Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 24051 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 24051 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ROMA il 26/02/1955
avverso la sentenza del 05/12/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di COGNOME NOME;
Ritenuto che il primo motivo di ricorso, che contesta la correttezza della motivazione posta a base del giudizio di responsabilità per il reato di cui all’art. 646 cod. pen. per mancanza dell’elemento soggettivo, non è consentito perché fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso;
Nel caso di specie, la Corte territoriale ha correttamente ritenuto sussistenti tutti gli elementi previsti dalla norma incriminatrice per la consumazione della fattispecie in esame: in particolare si rileva, a pagina 5-6 della sentenza impugnata, come l’imputato, nella piena consapevolezza delle sue azioni e con la volontà di ottenere un ingiusto profitto, abbia sia effettuato ingenti prelievi d denaro presso un conto corrente intestato al condominio per la gestione dello stesso – somme a sua disposizione in virtù della carica di amministratore che rivestiva al momento dei fatti – sia non abbia consegnato al nuovo amministratore, a lui succeduto, i documenti e le scritture contabili relative all’attività svolta in q periodo, condotte queste accertate anche in sede di separato giudizio civile.
A nulla rileva la prospettazione difensiva secondo cui il dolo specifico richiesto non si sarebbe configurato stante la mancanza di una formale richiesta di esibizione di documenti e un avviso di restituzione delle somme sottratte da parte di condòmini e successivi amministratori, poiché, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, “il reato di appropriazione indebita si consuma nel momento in cui l’agente tiene consapevolmente un comportamento oggettivamente eccedente la sfera delle facoltà ricom prese nel titolo del suo possesso ed incompatibile con il diritto del titolare, in quanto significativo dell’immutazione del mero possesso in dominio, senza che sia necessario che la parte offesa formuli un’esplicita e formale richiesta di restituzione dello specifico bene oggetto della interversione de/possesso” (sul punto, si veda Sez. 2, n. 37498 del 24/09/2009, COGNOME, non mass.), allorché di quest’ultima il giudice del merito abbia dato congruamente atto del verificarsi alla stregua dei continenti elementi fattuali accertati;
Considerato che il secondo motivo di ricorso, che contesta difetto di motivazione per travisamento della prova, non è consentito dalla legge in sede di legittimità perché tende ad ottenere una inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito, i
quale, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento (si veda, in particolare, pag. 5);
Peraltro l’ipotesi difensiva posta a fondamento del lamentato travisamento, che si sia al cospetto di una malagestio dettata da lacune e non anche da atti appropriativi è smentita dal rilievo decisivo che i giudici di merito hanno conferito al complesso degli elementi comunque ricavabili dalle integrali testimonianze dei dichiaranti, unitariamente lette con gli esiti indizianti della documentazione acquisita e della consulenza tecnica svolta in sede civile, che non escludono sia il profilo dirimente della mancata consegna della documentazione sia delle “mancanze” pecuniarie non ascrivibili a morosità, con la conseguenza che la censura svolta finisce per ridondare sul significato della prova e non sull’utilizzazione di informazioni inesistenti;
Ritenuto che il terzo motivo di ricorso, che contesta la mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche è manifestamente infondato in presenza di una motivazione esente da evidenti illogicità, anche considerato il principio affermato da questa Corte, secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che faccia riferimento a quelli ritenuti decis o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549; Sez. 3, n. 1913 del 20/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275509; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 265826);
In particolare, la Corte di Appello ha correttamente ritenuto, a pagina 6 della sentenza impugnata, di non poter concedere la circostanza attenuante di cui all’art. 62-bis cod. pen. sulla scorta di una pluralità di elementi, tra cui il comportamento processuale dell’imputato, la professionalità con cui ha posto in essere le condotte delittuose e l’ingente danno patrimoniale arrecato, fornendo così una motivazione logica e puntuale anche in ordine a questa specifica doglianza;
che, peraltro, la condotta processuale dell’imputato che mantenga un atteggiamento “non collaborativo” può giustificare il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. (In motivazione, la S.C. ha osservato che, se l’esercizio del diritto di difesa rende, per scelta del legislatore, non penalmente perseguibili dichiarazione false rese a propria difesa dall’imputato, ciò non equivale affatto a rendere quel tipo di dichiarazioni irrilevanti per la valutazione giudizial del comportamento tenuto durante lo svolgimento del processo, agli effetti e nei
limiti di cui all’art. 133 cod. pen.).(Sez. 2, n. 28388 del 21/04/2017, Leo; Rv. 270339; Sez. 4, n. 20115 del 04/04/2018, Prendi, Rv. 272747).).
che, quanto al rilievo in ordine all’integrazione dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 7 cod. pen., dalla lettura delle sentenze di merito non risulta, né è allegato, che ci si trovi al cospetto di molteplici prelievi che siano tutti caratterizzati modesta entità; si tratta di un profilo di merito che non può essere affrontato né devoluto alla Corte di legittimità ai fini dello scrutinio della riconosciuta aggravant da parte dei giudici di merito.
E tanto a prescindere dal rilievo che il giudizio di disvalore che sostiene la circostanza aggravante risulta condotto facendo riferimento alla natura progressiva della condotta illecita, per come contestata, in quanto inerente al medesimo bene giuridico e avente ad oggetto la medesima disponibilità del conto corrente condominiale di cui l’imputato aveva il possesso nella sua qualità di amministratore.
Non si è quindi al cospetto di plurime appropriazioni commesse nei confronti di una pluralità diversificata di soggetti seppur, al riguardo, la Corte di cassazione ha affermato, con orientamento che il Collegio condivide, che in tema di reato continuato, valendo il principio di unitarietà in mancanza di tassative esclusioni, la valutazione della sussistenza o meno dell’aggravante del danno di rilevante gravità deve essere effettuata con riferimento, non al danno cagionato da ogni singola violazione commessa nei confronti di un’unica persona offesa, ma a quello complessivo, causato alla stessa, dalla somma delle violazioni (Sez. 2, n. 40314 del 03/05/2023, Rv. 285253 – 01; Sez. 2, n. 25030 del 31/05/2022, Rv. 283554 – 01; Sez. 2, n. 34525 del 13/07/2021, Rv. 281866 – 01);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
ritenuto infine che la declaratoria di inammissibilità del ricorso, che impedisce la corretta istaurazione del rapporto processuale preclude la corte di legittimità di dichiarare l’avvenuta estinzione del reato per prescrizione (vedi Sez. 2, n. 28848 dell’8/05/2013, COGNOME Rv. 256463; Sez. U, n. 6903 del 27/5/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268966; Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266818; Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D.L., Rv. 217266).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 23 maggio 2025
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