Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 19663 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 2 Num. 19663 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/04/2025
SECONDA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME
UP – 11/04/2025
R.G.N. 3396/2025
SANDRA RECCHIONE
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a TARANTO il 15/08/1955 COGNOME NOME nato a MARTINA FRANCA il 31/08/1961 avverso la sentenza del 22/10/2024 della CORTE APPELLO di LECCE SEZ.DIST. di TARANTO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità dei ricorsi.
udito il difensore presente, Avv. NOME COGNOME del foro di Taranto per il Catapano, che ha concluso riportandosi ai motivi del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 22/10/2024 la Corte d’Appello di Lecce – sezione distaccata di Taranto, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Taranto il 23/06/2023, di condanna di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME alla pena di anni tre di reclusione ed euro 3.000 di multa per il reato di tentata estorsione aggravata in concorso, ha assolto il COGNOME e il COGNOME perchØ il fatto non costituisce reato, ha dichiarato inammissibile l’appello proposto dal COGNOME e ha confermato la condanna del Catapano.
Con particolare riferimento alla posizione di NOME COGNOME la corte territoriale, in ossequio al principio del tempus regit actum – che, in mancanza di disciplina transitoria, determina l’applicazione del regime impugnatorio vigente al momento della pronuncia della sentenza – ha applicato l’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen. nella formulazione antecedente alla sua abrogazione ad opera della legge 9 agosto 2024, n. 114, ed ha conseguentemente dichiarato inammissibile l’appello proposto dall’imputato, rilevando che, unitamente all’atto di appello, non risultava essere stato depositato l’atto di dichiarazione o elezione di domicilio.
Avverso la sentenza di appello propongono ricorso per cassazione entrambi gli imputati a
mezzo dei rispettivi difensori di fiducia.
2.1. Nell’interesse di NOME COGNOME con un unico motivo si deduce l’inosservanza di legge processuale stabilita a pena di inammissibilità in relazione agli artt. 581, comma 1-ter e 164 cod. proc. pen., censurando l’omessa considerazione, da parte della corte di merito, del fatto che l’indicazione imposta dalla norma era evincibile dall’atto di appello, e che, in ogni caso, il domicilio dell’imputato risultava dal procedimento di primo grado.
Con riferimento al primo aspetto, pur riconoscendo che la nomina del difensore di fiducia contenuta nell’atto di appello fosse effettivamente sprovvista della dichiarazione e/o elezione di domicilio, la difesa valorizza l’epigrafe dell’atto, con la menzione del numero di fax e della pec per tutte le comunicazioni, comprese, quindi, le notifiche, con implicita elezione di domicilio dell’imputato presso il suo difensore.
In relazione al secondo aspetto, si rileva che il ricorrente era stato presente nel corso del giudizio di primo grado e che il luogo di residenza era agevolmente rilevabile dagli atti di causa, e, in particolare, dall’intestazione della sentenza del Tribunale.
2.2. Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME si articola in tre motivi, con i quali si eccepisce:
violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 110 cod. pen. e alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di tentata estorsione, sostenendosi che, dalle emergenze probatorie acquisite – e, in particolare, dalle dichiarazioni contraddittorie della persona offesa, dall’intercettazione ambientale del 7 novembre 2023 e dal rapporto preesistente tra la vittima e il ricorrente – emergerebbe l’atteggiamento neutro e disinteressato del Catapano rispetto all’intera vicenda, tale da escludere un contributo materiale alla realizzazione del fatto delittuoso e il dolo di partecipazione al fatto estorsivo;
violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla mancata riqualificazione del fatto nell’ipotesi delittuosa di cui all’art. 393 cod. pen., posto che, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte di appello sulla scorta delle dichiarazioni della persona offesa, la somma pretesa (euro 150.000) derivava da rapporti commerciali tra le parti, con conseguente diritto di azione per il recupero del credito;
violazione di legge e vizio di motivazione circa il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche di cui all’art. 62-bis, cod. pen., essendosi la Corte di merito limitata a considerare i precedenti penali dell’imputato, peraltro datati.
Con memoria del 20 marzo 2025 la difesa del COGNOME ha insistito nell’accoglimento del ricorso, precisando le ragioni dell’impugnazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Entrambi i ricorsi sono inammissibili, perchØ basati su motivi che reiterano censure proposte in appello e correttamente definite dalla corte territoriale, con argomentazioni con le quali i ricorrenti non si confrontano in termini critici.
In relazione alla posizione di NOME COGNOME occorre premettere all’esame del ricorso una breve considerazione in punto di successione di leggi processuali nel tempo, avendo il caso di specie ad oggetto una norma – l’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen. – che, nelle more del giudizio di appello, Ł stata abrogata ad opera dell’art. 2, comma 1, lett. o), legge 9 agosto 2024, n. 114, in vigore dal 25 agosto 2024.
