Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 18831 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 18831 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 08/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a TORINO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 29/09/2023 della CORTE APPELLO di “FORINO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME, la quale ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per la parte civile costituita, l’AVV_NOTAIO, che, riportandosi anche alla memoria scritta depositata, ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso e depositato nota delle spese;
udito per l’imputata l’AVV_NOTAIO che ha insistito per l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Torino riformava la pronuncia di condanna di primo grado della ricorrente per i fatti di furto indicati al capo A) dell’imputazione, dichiarando prescritti anche quelli commessi sino alla data del 10 gennaio 2016.
In sostanza, nella vicenda per cui è processo, la NOME è stata chiamata a rispondere per aver sottratto ingenti somme di denaro, nel corso di un rilevante arco temporale, dal conto corrente gestito dalla stessa per la parte civile, il signor NOME COGNOME, amministratore della società RAGIONE_SOCIALE presso la quale lavorava come segretaria.
Avverso la richiamata sentenza propone ricorso per cassazione l’imputata affidandosi, mediante il difensore di fiducia, AVV_NOTAIO, a cinque motivi di impugnazione, di seguito ripercorsi nei limiti previsti dall’art. 173 disp. at cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo la ricorrente deduce inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 192 e 195 cod. proc. pen., nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla valutazione della testimonianza della parte civile ed alla sussistenza del reato.
A fondamento dell’articolata censura, assume l’erronea svalutazione delle prospettazioni difensive, come suffragate anche sul piano istruttorio, circa la versione alternativa della vicenda fornita dalla NOME nel senso della sussistenza di un accordo tra lei e il COGNOME per il prelievo delle somme, considerata la relazione sentimentale che avevano intrattenuto per oltre un decennio, attestata anche dalla sottoscrizione congiunta di un contratto di locazione, sin dall’anno 2008, di un prestigioso appartamento nel centro di Torino dove la ricorrente viveva.
In sostanza, lamenta l’imputata che, a fronte di dati concreti volti a supportare le proprie deduzioni, sia stata ritenuta credibile la diversa ricostruzione dei fatti propalata dalla parte civile, che pure era fondata su elementi contraddittori e inverosimili.
2.2. Con il secondo motivo la NOME denuncia inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 624 e 646 cod. pen., nonché contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione rispetto alla qualificazione dei fatti di reat in termini di furto e non di appropriazione indebita.
Invero, come è stato riconosciuto dalla medesima decisione impugnata, ella aveva una piena delega ad operare sul conto del COGNOME, al punto da essere la sola abilitata ad operare sullo stesso attraverso i preposti dispositivi token.
Dacché le somme erano nella sua piena disponibilità e, di conseguenza, il delitto avrebbe dovuto essere riqualificato in quello di appropriazione indebita, divenuto procedibile a querela di parte, anche nella forma aggravata, per effetto del d.lgs. n. 36 del 2018, dalla data del 9 maggio 2018, querela non presentata per detto fatto di reato dalla persona offesa.
2.3. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta violazione dell’art. 61 n. 7 cod. pen. anche in relazione all’art. 81, secondo comma, cod. pen., nonché vizio di motivazione circa la ritenuta sussistenza della circostanza aggravante del danno di particolare gravità, senza considerare i numerosi episodi (ossia le singole operazioni nelle quali si erano sostanziate le condotte ascritte) ormai prescritti, gli importi asseritamente sottratti con i quali non avrebbero potuto computarsi rispetto a detta aggravante.
2.4. Mediante il quarto motivo la NOME denuncia violazione degli artt. 81 cod. pen. e 533, comma 2, cod. proc. pen., nonché vizio di motivazione, circa l’individuazione del reato più grave, della determinazione della pena applicata e della misura degli aumenti per i reati satellite.
Rileva, in proposito, che nel capo A) sono stati contestati una serie di ipotesi delittuose talché non avrebbe potuto essere calcolata la pena individuando, senza ulteriori specificazioni, il fatto più grave in quello di cui al capo A impedendo così qualsivoglia verifica sulla correttezza dei criteri utilizzati per i calcolo della pena.
2.5. Con il quinto motivo la stessa ricorrente denuncia violazione dell’art. 62-bis anche in relazione all’art. 133 cod. pen. e vizio di motivazione in punto di diniego delle circostanze attenuanti generiche, giustificato dall’estrema gravità delle condotte delittuose anche sul piano soggettivo in quanto protratte per molti anni.
Detta argomentazione, secondo la prospettazione dell’imputata, non sarebbe condivisibile poiché gli unici episodi rilevanti sul piano penale sarebbero quelli verificatisi a partire dall’anno 2016, stante la prescrizione degli altri.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 primo motivo è inammissibile.
