Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 29493 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 29493 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 10/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOME nato in TUNISIA il 20/11/1994
avverso l’ordinanza del 11/02/2025 della Corte di appello di Bologna Letto il ricorso ed esaminati gli atti;
udita la relazione del Consigliere NOME COGNOME
letta la memoria depositata dal Procuratore Generale che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Bologna, con la decisione indicata in epigrafe, ha dichiarato inammissibile il gravame, proposto personalmente dall’imputato, avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Rimini in data 26 novembre 2024, con la quale NOME COGNOME veniva riconosciuto colpevole dei reati di cui all’art. 73, comma 1, d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 (capo A) e agli artt. 81 cpv cod.pen., 73, comma 1, d.P.R. 309/90 (capo B).
1.1 Per una migliore illustrazione dei motivi di ricorso, è utile ripercorrere sinteticamente la vicenda oggetto di giudizio.
L’imputato proponeva personalmente appello avverso la suindicata pronuncia di condanna, articolato su due distinti motivi: il primo concernente la riqualificazione giuridica dei fatti nell’ipotesi di lieve entità ex art. 73, comma V, d.P.R. 309/90, argomentando la sussistenza di elementi fattuali quali il modesto dato ponderale della sostanza sequestrata e l’occasionalità del fatto, legato alla momentanea perdita del lavoro; il secondo relativo alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e alla misura eccessiva della pena irrogata, evidenziando l’omessa considerazione del corretto comportamento processuale, della sporadicità della condotta, dell’assenza di precedenti specifici e della regolare attività lavorativa svolta anteriormente.
La Corte di appello di Bologna, con ordinanza n. 68/25 dell’11 febbraio 2025, ha dichiarato l’inammissibilità del gravame per difetto di specificità dei motivi ex art. 581, comma 1 bis , cod. proc. pen., ritenendo che l’appellante non avesse formulato adeguate censure critiche rispetto alle argomentazioni del giudice di primo grado.
Il Collegio territoriale ha dichiarato inammissibile l’impugnazione per tre ragioni. In primo luogo, non erano stati considerati gli elementi utilizzati dal Tribunale per escludere la lieve entità del fatto. In secondo luogo, mancavano argomenti idonei a confutare i motivi per cui erano state negate le attenuanti generiche. Infine, non era stata specificamente contestata l’adeguatezza della sanzione comminata, stabilita nel rispetto del minimo previsto dalla legge.
In particolare, il Tribunale di Rimini aveva fondato la propria decisione di condanna su una ricostruzione fattuale dettagliata, evidenziando la rilevanza del dato quantitativo dello stupefacente rinvenuto (111,15 grammi di eroina e 6 di monoacetilmorfina con principio attivo dell’8,78%), dal quale potevano essere ricavate 444 dosi commerciali e 388 dosi medie singole, per un considerevole profitto potenziale.
L’organo giudicante aveva inoltre posto l’accento sulle modalità dell’attività di spaccio, caratterizzata da sistematicità organizzativa attraverso appuntamenti
fissi, clientela fidelizzata e utilizzo di mezzi abituali di trasporto, elementi ritenuti espressivi di un inserimento stabile dell’imputato in una rete di distribuzione di sostanze stupefacenti strutturata territorialmente.
Quanto al profilo sanzionatorio, il giudice di primo grado aveva negato la concessione delle circostanze attenuanti generiche sulla base di considerazioni relative alla mancanza di resipiscenza, al rifiuto di collaborare nella rivelazione dei canali di approvvigionamento e all’accertato inserimento nell’organizzazione dello spaccio, elementi reputati prevalenti rispetto agli aspetti favorevoli della personalità dell’imputato.
Avverso l’ordinanza di inammissibilità, il difensore dell’imputato ricorre per cassazione deducendo il vizio di manifesta illogicità della motivazione ex art. 606, lett. e ), cod. proc. pen., in riferimento all’asserita mancanza di specificità dell’atto di appello.
La censura si articola nella contestazione dell’interpretazione operata dalla Corte territoriale circa i requisiti di specificità richiesti dall’art. 581, comma 1 bis , cod. proc. pen., sostenendo che i motivi di appello avevano effettivamente affrontato, seppure sinteticamente, le questioni poste dal giudice di primo grado a fondamento della sentenza di condanna.
