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Appropriazione indebita: delibera societaria valida

La Corte di Cassazione ha annullato una condanna per appropriazione indebita a carico di un amministratore. La decisione si basa sul fatto che i prelievi di denaro contestati erano fondati su vecchie delibere societarie, mai revocate o annullate. Secondo la Corte, l’esistenza di tali delibere, anche se datate, esclude il dolo specifico del reato, ovvero l’intenzione di appropriarsi illecitamente dei fondi. Il caso è stato rinviato a un giudice civile per la valutazione delle sole questioni risarcitorie.

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Pubblicato il 19 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Appropriazione indebita: una vecchia delibera societaria può scagionare l’amministratore?

Con la sentenza n. 1310 del 2024, la Corte di Cassazione ha affrontato un caso delicato di appropriazione indebita, stabilendo un principio fondamentale sulla validità delle delibere societarie datate. La pronuncia chiarisce che l’esistenza di una vecchia autorizzazione assembleare a percepire compensi, se mai formalmente revocata, può essere sufficiente a far venir meno l’elemento soggettivo del reato, ovvero la volontà di appropriarsi illecitamente dei fondi. Approfondiamo i dettagli di questa importante decisione.

I Fatti del Caso: Prelievi contestati e le decisioni di merito

La vicenda giudiziaria ha origine dalla condanna di un amministratore per i reati di infedeltà patrimoniale e appropriazione indebita. In particolare, quest’ultima accusa si riferiva a prelievi di denaro effettuati nel 2015, che secondo l’accusa erano privi di una valida giustificazione contabile.

La Corte d’Appello aveva parzialmente riformato la sentenza di primo grado: mentre dichiarava prescritto il reato di infedeltà patrimoniale, confermava la condanna per appropriazione indebita, pur rideterminando la pena. Venivano inoltre confermate le statuizioni civili a favore della parte civile, incluso il pagamento di una provvisionale.

I Motivi del Ricorso in Cassazione: il focus sulla legittimità dei compensi

L’imputato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione basato su diversi motivi. Il punto cruciale, che ha poi determinato l’esito del giudizio, riguardava la sussistenza stessa del delitto di appropriazione indebita.

La difesa sosteneva che i prelievi contestati non erano illeciti, in quanto fondati su delibere societarie risalenti al 1982 e al 1987. Tali delibere, che autorizzavano l’amministratore a percepire specifici emolumenti, non erano mai state revocate, annullate o impugnate. Pertanto, secondo la tesi difensiva, mancava l’elemento soggettivo del reato (il dolo specifico), poiché l’amministratore agiva nella convinzione di esercitare un proprio diritto.

Le Motivazioni della Suprema Corte: L’importanza della delibera societaria nell’appropriazione indebita

La Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il motivo relativo alla sussistenza del reato. I giudici di legittimità hanno criticato la decisione della Corte d’Appello, la quale aveva basato la condanna sull’assenza di “valide ragioni contabili” attuali e sulla mancanza di un richiamo a tali vecchie delibere nelle assemblee più recenti.

La Cassazione ha chiarito un punto di diritto fondamentale: una delibera assembleare che costituisce un diritto (in questo caso, il diritto a percepire compensi) non necessita per legge di essere “confermata” o “rinnovata” per mantenere la sua validità. Finché non viene formalmente impugnata e annullata, essa rimane efficace e costituisce una fonte legittima del diritto dell’amministratore.

Di conseguenza, i prelievi basati su tale delibera non possono essere considerati ab origine illeciti. Questa circostanza, secondo la Corte, avrebbe richiesto un approfondimento molto maggiore sull’elemento soggettivo del reato: il dolo specifico. Per configurare l’appropriazione indebita, infatti, non basta il semplice atto materiale del prelievo, ma è necessaria la coscienza e la volontà di agire contra legem, impossessandosi di una somma non dovuta per trarne un ingiusto profitto. L’esistenza di una delibera autorizzativa, per quanto risalente, rende estremamente difficile dimostrare tale intento criminoso.

La Corte ha quindi annullato la sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili del reato di appropriazione indebita, rinviando il caso a un giudice civile competente per un nuovo esame della questione risarcitoria.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza ribadisce la netta distinzione tra responsabilità penale e questioni di natura civilistica. La validità di una delibera societaria e il diritto al compenso che ne deriva sono aspetti che, se contestati, devono essere risolti in sede civile.

In ambito penale, per affermare una responsabilità per appropriazione indebita, non è sufficiente sostenere che i compensi non sarebbero più dovuti (ad esempio per una prescrizione civilistica del diritto, che peraltro deve essere eccepita dalla parte interessata). È invece indispensabile provare, al di là di ogni ragionevole dubbio, che l’amministratore abbia agito con la specifica intenzione di appropriarsi di fondi che sapeva non spettargli. La presenza di una delibera formale, anche se vecchia, costituisce un ostacolo probatorio significativo per l’accusa, capace di far venir meno l’intero castello accusatorio.

Un prelievo di fondi da parte di un amministratore basato su una delibera societaria molto vecchia può costituire appropriazione indebita?
No, non automaticamente. Secondo la Corte, se una delibera assembleare che autorizza emolumenti non è stata formalmente impugnata, annullata o revocata, essa rimane una valida fonte di diritto. La sua anzianità non è sufficiente per configurare il reato di appropriazione indebita, in quanto può far venire meno l’elemento soggettivo del dolo specifico, ovvero la consapevolezza di agire illecitamente.

Perché la Corte ha annullato la sentenza solo per gli effetti civili, rinviando a un giudice civile?
La Corte ha annullato la condanna per appropriazione indebita nel merito, ritenendo che i giudici precedenti non avessero valutato correttamente l’assenza del dolo. Tuttavia, poiché il reato si era nel frattempo prescritto, la questione penale era chiusa. Il rinvio al giudice civile è necessario per riesaminare la sola questione del diritto al risarcimento del danno alla luce dei principi di diritto stabiliti dalla Cassazione.

La prescrizione di un reato cancella anche le statuizioni civili come la provvisionale?
Non necessariamente. In questo caso, la Corte ha chiarito che l’accoglimento del ricorso sull’appropriazione indebita non eliminava la provvisionale disposta in favore della parte civile. Questo perché la provvisionale era stata commisurata principalmente sul danno derivante da un altro reato (infedeltà patrimoniale), per il quale la prescrizione era già stata dichiarata in appello, lasciando però salve le statuizioni civili come previsto dalla legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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