Occorre infatti ricordare che l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argonnentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo
convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, in particolare, dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (.Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944 – 01).
Orbene, entrambe le decisioni di merito hanno adeguatamente argomentato – così precludendo ogni sindacato in questa sede di legittimità sulla scorta dei richiamati e generali principi ermeneutici – in ordine alla ritenuta credibilità dell versione dei fatti fornita dalla parte civile rispetto a quella dell’imputata.
E’ stato posto in rilievo, a riguardo, in maniera congrua, che dall’istruttoria svolta non è emersa alcuna prova della relazione sentimentale tra la ricorrente e il COGNOME (relazione, peraltro, che di per sé sola considerata non avrebbe comunque giustificato, giova evidenziare, il prelievo delle somme dal conto dello stesso, ove non autorizzato). Quanto, ad esempio, alla vicenda dell’appartamento locato al centro di Torino, è stato adeguatamente valorizzato che la medesima compagna della parte civile, sentita come teste, ha dichiarato di aver spinto il COGNOME a intestarsi il contratto insieme alla NOME per consentire alla stessa di ottenere la locazione della prestigiosa abitazione nonché che ella viveva nella medesima con il proprio compagno.
D’altra parte, gli stessi messaggi tra l’imputata e la persona offesa – nei quali si davano tra loro del “lei” – non sono apparsi, con argomentazioni non manifestamente implausibili, ai giudici di merito idonei a dimostrare l’esistenza di una relazione tra i due. Ciò tanto più perché,, come evidenziato già a pag. 31 della sentenza di primo grado, la NOME ha fatto in dodici anni n. 83 viaggi all’estero, prelevando gli importi necessari dal conto del COGNOME, senza che questi l’avesse mai accompagnata, pur potendo ben trovare giustificazioni in famiglia in ragione delle ampie disponibilità economiche e dei numerosi affari che gestiva e, avendo peraltro spesso l’imputata fatto questi viaggi con altri compagni.
Il secondo motivo è in parte fondato, con rilevanza assorbente rispetto agli altri.
Su un piano generale, va ricordato come, in tema di distinzione tra furto e appropriazione indebita, sia decisiva l’indagine circa il potere di disponibilità sul bene da parte dell’agente (Sez. 5, n. 2032 del 15/01/1997, COGNOME, Rv. 208668 – 01).
In particolare, Sez. U, n. 40354 del 18/7/2013, NOME, Rv. 255975, in motivazione, ha chiarito che il possesso, inteso nella peculiare accezione propria
della sfera penalistica, è costituito da una detenzione qualificata, ossia da una autonoma relazione di fatto con la cosa, che implica il potere di utilizzarla, gestirla o disporne. Pertanto, ai fini della configura bilità del reat di appropriazione indebita possono essere considerati possessori anche i soggetti titolari di posizioni non strettamente inquadrabili nell’ambito del possesso in senso civilistico, che presuppone, come noto, l’esercizio di un potere di fatto sulla cosa, con l’esclusione di ogni volontà di riconoscere la posizione del proprietario.
La Suprema Corte, proprio nel solco argonnentativo di cui innanzi, ha ritenuto responsabile di appropriazione indebita il mandatario che, violando le disposizioni impartite dal mandante, si appropri del denaro ricevuto, utilizzandolo per propri fini e, quindi, per scopi diversi ed estranei agli interessi del mandante (v., tra le tante, Sez. 2, n. 22347 del 03/05/2016, COGNOME, Rv, 267086-01; Sez. 2, n. 50156 del 25/11/2015, COGNOME, Rv. 265513- 01; analogamente Sez. 2, n. 43643 del 23/09/2021, COGNOME, Rv. 282351-01, ha ritenuto responsabile di appropriazione indebita il mandatario che, avendo la disponibilità di somme di denaro del mandante con espresso vincolo di destinazione, violando il rapporto fiduciario, le destini per scopi differenti da quelli predeterminati).
Nella giurisprudenza di legittimità è stato anche puntualizzato che commette il delitto di appropriazione indebita anche il mandatario senza rappresentanza che si appropri delle cose ricevute durante l’esecuzione del mandato, con l’animus di trattenerle per sé e di non ritrasferirle al mandatario, a meno che egli non abbia legittimo diritto di ritenzione, non essendo rilevante, ai fini penalistici la distinzione tra mandato con e senza rappresentanza poiché, in entrambe le ipotesi, le cose o il denaro ricevuti in esecuzione del mandato appartengono alla sfera giuridica del mandante e vi è un obbligo, anche per il mandatario senza rappresentanza, di restituire le stesse al mandante (Sez. 2, n. 43119 del 28/06/2016, Camusso, Rv. 268242-01).
