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Appropriazione indebita conto cointestato: la Cassazione

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per appropriazione indebita a carico di una donna che, dopo la morte del compagno, aveva prelevato dal conto cointestato una somma superiore alla sua quota. La Corte ha ribadito che, in assenza di prova contraria, le somme si presumono divise in parti uguali. Vantare un presunto credito non giustifica l’appropriazione indebita sul conto cointestato, configurando il reato.

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Pubblicato il 7 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Appropriazione Indebita Conto Cointestato: Quando il Prelievo Diventa Reato

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale in materia di gestione dei conti correnti cointestati, chiarendo i confini tra lecita disposizione delle somme e il reato di appropriazione indebita su conto cointestato. La decisione analizza il caso di una cointestataria che, dopo la morte del partner, ha prelevato fondi eccedenti la propria quota, sostenendo di vantare un credito pregresso. Vediamo nel dettaglio i fatti e le conclusioni della Suprema Corte.

I Fatti del Caso

La vicenda giudiziaria ha origine dalla condotta di una donna che, subito dopo il decesso del suo compagno, con cui condivideva un conto corrente cointestato, procedeva a prelevare le somme depositate. Gli eredi del defunto contestavano l’operazione, ritenendo che la donna si fosse appropriata di fondi non di sua spettanza.

La difesa dell’imputata si basava su due argomenti principali:
1. Un presunto diritto di credito: sosteneva di aver in precedenza fornito al compagno una cospicua somma di denaro (100.000 euro) a titolo di donazione, nulla per difetto di forma, e che il prelievo fosse una legittima compensazione.
2. Mancanza del fine di profitto: la sua azione non sarebbe stata mossa dall’intento di arricchirsi ingiustamente, ma dalla convinzione di tutelare un proprio diritto.

La Corte di Appello, pur riducendo la pena inflitta in primo grado, aveva confermato la responsabilità penale della donna per il reato di appropriazione indebita, decisione poi impugnata in Cassazione.

L’Appropriazione Indebita su Conto Cointestato e la Presunzione di Quote Uguali

Il cuore della questione giuridica ruota attorno alla natura del conto cointestato. La Cassazione, rifacendosi a un consolidato orientamento sia civile che penale, ha ribadito i seguenti principi:

Presunzione di parità: La cointestazione di un conto corrente fa presumere che le somme depositate appartengano ai titolari in parti uguali (art. 1298 c.c.). Questa è una presunzione iuris tantum*, ovvero ammette prova contraria.
* Inversione dell’onere della prova: Spetta a chi deduce una situazione diversa (ad esempio, che i fondi provengono esclusivamente da uno dei cointestatari) fornire la prova rigorosa di tale circostanza.
* Limiti alla disposizione: Ciascun cointestatario non può disporre, in proprio favore e senza il consenso dell’altro, di una somma superiore alla propria quota di spettanza (generalmente il 50%).

Superare questo limite integra il delitto di appropriazione indebita, poiché ci si impossessa di denaro che, per la parte eccedente, è di proprietà altrui (in questo caso, degli eredi dell’altro cointestatario).

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, confermando la condanna. I giudici hanno sottolineato che la difesa non è riuscita a superare la presunzione di contitolarità per quote uguali. Anzi, dall’analisi dei movimenti bancari era emerso che la provvista del conto derivava da versamenti sostanzialmente equilibrati da parte di entrambi i conviventi.

L’Esclusione della Buona Fede e il Dolo

La Corte ha ritenuto che non vi fosse alcuna buona fede nella condotta dell’imputata. Al contrario, è stata evidenziata la sua consapevolezza di appropriarsi di una quota spettante agli eredi del defunto. L’estrema rapidità con cui ha agito dopo il decesso è stata interpretata come un chiaro tentativo di anticipare il blocco del conto da parte degli eredi, dimostrando la piena coscienza e volontà di impossessarsi di somme altrui. Il vantato diritto di credito, oltre a non essere stato provato, è stato considerato irrilevante per escludere il dolo, in quanto non idoneo a giustificare un’azione di autotutela illecita.

La Valutazione della Pena

Anche il motivo relativo all’eccessiva severità della pena è stato rigettato. La Corte ha ritenuto la sanzione, già ridotta in appello, congrua rispetto alla gravità del fatto, caratterizzato dall’approfittamento della morte del compagno e della lontananza dei suoi figli, elementi che denotano un elevato disvalore penale della condotta.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce con forza un messaggio chiaro: la cointestazione di un conto non conferisce un diritto illimitato sulle somme depositate. Ogni cointestatario deve rispettare la quota di pertinenza altrui. Agire diversamente, prelevando oltre la propria parte senza il consenso degli altri titolari, espone al serio rischio di una condanna per appropriazione indebita. La convinzione, anche se soggettiva, di vantare un credito non è una scusante e non esclude la responsabilità penale, specialmente quando le circostanze dimostrano la consapevolezza di ledere i diritti altrui.

Quando prelevare da un conto cointestato diventa reato?
Diventa reato di appropriazione indebita quando un cointestatario, senza il consenso esplicito o tacito degli altri, dispone in proprio favore di una somma che eccede la sua quota di spettanza, la quale si presume uguale a quella degli altri titolari fino a prova contraria.

La presunzione di quote uguali su un conto cointestato può essere superata?
Sì, ma la parte che sostiene una divisione delle quote diversa da quella paritaria ha l’onere di fornirne una prova rigorosa attraverso presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti. In assenza di tale prova, il saldo si considera diviso in parti uguali.

Vantare un credito verso l’altro cointestatario giustifica il prelievo dell’intera giacenza?
No. Secondo la sentenza, il fatto di vantare un presunto credito (nella fattispecie, per una donazione nulla per vizio di forma) non giustifica l’appropriazione di somme che legalmente appartengono ad altri, e non esclude la consapevolezza e la volontà di commettere il reato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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