Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 30385 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 30385 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a FIUMARA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 04/07/2023 della CORTE ASSISE APPELLO di REGGIO CALABRIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del AVV_NOTAIO COGNOME che ha chiesto annullarsi l’ordinanza impugnata limitatamente all’applicazione dell’indulto di cui alla le n. 241 del 2006, con rinvio per nuovo esame sul punto alla Corte d’assise appello di Reggio Calabria.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata nel preambolo la Corte di assise di appello Reggio Calabria ha rigettato l’opposizione presentata da NOME COGNOME avvers il provvedimento con cui gli era stata negata l’applicazione sia dell’indulto agli artt. 1 e seg. d.P.R., 22 dicembre 1990, n. 394 sia dell’indulto di cui a 1 e seg. legge, 3 luglio 2006, n. 241, in relazione alla pena inflittagl
sentenza di condanna della Corte di assise di appello di Reggio Calabria, in data 10 aprile 2003, per il delitto di tentato omicidio commesso il 3 ottobre 1987.
Ricorre per cassazione Irnerti, con il ministero del suo difensore di fiducia, articolando due motivi.
2.1. Con il primo deduce-vizio di motivazione con riferimento all’art. 4 del d.P.R. n. 394 del 1990
Lamenta che l’ordinanza impugnata, erroneamente e comunque seguendo un percorso giustificativo illogico ed incompleto, ha ritenuto la sentenza, in data 3 aprile 2001, che lo ha condanNOME per il delitto di associazione mafiosa, causa della revoca di diritto dell’invocato indulto nonostante la condotta partecipativa da essa accertata sia cessata con l’incarcerazione nel 1990 e quindi prima del quinquennio successivo all’entrata in vigore del d.P.R. n. 394 del 1990, periodo rilevante ai fini della revoca del beneficio.
2.2. Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione, violazione di legge in relazione agli artt. 7 della Convenzione EDU, 25 Cost., e 2 cod. pen. nonché violazione dei principi di irretroattività della norma più sfavorevole al reo e d intangibilità del giudicato.
Lamenta che la Corte distrettuale ha considerato ostativQ, alla concessione dell’indulto la condanna per un fatto commesso con metodo e finalità mafiosa in assenza della contestazione della relativa aggravante di cui all’art. 7 d.l. 13, maggio 1991, n. 152, ancora normativamente non prevista all’epoca di consumazione del reato per il quale è stata inflitta la pena oggetto del beneficio. Con tale decisione ha finito per applicare retroattivamente gli effetti peggiorativi correlati all’entrata in vigore della norma che ha introdotto l’aggravante per di più modificando la constatazione originaria del processo di cognizione
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato limitatamente all’applicazione dell’indulto di cui alla legge n. 241 del 2006.
Il primo motivo, relativo all’indulto previsto dal d.P.R. n. 394/90, non è consentito perché interamente versato in fatto ed è, comunque, manifestamente infondato.
Il giudice dell’esecuzione, preso atto che la contestazione relativa al reato associativo, valutabile come causa di revoca di diritto dell’indulto, era “aperta”, ha proceduto, nei termini indicati alla consolidata giurisprudenza di legittimità (cfr., più di recente, Sez. 1, n. 10567 del 05/02/2019, Mucci, Rv. 274877 – )
all’accertamento mediante interpretazione del giudicato, pervenendo alla conclusione, tutt’altro che illogica, che la condotta partecipativa di COGNOME, sull scorta delle evidenze probatorie acquisite nel processo di cognizione, era proseguita anche dopo la sua carcerazione, cessando soltanto con la sentenza emessa in esito al primo grado del giudizio in data 19 gennaio 1999.