Nel solco degli stessi generali principi ermeneutici, si è ritenuto, inoltre, che integra il delitto di appropriazione indebita aggravato ai sensi dell’art. 61, comma primo, n. 11 cod. pen. – e non quello di furto – il dipendente di una banca che si impossessi dei beni contenuti in una cassetta di sicurezza, avendone ottenuto dal cliente la chiave, in quanto detta “traditio”, a meno che non sia diversamente convenuto, riveste il significato di autorizzazione ad aprire la cassetta e, salvo prova contraria, a disporre, beninteso nell’interesse del titolare, del suo contenuto, di guisa che l’agente ha il possesso della cassetta e dei beni in essa custoditi (Sez. 5, n. 44942 del 28/09/2011, COGNOME, Rv. 251450 – 01).
Più di recente, in fattispecie per certi aspetti analoga a quella per cui è processo, COGNOME questa COGNOME Corte COGNOME ha COGNOME evidenziato COGNOME che COGNOME risponde COGNOME del COGNOME reato
di appropriazione indebita, e non di furto aggravato, il soggetto legittimato, in forza di procura generale o speciale, ad operare sul conto corrente altrui che, travalicando i limiti della procura, disponga “ultra vires” delle somme depositate, ancorché non soggette a vincoli di destinazione o derivanti dall’espletamento di un mandato. Ha evidenziato, a sostegno di tale soluzione, che l’accesso al conto corrente, derivante dalla procura, segna difatti la disponibilità delle somme di cui al medesimo conto corrente in capo al soggetto attivo e, quindi, il loro possesso in senso penalistico, in ragione della detenzione qualificata quale autonoma relazione con la cosa implicante il potere di utilizzarla, gestirla e disporne al di fuori del potere di vigilanza di chi abbia su di essa un potere giuridico maggiore. Nell’ipotesi in esame, difatti, è configurabile un potere sulla cosa autorizzato dal titolare al di fuori dalla sua sfera di sorveglianza, ancorché da esercitarsi nei limiti della procura e previa esibizione alla banca della documentazione giustificativa (Sez. 4, n. 23129 del 12/05/2022, COGNOME, Rv. 283280 – 01, in motivazione).
Orbene, nella fattispecie per cui è processo, dall’istruttoria svolta nei gradi di merito è risultato, come ripercorsa dalla stessa decisione impugnata, che la ricorrente aveva in concreto una signoria di fatto sul conto del COGNOME dal quale, in un lungo arco temporale, ha prelevato circa tre milioni di euro.
La NOME, infatti, oltre ad avere una delega ad operare sul conto della parte civile, non era neppure vincolata ad alcuna direttiva della stessa parte civile, che, come emerge dalle decisioni di merito, ha riconosciuto che si limitava ad alimentare il conto con somme da 100 a 300 mila euro al mese, chiedendole poi di fare bonifici per sue esigenze personali e familiari.
Per il resto, la ricorrente è stata sino al 2016 nella piena disponibilità del conto, della quale ella soltanto aveva il token per operare e le relative password e riceveva gli estratti conto, senza che il COGNOME avesse mai mostrato interesse agli stessi, così dando una delega piena alla dipendente della sua società, che svolgeva mansioni di sua segretaria personale.
Orbene, il delitto commesso dalla ricorrente non può allora essere qualificato giuridicamente in termini di furto, così come avvenuto nei gradi di merito, bensì di appropriazione indebita poiché l’imputata, attraverso la delega ad operare sostanzialmente senza rendiconto, era nella detenzione qualificata del conto medesimo e, quindi, nel possesso dello stesso come preteso dal diritto penale ai fini della distinzione tra furto ed appropriazione indebita.
La riqualificazione del fatto di reato ascritto comporta che sia necessario rinviare il giudizio al giudice di merito affinché verifichi se, rispetto ai sing episodi contestati, siano state presentate querele riferibili alla fattispecie di reato di cui all’art. 646 cod. pen. ed esse possano ritenersi tempestive (essendo
all’uopo necessari accertamenti in fatto che non possono essere compiuti in sede di legittimità: Sez. 2, n. 8653 del 23/11/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284438 02; Sez. 5, n. 19241 del 09/02/2015, COGNOME, Rv. 264847 – 01), nonché, ove ciò sia avvenuto, rispetto al maturare del termine di prescrizione.
P.Q.M.,
Previa riqualificazione dei reati ex art. 646 cod. pen., annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Torino per nuovo giudizio.
Così deciso in Roma 1’8 aprile 2024 Il Consigliere Estensore COGNOME
Il Presidente