Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 8880 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 8880 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
dalla parte civile COGNOME NOME nato a PALERMO il 27/01/1968 nel procedimento a carico di:
COGNOME nato a SAN CATALDO il 10/09/1976
avverso la sentenza del 09/05/2024 della CORTE APPELLO di CALTANISSETTA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio ai fini civili della sentenza impugnata;
letta la memoria del difensore di COGNOME, Avv. NOME COGNOME il quale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso della parte civile, la condanna della stessa alle spese e la conferma dell’ordinanza con la quale è stata disposta la sospensione della provvisionale;
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Caltanissetta, con sentenza del 9 maggio 2024, in riforma della sentenza di primo grado, assolveva COGNOME NOME dal reato di appropriazione indebita perché, quale amministratore unico della RAGIONE_SOCIALEe vice presidente della RAGIONE_SOCIALE avendo la disponibilità di denaro proveniente da una collaborazione nonché prestazione d’opera con la RAGIONE_SOCIALE, aggiudicataria dell’appalto per l’installazione
di distributori automatici di caffè e prodotti alimentari presso l’ospedale di Gela, si appropriava della somma di € 99,601,70 proveniente dalle operazioni di prelievo degli incassi dei suddetti distributori automatici.
1.1 Avverso la sentenza ricorre per cassazione il difensore della parte civile COGNOME Roberto, eccependo la manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui affermava che la mancata consegna del denaro contenuto nei distributori automatici non integrava il reato contestato, trattandosi di mero inadempimento di un’obbligazione: il Tribunale di Gela aveva accertato l’esistenza di un accordo in forza del quale COGNOME deteneva provvisoriamente le somme di proprietà di RAGIONE_SOCIALE, prelevati dai distributori collocati all’interno dell’ospedale di Gela, con espresso vincolo di destinazione e in particolare con l’obbligo di consegnarle entro la fine di ogni mese al loro proprietario, ossia la società amministrata da COGNOME, mentre la Corte di appello non aveva considerato che COGNOME, violando l’espresso vincolo fiduciario, aveva impresso al denaro di proprietà altrui una destinazione ben diversa (non già la riconsegna, ma la ritenzione con volontà appropriativa); erroneo era, inoltre, il richiamo alla sentenza resa a Sezioni Unite da questa Corte n.1327/2005.
1.2 Il difensore eccepisce la violazione dell’art. 192 commi 1 e 2 cod. proc. pen. in quanto la sentenza impugnata non aveva effettuato un esame complessivo ed unitario degli elementi probatori disponibili: non erano state considerate le testimonianze di NOME Aldo e da COGNOME NOME e la corposa produzione documentale e, in particolare, i report delle operazioni registrate dal palmare GPS, che dimostravano che personale della società dell’imputato provvedeva ad effettuare il rifornimento della merce dai distributori e contestualmente il prelievo del denaro ivi contenuto, elemento probatorio che dimostrava la falsità delle dichiarazioni rese dall’imputato e dal teste COGNOME i quali avevano sempre negato di avere prelevato somme dai distributori.
1.3 Il difensore rileva la manifesta illogicità della motivazione della sentenza di appello nella parte in cui affermava che la mancata consegna del denaro contenuto nei distributori automatici installati presso l’ospedale di Gela non integrava il reato contestato, trattandosi di somme trattenute a titolo di compensazione: non vi erano, infatti, la certezza, liquidità ed esigibilità dei crediti asseritamente vantati dall’imputato, posto che il decreto ingiuntivo emesso nel confronti di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE per l’importo di € 51.992,84 non era definitivo, il credito di € 104.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE non era stato in alcun modo accertato e l’unico accertamento riguardava il debito di RAGIONE_SOCIALE per € 21.825,92 in favore di RAGIONE_SOCIALE; anche a voler considerare il credito di € 51.992,84, RAGIONE_SOCIALE si era comunque appropriato del maggior importo di € 99.601,70; inoltre, anche a voler assecondare il
ragionamento della Corte di appello secondo il quale vi sarebbe stata una società di fatto tra l’imputato e la parte civile, la sentenza era affetta da non corretta applicazione di norma di legge, laddove aveva ritenuto che il socio possa lecitamente appropriarsi dei ricavi maturati dalla società, senza incorrere in responsabilità penale.
