Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 23137 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 23137 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: dalla parte civile COGNOME NOME nato a PALERMO il 20/07/1980 nel procedimento a carico di:
NOME nata a PAOLA il 24/06/1957
avverso la sentenza del 10/07/2024 della CORTE di APPELLO di PALERMO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto emettersi declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza resa in data 10 luglio 2024 la Corte d’Appello di Palermo, in riforma della sentenza emessa il 5 giugno 2023 dal Tribunale di Palermo, assolveva l’imputata NOME COGNOME Franca del reato di appropriazione indebita ascrittole perché il fatto non sussiste e revocava le statuizioni civili.
All’imputata, in particolare, era stato contestato di essersi appropriata, al fine di procurarsi un ingiusto profitto, di parte dei beni mobili di proprietà NOME Domenico, custoditi nell’immobile che la stessa aveva concesso in locazione a quest’ultimo e del quale era stata nominata custode in sede di procedimento di esecuzione per rilascio, beni che l’imputata aveva provveduto a spostare in un luogo diverso da quello in cui si trovavano.
Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione la parte civile NOME COGNOME per il tramite del proprio difensore, chiedendone l’annullamento e articolando due motivi di doglianza.
2.1. Con il primo motivo deduceva violazione di legge per travisamento delle risultanze probatorie, evidenziando che la Corte d’Appello aveva ritenuto che lo spostamento dei beni mobili in un magazzino non avesse integrato il reato contestato poiché i detti mobili erano stati messi a disposizione del COGNOME per il ritiro, ma che in realtà il teste COGNOME COGNOME che si era occupato di spostare i mobili in questione, aveva affermato che la COGNOME gli aveva rappresentato che gli avrebbe consegnato parte dei detti mobili quale corrispettivo per alcuni lavori effettuati per suo conto, in tal modo disponendo dei medesimi beni come se fossero propri.
2.2. Con il secondo motivo deduceva manifesta illogicità della motivazione, evidenziando che la statuizione di condanna contenuta nella sentenza di primo grado era fondata sulle dichiarazioni accusatorie della parte offesa, che da sole potevano essere poste a fondamento della statuizione di responsabilità, e deducendo che nella specie le medesime dichiarazioni avevano trovato il conforto della testimonianza di COGNOME Mario.
In data 10 febbraio 2025 la difesa dell’imputata depositava memoria difensiva con la quale ha insistito per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo è inammissibile in quanto teso a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento de materiale probatorio rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito.
Nel caso in esame, la Corte d’appello ha ineccepibilmente osservato che il giudizio di non colpevolezza dell’imputata derivava dall’assenza di prova che la stessa avesse posto in essere una condotta integrante una interversio possessionis, considerato che la stessa, in sede di procedimento di esecuzione per il rilascio dell’immobile a suo tempo concesso in locazione alla parte civile, era stata nominata custode dell’appartamento e, prima di provvedere allo spostamento dei beni mobili di proprietà del ricorrente, aveva notificato a quest’ultimo atto di intimazione ex art. 609 cod. proc. civ., affinché questi
provvedesse all’asportazione dei detti mobili entro un termine fissato, intimazione a fronte della quale il NOME era rimasto del tutto inerte.
Le conclusioni circa l’assenza di responsabilità dell’imputata risultano quindi adeguatamente giustificate dal giudice di merito attraverso una puntuale valutazione delle prove, che ha consentito una ricostruzione del fatto esente da incongruenze logiche e da contraddizioni. Tanto basta per rendere la sentenza impugnata incensurabile in questa sede non essendo il controllo di legittimità diretto a sindacare direttamente la valutazione dei fatti compiuta dal giudice di merito, ma solo a verificare se questa sia sorretta da validi elementi dimostrativi e sia nel complesso esauriente e plausibile.
Esula infatti dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (cfr., ex multis, Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944-01; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, dep. 2000, COGNOME, Rv. 214794-01; Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, .COGNOME, Rv. 216260-01; Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, COGNOME, Rv. 22607401; Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, COGNOME, RV. 280601-01).
2. Il secondo motivo è del tutto generico.
Ed invero, il vizio di manifesta illogicità della motivazione risulta dedotto e argomentato esclusivamente con un mero e generico richiamo alla valenza probatoria delle dichiarazioni accusatorie della parte offesa e a quelle del teste COGNOME COGNOME nonché con l’esposizione dei principi giuridici che governano la cosiddetta motivazione rafforzata; ha tuttavia omesso, il ricorrente, di indicare in maniera specifica gli aspetti di manifesta illogicità della motivazione, solo genericamente denunciati.
Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile; il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento. In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”,
deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso il 11/03/2025