LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Appropriazione indebita ex coniuge: quando è reato

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un’ex moglie condannata per appropriazione indebita di beni di pregio appartenenti all’ex marito. La Corte ha stabilito che il reato non si consuma con il semplice rifiuto di restituire i beni durante la causa di separazione, ma solo con un atto dispositivo inequivocabile, come la vendita. In questo caso, l’atto è avvenuto nel 2017, dopo il divorzio, rendendo la querela tempestiva e inapplicabile la causa di non punibilità tra coniugi.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Appropriazione indebita ex coniuge: quando il possesso diventa reato?

La fine di un matrimonio porta spesso con sé complesse questioni patrimoniali. Ma cosa succede quando uno dei due coniugi si rifiuta di restituire beni di proprietà esclusiva dell’altro, rimasti nella casa coniugale? Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 47057/2024) fa luce sul delicato confine tra una disputa civile e il reato di appropriazione indebita ex coniuge, chiarendo il momento esatto in cui scatta l’illecito penale e da quando decorrono i termini per sporgere querela.

I Fatti del Caso

Una donna veniva condannata in primo e secondo grado per essersi appropriata indebitamente di oggetti di pregio appartenenti al suo ex marito. Tali beni erano rimasti nell’ex casa coniugale, di cui la donna aveva mantenuto il possesso dopo la separazione. La vicenda giudiziaria tra i due era iniziata anni prima, con una causa di separazione nel 2009 e il divorzio definitivo nel 2015. L’ex marito aveva tentato, senza successo, di ottenere la restituzione dei suoi beni attraverso il giudizio civile.
Nel 2017, a seguito di un nuovo provvedimento che assegnava la casa coniugale all’uomo, la donna, anziché restituire i beni, li asportava e li affidava a un antiquario per la vendita. Solo a questo punto l’ex marito sporgeva querela.

La Difesa della Ricorrente: Querela Tardiva?

La difesa della donna ricorreva in Cassazione sostenendo principalmente due punti:
1. Tardività della querela: Secondo la ricorrente, l’intenzione di non restituire i beni era chiara fin dal 2009, come dimostrato dal comportamento tenuto durante la causa civile. La querela, presentata solo nel 2017, sarebbe quindi stata depositata ben oltre i termini di legge.
2. Applicabilità della causa di non punibilità: In subordine, si sosteneva che l’appropriazione fosse avvenuta quando i due erano ancora sposati, rendendo applicabile l’art. 649 del codice penale, che esclude la punibilità per i reati contro il patrimonio commessi in danno del coniuge.

La Decisione della Cassazione sull’Appropriazione Indebita ex Coniuge

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la condanna. I giudici hanno chiarito in modo definitivo il momento in cui si consuma il reato in queste specifiche circostanze.

Le Motivazioni della Sentenza

La Suprema Corte ha smontato la tesi difensiva con una motivazione logica e giuridicamente impeccabile. I giudici hanno spiegato che il semplice fatto di mantenere il possesso dei beni e di difendersi in un giudizio civile non integra, di per sé, il reato di appropriazione indebita. Fino a un certo punto, il comportamento della donna era penalmente irrilevante, in quanto si limitava a conservare il possesso di oggetti che arredavano la casa coniugale, in attesa dell’esito della causa civile.

Il reato si è consumato solo nell’estate del 2017. Quello è stato il momento in cui la donna ha compiuto un atto inequivocabile di appropriazione: ha asportato fisicamente i beni dalla casa e li ha destinati alla vendita, manifestando in modo definitivo la volontà di comportarsi come se ne fosse la proprietaria esclusiva. È solo da questo momento, e dalla sua scoperta da parte della persona offesa nell’agosto 2017, che è iniziato a decorrere il termine per sporgere querela. La querela, depositata il 16 agosto 2017, era quindi perfettamente tempestiva.

Di conseguenza, è stata respinta anche la tesi relativa alla causa di non punibilità. L’atto criminale si è verificato nel 2017, ovvero due anni dopo la sentenza di divorzio del 2015. Al momento del fatto, i due non erano più coniugi, rendendo inapplicabile la tutela prevista dall’art. 649 c.p.

Le Conclusioni

Questa sentenza offre un principio di diritto fondamentale per i casi di appropriazione indebita ex coniuge. La Corte stabilisce che non basta un semplice rifiuto alla restituzione per configurare il reato, specialmente se tale rifiuto si inserisce in una più ampia contesa giudiziaria civile. Il reato si perfeziona solo con un atto dispositivo che manifesti in modo palese e incontrovertibile l’intenzione di escludere il legittimo proprietario dal suo diritto, come ad esempio la vendita, la donazione o l’occultamento del bene. Questo momento segna il dies a quo per il calcolo dei termini di querela e determina lo status delle parti (sposate, separate o divorziate) ai fini dell’applicazione di eventuali cause di non punibilità.

Quando si consuma il reato di appropriazione indebita tra ex coniugi per beni lasciati nella casa coniugale?
Il reato si consuma non con il semplice rifiuto di restituire i beni, ma nel momento in cui chi li possiede compie un atto che manifesta in modo inequivocabile la volontà di appropriarsene, come asportarli per venderli.

Il rifiuto di restituire un bene all’ex coniuge durante una causa civile costituisce appropriazione indebita?
No. Secondo la sentenza, mantenere il possesso dei beni in attesa dell’esito di un giudizio civile è un comportamento penalmente irrilevante e non integra di per sé il reato.

La causa di non punibilità tra coniugi (art. 649 c.p.) si applica se il reato viene commesso dopo il divorzio?
No. La sentenza chiarisce che se l’atto di appropriazione avviene dopo la sentenza di divorzio, la causa di non punibilità non può essere applicata, in quanto le parti non sono più coniugi al momento del fatto illecito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati