Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 33664 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 33664 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nata a LECCE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 27/06/2023 della CORTE di APPELLO di BOLOGNA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo di dichiarare inammissibile il ricorso; udito il difensore dell’imputata, AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso e ha rilevato che nelle more i reati si sono prescritti.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Bologna, in totale riforma della sentenza assolutoria di primo grado impugnata dal pubblico ministero, ha dichiarato COGNOME NOME colpevole del reato di cui all’artt. 615-ter cod. pen. aggravato ai sensi dei commi secondo, n. 1 e terzo, nonché del reato di cui all’art. 326 cod. pen., commessi 11 18 marzo 2015, il 13 aprile 2015, il 17 aprile 2015, il 29 aprile 2015 e il 30 aprile 2015.
1.1. L’imputata era stata tratta a giudizio per rispondere dei reati di accesso abusivo a sistema informatico e di rivelazione di segreti di ufficio perché: «con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso poste in essere in violazione dei doveri su di lei gravanti quale dipendente del Ministero della Giustizia assegnata come ausiliario presso l’ufficio citazioni a giudizio della Procura della Repubblica di Reggio Emilia, pur avendo legittimamente le credenziali di accesso al sistema SICP per svolgere attività diverse dalla consultazione dei fascicoli ancora in indagini preliminari, si introduceva in modo abusivo nel suddetto sistema protetto da misure di sicurezza effettuando interrogazioni relative al NUMERO_DOCUMENTO. NUMERO_DOCUMENTO21 ancora in fase di indagini preliminari e per il quale era stata richiesta l’emissione di misure caute/ari anche a carico del suo conoscente COGNOME NOME NOME marito di COGNOME NOME, con la quale intratteneva rapporti di amicizia e frequentazione ed alla quale rivelava le notizie di ufficio in tal modo arbitrariamente apprese, e che dovevano rimanere segrete, arrivando a dirle telefonicamente 11 30 aprile 2015 che a quella data “te lo confermo non ci sono novità”».
1.2. Il Tribunale di Reggio Emilia aveva assolto l’imputata dal reato di cui all’art. 615-ter cod. pen., escludendo l’elemento soggettivo del reato, e da quello di cui all’art. 326 cod. pen. per insussistenza del fatto.
La decisione si fondava sulle considerazioni di seguito riassunte.
1.2.1. Il delitto di cui all’art. 615-ter cod. pen.
L’imputata, inquadrata come ausiliaria amministrativa, svolgeva la propria attività presso la Procura della Repubblica di Reggio Emilia dove era stata assegnata all’ufficio dibattimento e provvedeva alla movimentazione materiale dei fascicoli e alla predisposizione di atti per la firma del responsabile.
L’imputata, utilizzando le proprie credenziali, aveva consultato il SICP per dodici volte attraverso la chiave numerica procedimento n. 2053/15-21 e per otto volte attraverso la chiave nominale riferibile al nominativo COGNOME NOME.
La COGNOME era autorizzata ad accedere integralmente al SICP con facoltà di consultazione e visualizzazione dei dati ivi inseriti, senza limiti. Il titolare dello ius excludendi non aveva disciplinato in modo specifico il suo accesso (non vi erano linee guida, né era stato diramato un protocollo); l’operazione compiuta dalla COGNOME non era “ontologicamente” diversa da quelle cui era autorizzata.
Secondo il Tribunale la condotta in rassegna, posta in essere nei mesi di marzo e aprile 2015, doveva considerarsi riconducibile al delitto in contestazione sulla scorta della sentenza delle Sezioni Unite COGNOME (n. 41210 del 18/05/2017) che avevano “esteso” la fattispecie tipica anche al dipendente pubblico, autorizzato ad accedere a un archivio informatico, che prende visione dei dati relativi ad un procedimento penale per ragioni estranee allo svolgimento delle proprie funzioni – ma non in base ai principi in precedenza declinati dalla pronuncia delle Sezioni
Unite Casani (n. 4694 del 27/10/2011, dep. 2012) che, invece, avevano ritenuto irrilevanti, ai fini della sussistenza del reato, gli scopi e le finalità che avesser soggettivamente motivato l’ingresso nel sistema.