1.4 Il difensore eccepisce la violazione dell’art. 600 comma e cod. proc. pen. commessa dalla Corte di appello con l’ordinanza emessa il 28.03.2024, con la quale era stata disposta la sospensione della provvisoria esecutività della condanna risarcitoria ordinata dal Tribunale di Gela, nonché la motivazione apparente sul punto, non avendo la Corte di appello indicato le ragioni del grave ed irreparabile danno che avrebbe sofferto l’imputato.
Presentava memoria il difensore di COGNOME Salvatore.
2.1 Il difensore rileva che nella comparsa di costituzione risultava la fondamentale circostanza, indicata dalla stessa RAGIONE_SOCIALE inerente al legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE indicato nella persona di COGNOME NOME, persona diversa da COGNOME NOME; la parte civile non aveva confutato la fonte della prova documentale, tantomeno la questione inerente alle due società menzionate nella imputazione, in cui non risultava l’indicazione del nominativo del l egale rappresentante, ed aveva limitato il ricorso alla responsabilità penale, per il contestato reato di appropriazione indebita; sulla base di tale prova documentale era stata esclusa la responsabilità di COGNOME NOME dalla Corte di appello, che aveva ritenuto irrilevanti le prove testimoniali rispetto alla prova documentale prodotta nel giudizio di appello.
Il difensore aggiunge che il ricorso della parte civile era inammissibile, posto che nella comparsa di costituzione, depositata nel processo civile pendente dinnanzi al Tribunale di Caltanissetta, l’odierna parte civile aveva chiesto l’importo di circa novantanovemila euro e la sospensione del processo civile, in attesa della sentenza irrevocabile del processo penale; la suddetta produzione documentale confermava che nell’azione civile era estraneo COGNOME NOME, essendo stato convenuto COGNOME NOME.
2.2 Il difensore rileva inoltre che nell’udienza del 9 maggio 2024, la Corte di appello aveva pronunziato l’assoluzione dell’imputato ‘perché il fatto non sussiste’; nella motivazione la Corte di appello aveva invece pronunziato l’assoluzione ai sensi dell’art. 530 comma 2 cod. proc. pen., formula difforme dal dispositivo, e tale difformità non era stata rilevata dalla parte civile; il difensore eccepisce la errata deduzione del ricorrente per violazione dell’art. 586 cod. proc. pen. e 27 comma 1 della Costituzione: il difensore della parte civile non aveva proposto ricorso, ai sensi dell’art. 586 cod. proc. pen., contro l’ordinanza del 28 marzo 2024, avendo circoscritto l’impugnazione alla sentenza; ne derivava
l’inammissibilità del motivo di ricorso, inerente alla sospensione della esecuzione della provvisionale, non essendo stato proposto ricorso contro l’ordinanza.
2.3 Il difensore eccepisce che erroneamente era stata denunciata la violazione degli artt. 576 cod. proc. pen. e 27 della Costituzione: con il primo motivo, il ricorrente aveva eccepito che era stata esclusa la responsabilità penale dell’imputato, deducendo che si era trattato di inadempimento di un’obbligazione; per affermare la responsabilità di COGNOME Salvatore avrebbe dovuto essere dimostrato che l’appropriazione fosse riconducibile personalmente all’imputato, e quindi che le società RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE fossero riconducibili allo stesso: in esito alla allegazione della prova documentale (la comparsa di costituzione depositata nel connesso processo civile) era stato provato che la qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE indicata nell’imputazione era riconducibile ad COGNOME NOME, e non ad COGNOME NOME; inoltre, COGNOME NOME interagiva, nell’attuale sede di legittimità, esclusivamente in proprio, non ave ndo esplicitato la qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE ammessa per la costituzione di parte civile dal Tribunale di Gela e dunque unica titolare a dimostrare la presunta responsabilità civile dell’imputato.
Il difensore osserva che la Corte di appello aveva valorizzato i seguenti punti essenziali: l’esame reso in dibattimento dalla persona offesa COGNOME COGNOME l’esame reso dall’imputato, la valutazione delle prove effettuata dal Tribunale sulla base delle t estimonianza, l’analisi della documentazione prodotta dalle parti e, sulla base della nuova prova documentale acquisita in appello, aveva concluso che, vista la sussistenza di una molteplicità di rapporti di dare-avere tra le parti, non sussisteva il reato di cui all’art. 646 cod. pen.
