Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 23095 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 23095 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOME nato a Rho il 24/06/1973
avverso la ordinanza del 26/02/2025 della Corte di appello di Bologna visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona della Sostituta Procuratrice generale NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato con trasmissione degli atti alla Corte di appello di Bologna per l’ulteriore corso .
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con ordinanza del 26 febbraio 2025 la Corte d’appello di Bologna dichiarava inammissibile l’appello proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso la sentenza emessa il 13 giugno 2024, con la quale il Tribunale di Bologna aveva condannato l’imputato alla pena di un anno, tre mesi di reclusione e cinquecento euro di multa per il reato di truffa consumata in concorso.
Riteneva la Corte territoriale che l’impugnazione fosse inammissibile, ai sensi dell’art. 591, comma 1, lett. c) , cod. proc. pen., per inosservanza dell’art. 581 , comma 1bis , dello stesso codice, avuto riguardo al profilo della specificità estrinseca, in quanto con l’atto di appello si era riproposta la tesi del mero tentativo di truffa, in assenza di un confronto con le ampie argomentazioni sul punto della sentenza di primo grado.
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME a mezzo del proprio difensore di fiducia, lamentando la manifesta illogicità della motivazione.
La Corte di merito ha ritenuto generico il motivo di appello nonostante la difesa, citando anche giurisprudenza di legittimità, avesse offerto una ricostruzione alternativa a quella del primo Giudice, specificando, in punto di qualificazione giuridica del fatto, che ‘proprio il pronto intervento dell’Istituto di credito, con il blocco della carta, impediva all’odierno ricorrente di impossessarsi della somma versata dalla persona offesa, che successivamente -sempre con disposizione dell’istituto di credito -veniva restituita all’avente diritto, impedendo il verificarsi sia dell’ingiusto profitto sia del danno, elementi costitutivi della truffa’.
La specificità del motivo di appello non è inficiata dalla circostanza che la somma versata sulla carta del complice non sarebbe stata restituita, in quanto Guarda verosimilmente non era neppure a conoscenza della sua attività delittuosa; in ogni caso la circostanza avrebbe richiesto una verifica nel merito.
Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta, chiedendo l’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato .
Il ricorso è inammissibile perché proposto con un motivo manifestamente infondato.
L’ordinanza impugnata ha richiamato il principio affermato dall e Sezioni Unite nella sentenza COGNOME (n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Rv. 268822 -01), secondo il quale l’appello, al pari del ricorso per cassazione, «è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della sentenza impugnata», principio poi recepito dal legislatore che, con il decreto legislativo 10 ottobre 2002, n. 150, ha introdotto il comma 1bis all’interno dell’articolo 581 del codice di rito,
prevedendo la inammissibilità dell’appello «per mancanza di specificità dei motivi quando, per ogni richiesta, non sono enunciati in forma puntuale ed esplicita i rilievi critici in relazione alle ragioni di fatto o di diritto espresse nel provvedimento impugnato, con riferimento ai capi e punti della decisione ai quali si riferisce l’impugnazio ne».
Nel contempo, però, la sentenza COGNOME ha rimarcato che «il sindacato sull’ammissibilità dell’appello, condotto ai sensi degli artt. 581 e 591 cod. proc. pen., non può ricomprendere -a differenza di quanto avviene per il ricorso per cassazione (art. 606, comma 3, cod. proc. pen.) o per l’appello civile -la valutazione della manifesta infondatezza dei motivi di appello. La manifesta infondatezza non è infatti espressamente menzionata da tali disposizioni quale causa di inammissibilità dell’impugnazione. Dunque, il giudice d’appello non potrà fare ricorso alla speciale procedura prevista dall’art. 591, comma 2, cod. proc. pen., in presenza di motivi che siano manifestamente infondati e però caratterizzati da specificità intrinseca ed estrinseca» (in senso conforme vds., ad es., Sez. 4, n. 36533 del 15/09/2021, Oddo, Rv. 281978 -01 nonché Sez. 5, n. 11942 del 25/02/2020, COGNOME, Rv. 278859 -01).
Nel caso di specie l’ordinanza impugnata risulta conforme ai suddetti princì pi, avendo puntualmente evidenziato, con motivazione tutt’altro che illogica, le ragioni per le quali l’atto di appello difettava di specificità estrinseca.
La Corte territoriale, infatti, ha osservato che la somma di 3.500 euro -secondo quanto evidenziato dal Tribunale -era uscita dalla sfera di disponibilità della persona offesa NOME COGNOME essendo già stata accreditata sulla carta di NOME COGNOME che fu bloccata solo in un secondo momento con successiva restituzione del denaro allo stesso COGNOME. Così ricostruito il fatto, riteneva il Tribunale che la truffa dovesse ritenersi consumata, anche perché, pacificamente, le cinque ricariche da 500 euro l’una effettuate in favore del complice erano confluite sulla carta di quest’ultimo (l’originario coimputato NOME COGNOME non appellante) e il relativo importo non era stato restituito alla persona offesa.
A fronte di una ricostruzione dei fatti non contestata e di queste specifiche argomentazioni, nell’appello la difesa ha sostenuto la tesi del tentativo ribadendo solo che il mancato incasso da parte di Guarda della somma di 3.500 euro, già accreditata sulla sua carta, non avrebbe integrato il reato consumato e obliterando del tutto il profitto dal medesimo conseguito, con correlativo danno per la persona offesa, in conseguenza delle ricariche effettuate sulla carta di
COGNOME concorrente nel medesimo e unico reato di truffa per il quale il ricorrente e il coimputato sono stati condannati.
All’inammissibilità dell’impugnazione proposta segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 05/06/2025.