La sentenza COGNOME (del 18 maggio 2017) – che, secondo il Tribunale, ha realizzato un imprevedibile overruling in malam partem-era intervenuta in un momento successivo alla commissione del reato (marzo e aprile 2015) risalente a un’epoca in cui le linee guida erano ancora quelle delle Sezioni Unite Casani, che avevano attribuito alla descrizione della condotta tipica “un significato decisamente più restrittivo e concreto” nel quale non rientrava il fatto in contestazione.
Il Tribunale, richiamata la giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 368 del 1988) e quella sovranazionale (Corte Edu nel caso Contrada c/ Italia), faceva applicazione dello strumento ermeneutico del giudizio di “inevitabilità dell’errore sul precetto ex art. 5 cod. pen.” e perveniva a un verdetto assolutorio per mancanza dell’elemento soggettivo del reato.
1.2.2. Il delitto di cui all’art. 326 cod. pen.
Il medesimo Tribunale aveva escluso la configurabilità del delitto di rivelazione del segreto di ufficio, sul rilievo che alla data del 30 aprile 2015, quando si colloca la telefonata incriminata, era già stata emessa la misura cautelare a carico di NOME, per cui sia questi sia i familiari erano già al corrente della pendenza di indagini; mentre la laconicità dell’espressione “te lo confermo non ci sono novità” non potrebbe essere ricondotta, con certezza, alla rivelazione della assenza di iscrizioni per ulteriori procedimenti oltre a quello già a conoscenza della interlocutrice.
1.3. La Corte di appello, in accoglimento dell’appello proposto dal Pubblico ministero, ha riformato in toto la decisione assolutoria, ritenendo integrati entrambi i delitti oggetto di addebito.
1.3.1. Il delitto di cui all’art. 615-ter cod. pen.
Il giudice di secondo grado esclude la sussistenza delle condizioni su cui si radica la pronuncia di primo grado.
Anzitutto le Sezioni Unite COGNOME non hanno dato vita a un overruling sfavorevole – come ha ritenuto anche la Corte di cassazione con la sentenza n. 47510 del 09/07/2018, Rv 274406-, poiché si sono limitate a puntualizzare il concetto di “operazioni ontologicamente estranee” elaborato dalle Sezioni Unite Casani.
In secondo luogo la condotta ascritta all’imputata ricade nella previsione dell’art. 615-ter cod. pen. anche secondo le coordinate fissate dalle Sezioni Unite Casani: l’imputata disponeva delle credenziali per accedere al SICP solo al fine di raccogliere i dati che avrebbe dovuto riversare negli atti da compilare per l’ufficio
dibattimento; l’imputata non era stata autorizzata a consultare fascicoli (come quello n. 2053/15-21) che si trovassero ancora nella fase delle indagini preliminari; quindi l’attività della stessa esorbitava oggettivamente dalle condizioni che ne autorizzavano l’accesso secondo lo schema illecito già disegnato dalle Sezioni Unite Casani.
1.3.2. Il delitto di cui all’art. 326 cod. pen.
L’imputata aveva comunicato all’amica l’assenza di nuove iscrizioni a carico del marito, il che integrava ex se il reato di rivelazione di segreti di ufficio, “indipendentemente dalla sotto posizione o meno dell’indagato a misure caute/ari”.
Avverso l’indicata sentenza ricorre l’imputata, per il tramite del difensore, articolando tre motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 comma 1 disp. att. cod. proc. pen..
2.1. Con il primo motivo ripropone l’eccezione di inammissibilità dell’appello del Pubblico ministero già coltivata in sede di gravame.
Sostiene che l’impugnazione della parte pubblica non risponderebbe al requisito di specificità dei motivi, poiché costituirebbe pedissequa e apodittica riproposizione degli argomenti di fatto e di diritto presentati al giudice di grado con una memoria ex art. 121 cod. proc. pen., senza alcun confronto con le ragioni poste a base della pronuncia assolutoria.
2.2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del delitto di accesso abusivo a sistema informatico.
Il ricorrente, seguendo la linea interpretativa del primo giudice, sostiene, con ampie argomentazioni, che la sentenza delle Sezioni Unite COGNOME avrebbe operato un overruling sfavorevole tale da far rientrare nell’alveo precettivo dell’art. 615-ter cod. pen. anche la condotta dell’imputata che, invece, ne sarebbe estranea in base a quanto in precedenza stabilito dalle Sezioni Unite Casani.
