammissibilità della doglianza è resa evidente dal fatto che la stessa è sostanzialmente orientata a riprodurre una serie di deduzioni già ampiamente vagliate e correttamente disattese dalla Corte distrettuale, ovvero a sollecitare una rivisitazione meramente fattuale RAGIONE_SOCIALE correlative risultanze processuali, poiché imperniata sul presupposto di una valutazione alternativa RAGIONE_SOCIALE fonti di prova, in tal guisa richiedendo l’esercizio di uno scrutinio improponibile in questa sede, a fronte della linearità
e della logica conseguenzialità che caratterizzano la scansione RAGIONE_SOCIALE sequenze motivazionali dell’impugnata decisione. Sotto tali profili, dunque, il ricorso non è volto a rilevare mancanze argomentative ed illogicità ictu °cui/ percepibili, bensì ad ottenere un non consentito sindacato su scelte valutative compiutamente giustificate dal Giudice di appello, che ha adeguatamente ricostruito il compendio storico-fattuale posto a fondamento dei temi d’accusa enucleati con riferimento alla condotta oggetto del capo d’imputazione.
Si è dinanzi, in definitiva, ad un quadro argomentativo logicamente articolato nelle premesse e nelle relative conclusioni, esulando, come è noto, dai poteri di questa Suprema Corte quello di una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa valutazione RAGIONE_SOCIALE risultanze processuali dal ricorrente ritenute più adeguate (Sez. U, 2 luglio 1997, n. 6402, Dessimone).
La Corte di legittimità, infatti, non può sostituire una propria valutazione RAGIONE_SOCIALE risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di giudizio, dovendo saggiare la tenuta logica della pronuncia sottoposta alla sua cognizione senza oltrepassare i limiti di un accertamento della coerenza strutturale della sentenza in sè e per sè considerata, accertamento che deve necessariamente condursi alla stregua degli stessi parametri valutativi che geneticamente le danno corpo, ancorché questi siano, in ipotesi, sostituibili da altri. L’indagine sul discorso giustificativo della decisione impugnata, pertanto, ha un orizzonte percettivo delimitato al riscontro dell’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari temi ivi apprezzati, non potendosi mai sovrapporre nella verifica dell’adeguatezza RAGIONE_SOCIALE argomentazioni di cui il giudice di merito si è giovato per sostenere il suo convincimento o della loro rispondenza alle acquisizioni processuali. L’illogicità della motivazione come vizio denunciabile deve essere, per ciò, inevitabilmente palese e di immediata riconoscibilità, cioè di spessore e consistenza tali da emergere ictu °cui/. Nel caso di specie, invero, l’adeguatezza e logicità (nel senso appena specificato) della motivazione della sentenza impugnata non sono state minimamente aggredite dal ricorrente, limitatosi a prospettare critiche sulle valutazioni dalla Corte d’appello rese in ordine alla fondatezza ed ai risultati del materiale probatorio sottoposto al suo esame, delineandone, tuttavia, una diversa ed alternativa lettura, la cui rivisitazione, come già osservato, non è in alcun modo percorribile in questa sede.
Con riferimento ai temi specifici richiamati con il ricorso la Corte d’Appello ha reso una motivazione che appare immune da vizi.
In particolare, quanto ai crediti asseritamente vantati dal ricorrente nei confronti del RAGIONE_SOCIALE, la Corte di merito ha congruamente evidenziato, a pag. 6 del provvedimento impugNOME, che non si trattava di crediti esigibili, e altrettanto congruamente ha fatto riferimento all’orientamento giurisprudenziale, consolidato e condiviso da questo Collegio, secondo il quale, in tema di appropriazione indebita, non può essere eccepita, al fine di esonero da responsabilità, la compensazione con un credito preesistente, ove questo non sia certo, liquido ed esigibile (cfr., ex multis, Sez. 2, n. 27884 del 01/06/2022, Cottone, Rv. 283632 – 01, che tratta di una fattispecie in cui la Corte ha escluso che la sola prestazione di attività lavorativa consentisse all’amministratore di una società di apprendere, a titolo compensativo, le somme versate dai clienti in pagamento RAGIONE_SOCIALE fatture, non essendo al momento determinata la misura della retribuzione di sua spettanza, nè contrattualmente prevista la facoltà di prelievo diretto degli importi incassati).
Con riferimento all’esistenza, dedotta dalla difesa, di una prassi in forza della quale le restituzioni da parte degli agenti RAGIONE_SOCIALE somme incassate quale corrispettivo RAGIONE_SOCIALE vendite dei beni del RAGIONE_SOCIALE venivano dilazionate nel tempo, e ai relativi atti di promessa di pagamento e di ricognizione di debito sottoscritti annualmente, la Corte territoriale osservava in maniera del tutto congrua che l’invocato effetto novativo di tali atti era stato solo dedotto dal ricorrente, in assenza di qualsivoglia indicazione relativa agli elementi in forza dei quali ritenere sussistente la volontà RAGIONE_SOCIALE parti di novare la precedente obbligazione, e che in realtà la sottoscrizione dei piani di rientro da parte dell’COGNOME costituiva “una plateale conferma della effettività RAGIONE_SOCIALE ragioni del RAGIONE_SOCIALE e, correlativamente, RAGIONE_SOCIALE appropriazioni intervenute” (v. pag. 10 della sentenza impugnata).
Riguardo, infine, alla dedotta carenza dell’elemento soggettivo del reato, la Corte di merito ha affermato, in maniera del tutto logica, che la sollecitazione dei piani di rientro “esclude qualsiasi dubbio circa la sussistenza del dolo: egli prima si assicurò il possesso del denaro da riversare al RAGIONE_SOCIALE e rimise le eventuali restituzioni a conteggi futuri, in assenza di ogni esatta quantificazione” (v. pag. 11 del provvedimento impugNOME).
2. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile. Il ricorrente deve, pertanto, essere condanNOME, ai sensi dell’art.
616 cod. proc. pen., al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese del procedimento. In virtù RAGIONE_SOCIALE statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186,
e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”,
deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa RAGIONE_SOCIALE ammende. Inoltre il
ricorrente deve essere condanNOME alla rifusione RAGIONE_SOCIALE spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE, che devono essere liquidate in complessivi euro 3686, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE Ammende. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione RAGIONE_SOCIALE spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile RAGIONE_SOCIALE che liquida in complessivi euro 3686, oltre accessori di legge.
Così deciso il 16/04/2025