Il difensore chiede, pertanto, ai sensi degli artt. 541 comma 2 e 592 comma 4 cod. proc. pen. in relazione all’art. 91 cod. proc.civ. la condanna della parte civile al pagamento delle spese inerenti l’attuale grado di giudizio; nell’ipotesi di rinvio ai sensi del’art. 622 cod. proc. pen. chiede che sia ritenuta insuscettibile di motifica l’ordinanza del 28 marzo 2024 con la quale era stata sospesa l’esecuzione della condanna al pagamento della provvisionale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il ricorso della parte civile è fondato.
1.1 Si deve ribadire che, in caso di totale riforma della decisione di primo grado, il giudice dell’appello ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della
relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (cfr. Sezioni Unite n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231679), mettendo in luce carenze e aporie di quella decisione sulla base di uno sviluppo argomentativo che si confronti con le ragioni addotte a sostegno del decisum impugnato (cfr. sez. 2 n. 50643 del 18/11/2014, Rv. 261327), dando alla decisione, pertanto, una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni .
Il giudice d’appello, in caso di riforma in senso assolutorio, della sentenza di condanna di primo grado, sulla base di una diversa valutazione del medesimo compendio probatorio, non è obbligato alla rinnovazione della istruttoria dibattimentale, ma è tenuto a strutturare la motivazione della propria decisione in maniera rafforzata, dando puntuale ragione delle difformi conclusioni assunte.
Nel caso in esame, la motivazione del giudice di primo grado aveva evidenziato le dichiarazioni del teste COGNOMEche aveva affermato che secondo gli accordi intercorsi tra le parti COGNOME si sarebbe occupato della manutenzione dei distributori, del caricamento dei prodotti e del prelievo degli incassi contenuti nei distributori), riscontrate dalle schermate del palmare relative alle operazioni effettuate, e del teste COGNOMEche aveva specificato che le monetine raccolte dai distributori, contenute in sacchi neri, erano depositate presso il magazzino di Intorre, che teneva gli introiti provenienti dai distributori di Gela separati dagli altri, poiché dovevano essere consegnati a COGNOME), precisando anche perché non poteva essere ritenuto credibile il teste COGNOME (pagg.11 e 12 sentenza primo grado) e concludendo quindi per la piena attendibilità delle dichiarazioni della parte civile COGNOME; tali elementi probatori sono stati assolutamente trascurati dalla sentenza di appello, che si è limitata ad afferm are che si trattava di ‘somme riscosse dall’Intorre nell’ambito di una collaborazione imprenditoriale inserita in un contesto di obbligazioni corrispettive di diversa natura’
Non è stato quindi considerato che in tema di possesso di somme di denaro questa Corte, con affermazione risalente nel tempo ma ancora valida stante l’immutabilità del quadro normativo di riferimento, ha affermato che la specifica indicazione del “denaro”, contenuta nell’ad 646 cod. pen., rende evidente che il legislatore ha inteso espressamente precisare, allo scopo di evitare incertezze e di reprimere gli abusi e le violazioni del possesso del danaro, che anche questo può costituire oggetto del reato di appropriazione indebita, in conseguenza del fatto che anche il danaro, nonostante la sua ontologica fungibilità, può trasferirsi nel semplice possesso, senza che al trasferimento del possesso si accompagni anche quello della proprietà. Ciò di norma si verifica, oltre che nei casi in cui sussista o
si instauri un rapporto di deposito o un obbligo di custodia, nei casi di consegna del danaro con espressa limitazione del suo uso o con un preciso incarico di dare allo stesso una specifica destinazione o di impiegarlo per un determinato uso: in tutti questi casi il possesso del danaro non conferisce il potere di compiere atti di disposizione non autorizzati o, comunque, incompatibili con il diritto poziore del proprietario e, ove ciò avvenga, si commette il delitto di appropriazione indebita (Sez. 2, n. 4584 del 25/10/1972, Rv. 124301). Ne deriva che, ove il mandatario violi il vincolo fiduciario che lo lega al mandante, e destini le somme a scopi differenti da quelli predeterminati, può astrattamente integrarsi una condotta di appropriazione indebita, come accaduto nel caso in esame, in cui COGNOME ha dato una destinazione diversa a quella concordata (la consegna a COGNOME).
Anche la motivazione secondo la quale COGNOME avrebbe agito nella convinzione di poter compensare propri crediti appare insufficiente, posto che non precisa quali crediti, certi, liquidi ed esigibili, avrebbe vantato l’imputato.