Fa valere inoltre il travisamento della prova sulla natura della autorizzazione all’accesso riconosciuta all’imputata che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte di appello, era estesa all’intero SICP, senza limiti, stante l’assenza di un protocollo o di altre disposizioni impartite all’imputata circa l’utilizzo del sistema informatico.
2.3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del delitto di rivelazione di segreto di ufficio.
In primo luogo, si contesta l’attribuibilità all’imputata della qualifica d incaricato di pubblico servizio, avuto riguardo alla natura delle mansioni meramente esecutive esercitate.
Inoltre si sostiene che la Corte di appello, operando un travisamento della prova, avrebbe riferito l’espressione “te lo confermo non ci sono novità”» alla rivelazione della assenza di ulteriori iscrizioni, anche perché in realtà, come riferito dall’imputata, vi erano altre iscrizioni a carico del COGNOME e la notizia era, semmai, consapevolmente falsa.
Si è proceduto a discussione orale su richiesta del difensore dell’imputata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
In accoglimento del primo motivo di ricorso, va rilevato, ex art. 591, comma 4, cod. proc., che l’appello del Pubblico ministero è inammissibile per difetto di specificità.
L’atto di appello del pubblico ministero (avverso la sentenza di primo grado emessa il 18 febbraio 2022) ricadeva ratione temporis sotto il vigore della c.d. riforma Orlando e doveva rispettare, tra l’altro, l’art. 581, comma 1, cod. proc. pen., che richiede l’enunciazione specifica, a pena di inammissibilità: a) dei capi o dei punti della decisione ai quali si riferisce l’impugnazione; b) delle prove delle quali si deduce l’inesistenza, l’omessa assunzione o l’omessa o erronea valutazione; c) delle richieste, anche istruttorie; d) dei motivi, con l’indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta.
Secondo il costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità, il difetto di specificità dei motivi ricorre non solo quando essi risultino intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME). Ciò in quanto l’atto di impugnazione non può ignorare le ragioni del provvedimento censurato.
Dal principio AVV_NOTAIO appena enunciato si è tratta, come corollario, l’inammissibilità, per difetto di specificità, dell’appello del P.M. che si limiti riprodurre una memoria prodotta nel corso del giudizio di primo grado (Sez. 3, n. 29612 del 05/05/2010, R., Rv. 247741 – 01), in quanto l’impugnazione risulta disancorata dalla motivazione del provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 22445 del 08/05/2009, Candita, Rv. 244181 – 01).
Nella specie l’atto di appello del pubblico ministero (se si eccettua l’inserimento di alcune frasi “di stile”) si esaurisce nella riproduzione testuale della memoria scritta del 18 febbraio 2022, depositata dinanzi al Tribunale prima della deliberazione della sentenza e quindi senza avere alcuna cognizione delle ragioni della decisione con cui, all’evidenza, non si misura.
In particolare il pubblico ministero non affronta – se non in un laconico cenno (“la giurisprudenza non è fonte legislativa soggetta alla regola della irretroattività”) il punto cruciale della decisione di assoluzione dell’imputata dal reato di cui all’art. 615-ter cod. pen.; assoluzione incentrata sul complesso tema (delicato e attualissimo, sviscerato dal Tribunale con dovizia di argomenti) dell’imprevedibile overruling sostanziale in malam partem e, quindi, sulla ritenuta assenza dell’elemento soggettivo per errore scusabile sul precetto ex art. 5 cod. pen. come risultante della sentenza della Corte costituzionale n. 368 del 1988.
L’impugnazione in esame neppure è calibrata sul motivo della ritenuta insussistenza del reato di cui all’art. 326 cod. pen.. La parte pubblica impugnante non si misura con la precipua ratio decidendi che fa leva sul difetto di prova della segretezza delle informazioni divulgate, dato che, secondo il Tribunale, non è possibile affermare, con la necessaria certezza, che l’imputata, nel profferire la frase incriminata (“te lo confermo non ci sono novità”), avesse inteso riferirsi a iscrizioni di procedimenti penali nuovi o ulteriori rispetto a quello già oggetto di disco very.
Consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perché l’appello del Pubblico ministero è inammissibile.
Per effetto di tale declaratoria diviene irrevocabile la sentenza di assoluzione pronunciata in primo grado.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché l’appello del Pubblico ministero è inammissibile e dispone l’esecuzione della sentenza di assoluzione emessa dal Tribunale di Reggio Emilia n. 336 del 18/02/2022.
Così deciso il 17/05/2024