Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 3845 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 3845 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/12/2024
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a Montanaro (TO) il 25/6/1961 avverso la sentenza della Corte di appello di Torino in data 18/6/2024 preso atto che il procedimento è stato trattato con contraddittorio scritto udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria con la quale il Sostituto procuratore generale NOME COGNOME ha chiesto l’annullamento della sentenza con rinvio; lette le conclusioni dell’avv. NOME COGNOME difensore di COGNOME NOME il quale ha chiesto l’annullamento della sentenza impugnata
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOME ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di Torino del 18/6/2024 confermativa della sentenza del GUP del Tribunale di Ivrea del 26/1/2023 con la quale, in esito al giudizio abbreviato, è stato condannato alla pena ritenuta di giustizia in ordine al delitto di cui all’art. 646 c.p. Lamenta il ricorrente il vizio di violazione di legge e contraddittorietà della motivazione ( art. 606 lett. b) ed e) c.p.p.) per avere i giudici di merito ritenuto
integrato il delitto di appropriazione indebita di materiale elettronico concesso all’imputato in leasing pur avendo affermato in sentenza che questi aveva stipulato i contratti con la RAGIONE_SOCIALE con il proposito di non adempiere l’obbligazione di pagamento dei canoni, per cui non poteva configurarsi il delitto di appropriazione indebita mancando il titolo in forza del quale l’imputato aveva conseguito il possesso dei beni.
Con il secondo motivo deduce il vizio di motivazione avendo i giudici di merito travisato il dato probatorio rappresentato dalla prosecuzione dell’attività imprenditoriale della ditta del COGNOME e quindi dell’ utilizzo dei beni uti dominus nonostante l’intimazione della COGNOME di restituire i beni, senza considerare che tre settimane dopo il rigetto, da parte della COGNOME, della proposta formulata dalla COGNOME di far subentrare un partner terzo, la COGNOME propose ricorso per l’ammissione al concordato preventivo ciò a dimostrazione della effettiva cessazione dell’attività.
I giudici di merito avrebbero poi travisato il dato probatorio, da qui l’illogicit della motivazione, relativo alla mancanza di giustificazione circa la mancata restituzione dei beni evenienza determinata dalla necessità di disporre di un figura professionale specifica per lo smontaggio dei beni trattandosi, per la maggior parte, di GPS montati su veicoli industriali.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo con il quale si contesta l’affermazione di responsabilità del COGNOME per l’inconfigurabilità del delitto di cui all’art. 646 c.p., essendo i possesso stato conseguito dall’imputato per effetto di una condotta tipica di insolvenza fraudolenta, non è consentito in sede di legittimità perché la censura non risulta essere stata previamente dedotta come motivo di appello secondo quanto è prescritto a pena di inammissibilità dall’art. 606 comma 3 cod. proc. pen.
Il secondo e il terzo motivo con cui si denunciano vizi di motivazione in relazione p alla ritenuta sussistenza dell’intervers)ossessionis avendo la Corte di merito valorizzato il dato dell’utilizzo dei beni locati nell’attività di impresa che non er cessata e la mancanza di giustificazione in ordine alla mancata restituzione degli stessi, non sono consentiti perché sollecitano alla Corte una diversa lettura dei dati processuali e tendono ad una diversa ricostruzione storica dei fatti, senza considerare che è precluso alla Corte di cassazione non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua
cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno (tra le altre, Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260).
I giudici di merito, con motivazione esente da vizi logici, hanno esplicitato le ragioni del loro convincimento (si veda in particolare, pag. 3 della sentenza impugnata) facendo applicazione di corretti argomenti giuridici ai fini della dichiarazione di responsabilità e della sussistenza del reato.
In tal senso è stato evidenziato che COGNOME amministratore della RAGIONE_SOCIALE, dopo l’intimazione della COGNOME di restituire i beni locati, non adempì e continuò ad utilizzare i beni uti dominus, anche dopo che COGNOME aveva rigettato la proposta di “sistemare le cose” facendo subentrare un partner terzo, RAGIONE_SOCIALE, per stessa ammissione del ricorrente, continuò infatti l’attività commerciale sino alla data della dichiarazione di fallimento ( 20/2/2020) o almeno sino alla data in cui propose di accedere al concordato preventivo ( 28/10/2020).
Nessun travisamento si rinviene, dunque, nella valutazione dei dati probatori dovendosi ricordare che il delitto di appropriazione indebita è reato istantaneo e si consuma nel momento e nel luogo in cui l’agente tiene consapevolmente un comportamento oggettivamente eccedente la sfera delle facoltà ricomprese nel titolo del suo possesso ed incompatibile con il diritto del proprietario, in quanto significativo dell’immutazione del mero possesso in dominio (come ad esempio l’atto di disposizione del bene riservato al proprietario o l’esplicito rifiuto restituzione della cosa posseduta :Sez.1, n.26440/2002, Rv. 222657; Sez. 2, n.17901/2014, Rv. 259715).
In merito, poi, alla giustificazione della mancata restituzione dei beni che il ricorrente assume non essere stata considerata denunciando un travisamento del fatto, il motivo è generico perché fondato su argomenti che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame e, pertanto, non specifici. A pag. 4 della sentenza impugnata il giudice d’appello ha evidenziato come la difficoltà di smontaggio non solo non risultava provata, ma la sua allegazione non risultava credibile non avendo l’imputato provveduto nemmeno alla restituzione di quei beni che non presentavano problemi di smontaggio.
La Corte di merito, ha quindi ben evidenziato plurimi elementi probatori ampiamente dimostratividella volontà del COGNOME di utilizzare i beni uti dominus e dunque dell’ interversio possessionis ai fini della configurabilità del delitto contestato.
Le su esposte considerazioni impongono la dichiarazione di inammissibilità dell’impugnazione in relazione a tutti i motivi proposti. Ne consegue, per il
disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in euro 3.000,00
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende
Così deciso il 10/12/2024