In particolare, il ricorrente evidenzia come il primo motivo di appello avesse specificamente contestato la qualificazione giuridica operata dal Tribunale, argomentando la sussistenza dei presupposti per la derubricazione nell’ipotesi lieve sulla base del “modesto quantitativo”, dell'”esiguità del principio attivo” e dell'”assoluta unicità della condotta delittuosa”, elementi che costituirebbero rilievi critici idonei a confutare le valutazioni del giudice di primo grado secondo i parametri stabiliti dalle Sezioni Unite con sentenza n. 8825 del 27/10/2016 .
Analogamente, rispetto al secondo motivo, il ricorrente contesta l’assunto della Corte di merito circa l’assenza di dati idonei a mettere in crisi le ragioni esposte per negare le attenuanti generiche, rilevando come l’appello avesse posto l’accento sulla mancata analisi, da parte del Tribunale, di specifici criteri di cui all’art. 133 cod.pen., quali il corretto comportamento processuale, la sporadicità della condotta realizzata da soggetto incensurato e la regolare attività lavorativa precedentemente svolta.
La difesa contesta inoltre la motivazione adottata dalla Corte di appello, evidenziando che gran parte dell’ordinanza risulta composta da formule generiche e impersonali, con un approccio meramente riproduttivo di massime giurisprudenziali e contenuti della sentenza di primo grado.
Il ricorrente conclude, invocando l’applicazione del principio del favor impugnationis , alla stregua dell’orientamento giurisprudenziale secondo cui
l’esigenza di specificità in sede di appello deve intendersi in maniera meno rigorosa rispetto al giudizio di legittimità, e sollecitando conseguentemente l’annullamento dell’ordinanza impugnata con trasmissione degli atti ad altra sezione della medesima Corte di appello.
Il Procuratore Generale ha depositato memoria, concludendo per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
La normativa processuale vigente, come modificata dal d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 150, ha introdotto nell’art. 581 cod. proc. pen. il comma 1 bis , il quale stabilisce che l’appello è inammissibile per mancanza di specificità dei motivi quando, per ogni richiesta, non sono enunciati in forma puntuale ed esplicita i rilievi critici in relazione alle ragioni di fatto o di diritto espresse nel provvedimento impugnato, con riferimento ai capi e punti della decisione ai quali si riferisce l’impugnazione.
La ratio della novella legislativa, come emerge dalla Relazione illustrativa, risiede nell’intento di innalzare il livello qualitativo dell’atto di impugnazione e del relativo giudizio in chiave di efficienza processuale.
L’espressa previsione della necessità di enunciare «in forma puntuale ed esplicita i rilievi critici in relazione alle ragioni di fatto o di diritto espresse nel provvedimento impugnato» rende evidente che i motivi di appello non sono diretti all’introduzione di un giudizio del tutto sganciato da quello di primo grado, ma devono attivarsi come strumento di controllo €su specifici punti e per specifiche ragioni della decisione impugnata».
Già in precedenza, le Sezioni Unite COGNOME, con sentenza n. 8825 del 27 ottobre 2016, affermavano che l’appello, al pari del ricorso per cassazione, è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fermo restando che l’onere di specificità a carico dell’impugnante è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato (Sez. U, n.8825 del 27/10/2016 Cc. (dep. 22/02/2017 ) Rv. 268823 – 01).
Infatti, l’art. 581 cod. proc. pen. richiede che l’atto di appello contenga non soltanto l’indicazione dei “capi” e dei “punti” della decisione oggetto di censura, ma altresì l’esplicitazione dei motivi articolati nelle pertinenti ragioni in fatto ed in
diritto correlate alle richieste svolte, atti a giustificare sia il dissenso dalla decisione fatta segno di critica che la diversa deliberazione sollecitata con il gravame.
Si è pure affermato che «ai fini della valutazione dell’ammissibilità dei motivi di appello, sotto il profilo della specificità, è necessario che il ricorrente non si limiti a contestare semplicemente il punto della pronuncia di cui chiede la riforma, ma che rispetto ad esso indichi le ragioni di fatto o di diritto per cui non ne condivide la valutazione» (Sez. 3, n. 12727 del 21/02/2019, COGNOME, Rv. 275841).
La necessaria osservanza del requisito della specificità dei motivi, in aggiunta alla mera indicazione dei capi e punti gravati, è stata sancita dalla giurisprudenza di legittimità quale elemento indefettibile per l’ammissibilità dell’impugnazione, atteso che l’appello deve contenere ragioni idonee a confutare e sovvertire, sul piano strutturale e logico, le valutazioni del primo giudice.
Nel caso di specie, l’analisi dell’atto di appello evidenzia la totale assenza dei requisiti di specificità che la normativa processuale e l’orientamento giurisprudenziale richiedono per l’ammissibilità dell’impugnazione.