Correttamente, pertanto, la Corte distrettuale ha ritenuto che la sentenza, in data 3 aprile 2001, abbia accertato una condotta associativa protrattasi anche nel quinquennio successivo all’entrata in vigore del d.P.R. n. 394 del 1990, come tale idonea a determinare la revoca dell’indulto in applicazione del principio in forza del quale ai fini della sussistenza di un delitto non colposo commesso nel quinquennio successivo alla data di entrata in vigore della legge che ha concesso l’indulto, è sufficiente, in caso di reato permanente come quello associativo, che sia caduto nel quinquennio in oggetto un qualsiasi segmento del reato (cfr. per l’indulto di cui alla legge 31 luglio 2006, n. 241 Sez. 1, n. 36866 del 03/02/2023, Cava, Rv. 285238 – 01; per l’indulto di cui al d.P.R. n. 394/90 Sez. 1, n. 5565 del 21/11/1994, dep. 1995, COGNOME Scavo, Rv. 200406 – 01.).
Il ricorrente oppone, per di più in termini generici, una diversa lettura del compendio probatorio e, in particolare, delle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, sollecitando in tal modo apprezzamenti riservati al giudice del merito ed estranei al giudizio di legittimità.
2. Il secondo motivo è fondato.
2.1. Si è definitivamente affermato nella giurisprudenza di legittimità l’orientamento secondo cui il giudice dell’esecuzione, se nel giudizio di cognizione non è stata mai contestata la circostanza aggravante di cui all’art. 7 D.L. 13 maggio 1991 n. 152 convertito nella legge 12 luglio 1991 n. 203, non può ritenerne la ricorrenza al fine di escludere l’applicabilità dell’indulto di cui alla legge 31 lu 2006 n. 241 (cfr. Sez. 1, n. 43716 del 13/11/2008, COGNOME Simone, Rv. 242199).
Nello stesso senso, si è evidenziato come, una volta che nel giudizio di cognizione non sia stata formalmente contestata la circostanza aggravante di cui all’art. 7 D.L. 13 maggio 1991 n. 152 convertito nella legge 12 luglio 1991 n. 203, il giudice dell’esecuzione non può ritenerne la ricorrenza, al fine di escludere l’applicabilità dell’indulto di cui alla legge 31 luglio 2006 n. 241, precluso presenza di detta aggravante, interpretando la sentenza di condanna per più reati in continuazione nel senso che quelli non oggettivamente esclusi dal beneficio siano stati commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis, cod. pen., ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni di tipo mafioso, per solo fatto di essere in continuazione con l’associazione di tipo mafioso (cfr. Sez. 1, n. 25954 del 04/06/2008, COGNOME, Rv. 240469).
Nella stessa prospettiva si è precisato che in materia di applicazione dell’indulto, di cui alla legge 31 aprile 2006, n. 241, il divieto di concessione de beneficio in ordine ai reati aggravati dalla circostanza prevista dall’art. 7 D.L. 13 maggio 1991, n. 152, non può estendersi agli altri reati concorrenti per i quali la medesima aggravante non sia stata formalmente contestata, ritenendone l’esistenza sulla base di una interpretazione contenutistica della sentenza. In applicazione di tale principio, la Corte ha annullato l’ordinanza del giudice dell’esecuzione che aveva esteso il divieto di applicazione dell’indulto per il reato di partecipazione ad associazione di tipo mafioso ai reati di omicidio e detenzione armi, per i quali non era stata formalmente contestata la circostanza, ritenendola contenuta nelle aggravanti formalmente contestate dei motivi abietti e del nesso teleologico (Sez. 1, n. 40394 del 24/09/2013, Russo, Rv. 257603).
Pacifico ed incontestato che l’indulto invocato da COGNOME ai sensi della I. 241 del 2006 riguarda la pena per reati non aggravati ai sensi dell’art. 7 D.L. 13 maggio 1991 n. 152, è evidente che non può nel caso in esame trovare applicazione il disposto dell’art. 1, co. 2, lett. d) che limita l’esclusione del beneficio dell’indu solo ai “reati per i quali ricorre la circostanza aggravante, di cui all’art. 7 decreto legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, e successive modificazioni”.
L’ordinanza impugnata va, pertanto, annullata con rinvio alla Corte di assise di appello di Reggio Calabria, per nuovo esame della richiesta di applicazione dell’indulto di cui alla legge n. 241 del 2006 da condursi attenendosi ai principi di diritto in precedenza indicati.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di assise di appello di Reggio Calabria.
Così deciso, in Roma 4 giugno 2024.