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Appropriazione indebita documenti: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un consulente contabile condannato per appropriazione indebita documenti. La sentenza chiarisce che il ‘profitto’ del reato non deve essere necessariamente patrimoniale, ma può consistere anche nell’intento di occultare la propria cattiva gestione (mala gestio) per evitare azioni di responsabilità e sanzioni.

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Pubblicato il 10 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Appropriazione Indebita Documenti: Il Profitto non è solo Economico

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, ha affrontato un caso significativo di appropriazione indebita documenti, fornendo chiarimenti cruciali sulla nozione di ‘profitto’ richiesta per questo reato. La vicenda riguarda un consulente contabile che si è rifiutato di restituire la documentazione fiscale e contabile a un’associazione sua cliente. La Suprema Corte ha stabilito che anche il vantaggio di nascondere la propria cattiva gestione costituisce un profitto illecito, sufficiente a integrare il delitto.

I Fatti di Causa

Un consulente contabile era stato incaricato da un’associazione di gestire la sua contabilità. Alla cessazione del rapporto, il professionista non restituiva i registri IVA e altri documenti contabili, nonostante le ripetute richieste. Inizialmente assolto in primo grado, la Corte di Appello, in riforma della prima sentenza, lo ha dichiarato responsabile del reato di appropriazione indebita aggravata (art. 646 c.p.), condannandolo a una pena detentiva e al risarcimento del danno.

Secondo la Corte d’Appello, che aveva rinnovato l’istruttoria dibattimentale, le prove dimostravano in modo inequivocabile che i documenti erano stati consegnati al consulente. La mancata restituzione, secondo i giudici, non era una semplice dimenticanza, ma un atto deliberato finalizzato a un preciso scopo.

L’Appropriazione Indebita Documenti e la Decisione della Cassazione

L’imputato ha proposto ricorso per cassazione, sostenendo un’errata applicazione della legge penale e un vizio di motivazione. La sua difesa argomentava che non vi era stata una consegna formale dei documenti e, soprattutto, che dalla loro detenzione non sarebbe derivato alcun profitto per l’imputato.

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo generico e manifestamente infondato. I giudici supremi hanno confermato la validità del ragionamento della Corte di Appello, sottolineando come questa avesse adempiuto al suo ‘onere di motivazione rafforzata’ nel ribaltare la sentenza assolutoria di primo grado.

Le Motivazioni

Il punto centrale della decisione risiede nella definizione di ‘profitto’. La Cassazione ha respinto la tesi difensiva secondo cui l’appropriazione indebita documenti richieda un vantaggio strettamente patrimoniale. La Corte ha chiarito che il profitto può consistere in qualsiasi utilità, vantaggio o soddisfazione che l’agente intenda ottenere, anche di natura non economica.

Nel caso specifico, il profitto ingiusto perseguito dal consulente era stato correttamente individuato dalla Corte di Appello nel suo ‘preciso interesse, patrimonialmente rilevante, a non riconsegnare la contabilità’. Questo interesse consisteva nell’impedire al nuovo consulente di ricostruire la sua mala gestio (cattiva gestione) nella cura degli affari dell’associazione. Evitare la scoperta delle proprie negligenze e delle conseguenti azioni di responsabilità per danni e sanzioni fiscali costituisce un vantaggio tangibile e, quindi, un profitto ai fini della configurazione del reato.

La Suprema Corte ha quindi concluso che il motivo di ricorso era generico perché non si confrontava adeguatamente con questa solida argomentazione, limitandosi a riproporre una lettura alternativa dei fatti, non consentita in sede di legittimità.

Conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale in materia di reati contro il patrimonio: la nozione di profitto è ampia e non si limita al solo arricchimento monetario. Per i professionisti che detengono documenti di terzi (commercialisti, avvocati, amministratori), ciò significa che trattenere illecitamente tale documentazione per coprire i propri errori, ritardare pagamenti dovuti o evitare contestazioni è un comportamento che può integrare il grave reato di appropriazione indebita. La decisione funge da monito, sottolineando l’importanza del dovere di correttezza e trasparenza nella gestione degli incarichi professionali.

Quale tipo di ‘profitto’ è necessario per il reato di appropriazione indebita documenti?
Non è necessario un profitto di natura strettamente economica o patrimoniale. La sentenza chiarisce che il reato si configura anche quando il profitto consiste in un qualsiasi vantaggio o utilità, come l’intento di nascondere la propria cattiva gestione (mala gestio) per evitare di incorrere in azioni di responsabilità per danni o sanzioni.

La mancata restituzione di documenti contabili è sempre appropriazione indebita?
Non automaticamente. Per integrare il reato, è necessario che chi possiede i documenti se ne appropri con lo scopo di ottenere un profitto ingiusto per sé o per altri. Deve esserci la volontà di comportarsi come proprietario del bene (uti dominus), negandone la restituzione al legittimo titolare per un fine illecito, come nel caso analizzato, dove si voleva occultare una gestione negligente.

Cosa significa che un ricorso in Cassazione è dichiarato ‘inammissibile’?
Significa che il ricorso non può essere esaminato nel merito dalla Corte di Cassazione perché presenta vizi formali o sostanziali. Ad esempio, può essere proposto per motivi non consentiti dalla legge (come una rivalutazione dei fatti), essere privo di specificità o manifestamente infondato. La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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