2.1 Quanto al primo motivo, l’appellante si limitava a richiedere la riqualificazione giuridica del fatto nell’ipotesi di lieve entità ex art. 73, comma V, D.P.R. 309/90, adducendo genericamente il “modesto dato ponderale” e la “sporadicità del fatto”.
Tuttavia, l’impugnazione non si confrontava minimamente con l’articolata motivazione del Tribunale di Rimini, il quale aveva specificamente argomentato l’esclusione della derubricazione sulla base di elementi fattuali dettagliatamente analizzati: la significatività quantitativa dello stupefacente rinvenuto (111,15 grammi di eroina e 6 di monoacetilmorfina), la qualità della sostanza (principio attivo dell’8,78%), la commerciabilità in centinaia di dosi (444 dosi commerciali e 388 dosi medie singole), il profitto potenziale stimato, e soprattutto le modalità dell’attività di spaccio caratterizzata da appuntamenti fissi, clientela fidelizzata e inserimento stabile in una rete di distribuzione organizzata.
L’appellante si asteneva dal fornire qualsiasi confutazione specifica di questi rilievi fattuali, senza alcun confronto critico con l’ iter motivazionale seguito dal giudice. In particolare, l’affermazione relativa al “modesto dato ponderale” risultava palesemente contraddittoria rispetto all’accertamento di fatto operato dal Tribunale circa la significativa quantità di stupefacente sequestrata e la sua idoneità a produrre centinaia di cessioni al dettaglio.
2.2 Analogamente, rispetto al secondo motivo concernente la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, l’appellante non offriva alcun elemento idoneo a confutare le specifiche argomentazioni del Tribunale, il quale aveva negato il beneficio sulla base di considerazioni articolate relative alla
mancanza di resipiscenza, al rifiuto di collaborare e all’accertato inserimento nell’organizzazione dello spaccio. L’atto di appello si limitava a richiamare genericamente il “corretto comportamento processuale” e la “sporadicità della condotta”, senza spiegare in che termini questi elementi dovessero considerarsi prevalenti rispetto ai rilievi negativi specificamente valorizzati dal giudice di primo grado.
Riguardo alla doglianza relativa alla misura eccessiva della pena, l’impugnazione ometteva di considerare che la determinazione sanzionatoria era stata operata in aderenza al minimo edittale per il delitto più grave, con un aumento contenuto per la continuazione, circostanza che rendeva manifestamente infondata la censura.
2.3 La Corte di appello di Bologna ha fatto corretta applicazione dei principi sopra richiamati, evidenziando con motivazione sufficientemente diffusa, precisa e diretta come l’appellante non avesse assolto all’onere di articolare censure parallelamente specifiche e puntualmente conducenti a una critica ancorata al percorso motivazionale seguito dal primo giudice.
Il giudice di primo grado, infatti aveva fatto espresso riferimento, quanto alla gravità della condotta, alla clientela diffusa (‘in fila ad attendere lo spacciatore’) e alla circostanza della immediata disponibilità di una quantità significativa di droga (portava con sé oltre un etto di eroina), suddivisa in numerose dosi da rivendere nell’immediatezza. Quanto al trattamento sanzionatorio e, in particolare, al diniego delle attenuanti generiche, veniva puntualmente illustrata la mancanza di elementi positivi, considerando l’insufficienza della incensuratezza, a fronte della pericolosità dimostrata, acuita dal dichiarato bisogno di ricorrere allo spaccio per ragioni economiche.
A fronte della richiamata argomentazione, l’atto di appello, lungi dal contenere quella critica specifica, mirata e necessariamente puntuale della decisione impugnata richiesta dalla normativa processuale e dall’orientamento giurisprudenziale consolidato, si limitava a riproporre in termini generici e assertivi questioni già dibattute in primo grado, senza alcun confronto con l’articolata motivazione del Tribunale.
Pertanto, la declaratoria di inammissibilità dell’appello da parte della Corte territoriale è pienamente conforme ai principi di diritto vigenti in materia di specificità delle impugnazioni.
Il ricorso per cassazione, a sua volta, non articola censure idonee a mettere in discussione la correttezza dell’interpretazione normativa operata dalla Corte di appello, limitandosi a riproporre in termini apodittici una concezione della specificità dei motivi di appello ormai superata dall’evoluzione legislativa e giurisprudenziale.
All ‘ inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a carico del medesimo, a norma dell ‘ art. 616 cod. proc. pen., l ‘ onere di versare la somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, somma così determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende
Così deciso il 10/06/2025