Quanto alla memoria depositata dal difensore di COGNOME, si deve rilevare come nella stessa siano inseriti elementi che non erano stati evidenziati nel giudizio di appello, quali la circostanza che non fosse COGNOME NOME il legale responsabile della RAGIONE_SOCIALE (dato peraltro pacifico nelle sentenze di merito).
Pertanto, non è stato applicato il principio consolidato di questa Corte secondo il quale il giudice di appello, nel riformare la condanna pronunciata in primo grado con una sentenza di assoluzione, deve confrontarsi con le ragioni addotte a sostegno della decisione impugnata, giustificandone l’integrale riforma senza limitarsi ad inserire nella struttura argomentativa della riformata pronuncia delle generiche notazioni critiche di dissenso, ma riesaminando, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal primo giudice e quello eventualmente acquisito in seguito, per offrire una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia adeguata ragione delle difformi conclusioni assunte (così in motivazione Sez.U, n. 14800 del 21/12/2017, PG in proc. Troise, Rv. 272430 -01);
Appare, pertanto, necessario che trovi applicazione il disposto dell’art. 622 cod. proc. pen., in base al quale, ‘fermi gli effetti penali della sentenza, la Corte di Cassazione, se ne annulla solamente le disposizioni o i capi che riguardano l’azione civile ovvero se accoglie il ricorso della parte civile contro la sentenza di proscioglimento dell’imputato, rinvia quando occorre al giudice civile competente per valore in grado di appello’; al g iudice del rinvio va altresì rimessa anche la regolamentazione delle spese fra le parti di questo giudizio di legittimità
Nel giudizio, il giudice civile dovrà quindi verificare la sussistenza dell’illecito civile, seguendo «il criterio del “più probabile che non” o della “probabilità prevalente” che consente di ritenere adeguatamente dimostrata (e dunque
processualmente provata) una determinata ipotesi fattuale se essa, avuto riguardo ai complessivi risultati delle prove dichiarative e documentali, appare più probabile di ogni altra ipotesi e in particolare dell’ipotesi contraria» (Corte Cost., n. 182 del 30 luglio 2021), principio recepito nella successiva giurisprudenza di legittimità (Sez. 2, n. 11808 del 14/01/2022, COGNOME, Rv. 283377-01 e Sez. 4, n. 37193 del 15/09/2022, COGNOME, Rv. 283739-01).
Ancor prima, le Sezioni Unite di questa Corte, trattando del giudizio civile conseguente alla pronunzia di annullamento da parte della Corte di cassazione della sentenza ai soli effetti civili, non solo hanno affermato tale principio, ma hanno rimarcato che «il giudizio avanti al giudice civile designato ex art. 622 cod. proc. pen. è da considerarsi come un giudizio civile disciplinato dagli artt. 392 e ss. cod. proc. civ. a seguito di riassunzione dopo l’annullamento della Corte di Cassazione ai soli effetti civili . Verificatosi un giudicato agli effetti penali, appare ragionevole che all’illecito civile tornino ad applicarsi le regole sue proprie, funzionali all’individuazione del soggetto su cui, secondo il sistema del diritto civile, far gravare il costo di un danno e non la sanzione penale La natura autonoma del giudizio civile comporta conseguenze anche con riferimento all’individuazione delle regole processuali applicabili in tema di nesso causale e di prove, in ragione della diversa funzione della responsabilità civile e della responsabilità penale e dei diversi valori in gioco nei due sistemi di responsabilità. Il giudizio penale mette al centro dell’osservazione la figura dell’imputato e il suo status libertatis, quello civile il danneggiato e le sue 9 posizioni soggettive giuridicamente protette» (Sez. U, n. 22065 del 04/06/2021, COGNOME, Rv. 281228-01).
La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello; l’annullamento della sentenza non comporta la reviviscenza della condanna dell’imputato alla provvisionale disposta con la sentenza di primo grado, posto che al giudice del rinvio viene chiesto un nuovo esame della vicenda, con l’apertura di una fase del tutto svincolata ed autonoma dalla presente, (ormai definita agli effetti penali) in forza di una completa translatio judicii , avente ad oggetto una diversa regiudicanda .
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili, con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui rimette anche la liquidazione delle spese tra le parti per questo giudizio di legittimità.
Così deciso il 12/02/2025