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Appropriazione indebita delega: la Cassazione conferma

Una persona con delega su un conto corrente si appropriava delle pensioni accreditate dopo il decesso dell’intestatario. La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per appropriazione indebita, respingendo il ricorso dell’imputato. La Corte ha chiarito che disporre di somme “ultra vires” (oltre i poteri conferiti) tramite una delega integra il reato di appropriazione indebita, e il ricorso contro un patteggiamento è ammissibile solo per errori giuridici manifesti.

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Pubblicato il 11 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Appropriazione Indebita con Delega: quando Prelevare dal Conto Altrui è Reato

L’appropriazione indebita con delega su un conto corrente è un tema delicato che tocca i confini tra la gestione fiduciaria e l’illecito penale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito con fermezza i principi che regolano la materia, confermando la condanna di una persona che, forte di una delega, aveva continuato a prelevare le pensioni accreditate sul conto di una persona ormai deceduta. Analizziamo questa decisione per comprendere meglio i limiti e le responsabilità di chi opera su conti altrui.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda una persona condannata dal Tribunale, tramite il rito del patteggiamento, a un anno e dieci mesi di reclusione e a una multa di 1.400 euro per il reato di appropriazione indebita continuata. L’imputata, in possesso di una delega ad operare su un deposito a risparmio intestato a un’altra persona, si era impossessata delle prestazioni pensionistiche che continuavano ad essere accreditate anche dopo la morte dell’intestataria.

Il Ricorso in Cassazione e l’Errata Qualificazione Giuridica

Contro la sentenza di patteggiamento, la difesa dell’imputata ha proposto ricorso per cassazione, sostenendo un unico motivo: l’errata qualificazione giuridica del fatto. Secondo il ricorrente, non si sarebbe trattato di appropriazione indebita ai sensi dell’art. 646 del codice penale. La tesi difensiva si basava sul presupposto che il denaro depositato sul conto non fosse di proprietà dell’ente pensionistico (l’INPS), ma della banca depositaria. Di conseguenza, mancava il presupposto del reato, ovvero l’appropriazione di un bene altrui di cui si aveva già il possesso.

La Decisione della Suprema Corte sull’Appropriazione Indebita con Delega

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile perché manifestamente infondato. I giudici hanno innanzitutto ricordato che la possibilità di impugnare una sentenza di patteggiamento per errata qualificazione giuridica è limitata ai soli casi di “errore manifesto”. Tale errore si configura solo quando la qualificazione data dal giudice di merito risulta, con assoluta immediatezza e senza margini di dubbio, “palesemente eccentrica” rispetto ai fatti descritti nel capo d’imputazione.

Nel caso di specie, la Corte ha stabilito che la qualificazione come appropriazione indebita non solo non era eccentrica, ma era del tutto corretta.

Le Motivazioni della Corte

Il cuore della decisione risiede nella consolidata giurisprudenza della Suprema Corte. I giudici hanno chiarito che commette il reato di appropriazione indebita, e non di furto, il soggetto che, pur essendo legittimato a operare su un conto corrente altrui in virtù di una procura, travalica i limiti del suo mandato.

Quando il delegato dispone delle somme depositate “ultra vires”, ovvero al di là dei poteri conferitigli e per scopi estranei all’interesse del titolare del conto, si realizza a tutti gli effetti un’appropriazione indebita. Il delegato, infatti, ha già la legittima disponibilità (il possesso) del denaro in virtù della delega; il reato si consuma nel momento in cui egli compie un atto di disposizione come se ne fosse il proprietario, invertendo il titolo del suo possesso.

La Corte ha specificato che questo principio si applica anche quando le somme non sono soggette a un vincolo specifico di destinazione. La delega conferisce il potere di gestire, non di appropriarsi. L’argomento difensivo secondo cui il denaro apparteneva alla banca è stato ritenuto irrilevante, poiché ciò che conta è l’appropriazione di somme destinate ad altri, di cui si aveva la disponibilità per un titolo specifico (la delega).

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame rafforza un principio fondamentale: la delega a operare su un conto corrente è uno strumento basato sulla fiducia, che non conferisce un diritto di proprietà sulle somme depositate. Chi abusa di tale fiducia, disponendo dei fondi per finalità personali e contro l’interesse del delegante, commette il reato di appropriazione indebita. Questa decisione serve da monito sulla gravità delle responsabilità che derivano dalla gestione del patrimonio altrui e chiarisce che i tentativi di contestare una qualificazione giuridica corretta in sede di patteggiamento hanno scarse possibilità di successo, a meno che l’errore non sia di un’evidenza palmare.

Chi ha una delega su un conto corrente può disporre liberamente delle somme depositate?
No. Secondo la Corte, chi opera su un conto altrui tramite delega deve agire nei limiti del mandato ricevuto. Disporre delle somme “ultra vires”, cioè oltre i poteri conferiti e per scopi personali, integra il reato di appropriazione indebita.

È possibile impugnare in Cassazione una sentenza di patteggiamento per errata qualificazione del reato?
Sì, ma solo in casi limitati. L’impugnazione è ammessa solo se l’errore nella qualificazione giuridica del fatto è “manifesto”, ovvero palesemente eccentrico ed evidente con indiscussa immediatezza, senza margini di opinabilità.

Appropriarsi di pensioni accreditate dopo la morte del titolare del conto è appropriazione indebita o furto?
Nel caso esaminato, la Corte ha confermato che si tratta di appropriazione indebita. Il soggetto aveva la legittima disponibilità del conto in forza di una delega, ma ha abusato di tale potere appropriandosi di somme che non gli spettavano.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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