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Appropriazione indebita con delega: non è furto

Una segretaria, con piena delega ad operare sul conto corrente del suo datore di lavoro, prelevava ingenti somme per fini personali. La Corte di Cassazione ha riqualificato il reato da furto ad appropriazione indebita con delega, sostenendo che l’imputata avesse il possesso qualificato del denaro, non una mera detenzione. La sentenza è stata annullata con rinvio per verificare la presenza della querela, condizione di procedibilità per l’appropriazione indebita.

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Pubblicato il 14 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Appropriazione Indebita con Delega Bancaria: La Cassazione Chiarisce i Confini con il Furto

Quando un dipendente con pieno accesso a un conto corrente aziendale preleva denaro per scopi personali, commette furto o appropriazione indebita? La questione, tutt’altro che scontata, è al centro di una recente sentenza della Corte di Cassazione che chiarisce la linea di demarcazione tra i due reati. Il caso analizzato riguarda una appropriazione indebita con delega, evidenziando come la natura del potere sul bene sia l’elemento decisivo per la corretta qualificazione giuridica del fatto.

I Fatti del Caso: Una Segretaria e un Conto Corrente

La vicenda processuale ha origine dalla condotta di una segretaria, impiegata presso una società finanziaria e persona di fiducia dell’amministratore. Per anni, la donna ha gestito in totale autonomia un conto corrente personale del suo datore di lavoro, dal quale ha prelevato ingenti somme di denaro, quantificate in circa tre milioni di euro. L’accusa, sostenuta dal titolare del conto, era quella di furto aggravato.

La difesa dell’imputata ha sempre sostenuto una versione alternativa dei fatti, parlando di un accordo tra le parti nato da una relazione sentimentale decennale, in virtù del quale i prelievi sarebbero stati autorizzati. Nei gradi di merito, tuttavia, questa tesi non ha trovato riscontro probatorio e la donna è stata condannata per furto.

Il Percorso Giudiziario e i Motivi del Ricorso

Dopo la condanna in primo grado e la parziale riforma in appello (che ha dichiarato prescritti alcuni episodi), il caso è giunto dinanzi alla Corte di Cassazione. Tra i vari motivi di ricorso, uno si è rivelato cruciale: l’errata qualificazione giuridica del reato. La difesa ha sostenuto che, data la piena delega ad operare sul conto, la disponibilità delle somme da parte dell’imputata non poteva configurare una sottrazione tipica del furto, ma piuttosto un abuso del possesso, caratteristico dell’appropriazione indebita.

La Distinzione tra Furto e Appropriazione Indebita con Delega

Il cuore della decisione della Cassazione risiede nella distinzione, sottile ma fondamentale, tra il delitto di furto (art. 624 c.p.) e quello di appropriazione indebita (art. 646 c.p.). Il furto presuppone la sottrazione di un bene mobile dalla sfera di possesso altrui. L’appropriazione indebita, invece, si configura quando un soggetto, che ha già il possesso del bene per un titolo qualsiasi, se ne appropria indebitamente.

L’elemento discriminante è il possesso. Nel diritto penale, il possesso non coincide perfettamente con la nozione civilistica. Si intende come una relazione di fatto autonoma con la cosa, che permette al soggetto di disporne al di fuori della diretta sorveglianza del proprietario. Chi ha solo la mera detenzione materiale, invece, agisce sotto il controllo costante del possessore.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il motivo di ricorso, riqualificando il reato. I giudici hanno stabilito che l’imputata non era una mera detentrice delle somme. Al contrario, disponeva di una vera e propria “signoria di fatto” sul conto corrente. Elementi come la delega ad operare, il possesso esclusivo dei dispositivi token e delle password, e l’assenza di un obbligo di rendiconto puntuale, le conferivano un potere dispositivo autonomo.

La Corte ha richiamato un suo precedente orientamento (sentenza Bertini, n. 23129/2022), secondo cui il soggetto legittimato ad operare su un conto altrui che, travalicando i limiti della procura, dispone delle somme per fini personali, commette il reato di appropriazione indebita e non di furto. L’accesso al conto, derivante dalla delega, segna infatti il trasferimento del possesso in senso penalistico.

In sostanza, l’imputata non ha sottratto il denaro dal possesso altrui, ma ha abusato del possesso che le era stato fiduciariamente conferito.

Le Conclusioni: Annullamento con Rinvio e le Implicazioni Pratiche

La riqualificazione del fatto da furto ad appropriazione indebita con delega ha comportato l’annullamento della sentenza di condanna. Il processo è stato rinviato ad un’altra sezione della Corte d’Appello per un nuovo giudizio.

L’implicazione pratica più rilevante di questa decisione è legata alla procedibilità del reato. A seguito della riforma legislativa del 2018, l’appropriazione indebita è un reato procedibile a querela della persona offesa. Il nuovo giudice dovrà quindi verificare se, per i singoli episodi contestati, sia stata presentata una querela tempestiva e valida. In assenza di tale condizione, l’azione penale non potrà proseguire. Questa sentenza rappresenta un importante monito per chi concede ampie deleghe bancarie: l’abuso di fiducia da parte del delegato si configura come appropriazione indebita, un reato che, per essere perseguito, necessita di un’espressa manifestazione di volontà da parte della vittima.

Chi preleva denaro da un conto su cui ha piena delega commette furto o appropriazione indebita?
Secondo la Corte di Cassazione, commette il reato di appropriazione indebita (art. 646 c.p.). La piena delega ad operare, che include l’uso di token e password, trasferisce al delegato il possesso delle somme in senso penalistico. L’abuso di tale potere per fini personali non costituisce una sottrazione (tipica del furto), ma un’appropriazione di beni di cui si ha già la disponibilità.

Qual è la differenza chiave tra possesso e detenzione per distinguere furto e appropriazione indebita?
Il possesso, in ambito penale, è una relazione di fatto autonoma con la cosa, che consente al soggetto di disporne al di fuori della sfera di controllo del proprietario. La detenzione è invece una mera disponibilità materiale sotto la vigilanza del possessore. Nel caso di specie, la delega ampia e senza rendiconto immediato ha configurato un vero e proprio possesso in capo all’imputata, escludendo il furto.

Cosa comporta la riqualificazione del reato da furto ad appropriazione indebita?
La conseguenza principale è procedurale. Il furto aggravato è procedibile d’ufficio, mentre l’appropriazione indebita, anche aggravata in alcuni casi, è procedibile a querela della persona offesa. Pertanto, la Corte d’Appello, nel nuovo giudizio, dovrà verificare se per i fatti contestati sia stata sporta una valida e tempestiva querela. In caso contrario, il reato non potrà essere punito per mancanza di una condizione di procedibilità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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