La Corte di Appello di Lecce, conformandosi ai consolidati principi della giurisprudenza di legittimità – secondo cui, ai fini dell’individuazione del regime applicabile in materia di impugnazioni,
allorchØ si succedano nel tempo diverse discipline e manchi una disciplina transitoria, il principio del tempus regit actum impone di far riferimento alla data di proposizione dell’impugnazione, che costituisce il momento in cui matura l’aspettativa del soggetto alla valutazione di ammissibilità dell’impugnazione (Sez. 4, n. 7982 del 11/02/2021, COGNOME, Rv. 280599 – 01; Sez. 3, n. 843 del 15/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 277440 – 01; Sez. 2, n. 44678 del 16/10/2019, COGNOME, Rv. 278000 – 01) – ha correttamente ritenuto che, nel caso di specie, dovesse operare l’art. 581, comma 1-ter nella formulazione antecedente alla sua abrogazione, in considerazione del fatto che la novella del 2024 non ha previsto una disciplina transitoria.
Tale conclusione Ł stata confermata dalla giurisprudenza di legittimità nella sua piø autorevole composizione (Sez. U, n. 13808 del 24/10/2024, dep. 2025, COGNOME, in corso di massimazione), la quale ha stabilito che qualora la modifica normativa riguardi non già la facoltà di proporre l’impugnazione, ma – come nel caso di specie – le modalità stabilite per la presentazione dell’atto d’appello, la corretta applicazione del principio del tempus regit actum esclude che per determinare la disciplina applicabile possa aversi riguardo al momento decisorio, ossia al momento della pronuncia del provvedimento impugnando; al contrario, essendo l’atto d’impugnazione, considerato isolatamente e nel suo aspetto formale – e non, dunque, nella prospettiva del diritto di proporre l’impugnazione e della legge ad esso applicabile – un atto processuale ad effetti istantanei, il principio di cui all’art. 11 delle Preleggi impone di avere riguardo alla disciplina vigente al momento del suo compimento, ovvero della proposizione dell’atto di impugnazione, poichØ Ł in quel momento che si esauriscono, senza residui, tutti i suoi effetti.
Dall’applicazione di tali principi alla vicenda in esame consegue che, per individuare l’esatta disciplina applicabile, Ł necessario fare riferimento – come correttamente ha fatto la Corte di Appello – al momento in cui Ł stato proposto l’appello del COGNOME: risalendo quest’ultimo al 25/10/2023, deve applicarsi la normativa all’epoca vigente, anteriore alla legge n. 114/2024, e, dunque, l’art. 581, comma 1-ter cod. proc. pen. nella sua originaria formulazione.
2.1. Le Sezioni Unite hanno altresì affermato il principio di diritto secondo cui l’onere del deposito dell’elezione o della dichiarazione di domicilio, previsto, a pena di inammissibilità dell’atto d’impugnazione, dall’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen., può essere assolto anche con il richiamo espresso e specifico, in esso contenuto, ad una precedente dichiarazione o elezione di domicilio e alla sua collocazione nel fascicolo processuale, tale da consentire l’immediata e inequivoca individuazione del luogo in cui eseguire la notificazione.
Deve escludersi, tuttavia, che tale situazione sussista nel caso in esame.
Se Ł vero, infatti, che la vicenda ricade nell’ambito di applicazione dell’art. 581, comma 1-ter cod. proc. pen. – non essendovi alcun dubbio in ordine al fatto che il processo non Ł stato celebrato in absentia, tanto che l’imputato ha, nel corso dell’istruttoria dibattimentale in primo grado, addirittura reso delle dichiarazioni spontanee – e che, dunque, Ł sufficiente che la dichiarazione o elezione di domicilio sia stata effettuata nel corso del procedimento di primo grado, non dovendo necessariamente essere fatta dopo la sentenza impugnata (come si richiede, invece, nell’ipotesi di cui al comma 1-quater della medesima disposizione), si pone il problema di stabilire se la frase riportata nell’intestazione dell’atto di appello del COGNOME, contenente il n. fax e la p.e.c. del difensore e l’indicazione per cui le notifiche avrebbero potuto essere effettuate a tali indirizzi, costituisca una dichiarazione o elezione di domicilio, ovvero sia comunque sufficiente ad integrare un «richiamo espresso e specifico ad una precedente dichiarazione o elezione di domicilio e alla sua collocazione nel fascicolo processuale», come richiesto dalla pronuncia delle Sezioni Unite.
La risposta a tale quesito Ł, all’evidenza, negativa.
La mera indicazione di un numero di fax e di un indirizzo di posta elettronica certificata, pur accompagnata dalla precisazione per cui agli stessi possono effettuarsi tutte le comunicazioni,
comprese le notifiche, non Ł idonea a costituire nØ una dichiarazione di domicilio – che consiste in una manifestazione di scienza intesa ad indicare uno specifico luogo, che può essere solo la casa di abitazione o la sede di lavoro dell’imputato, in cui gli atti debbono essere notificati – nØ tantomeno una elezione di domicilio, la quale corrisponde ad una manifestazione recettizia di volontà in cui dev’essere specificato non solo il luogo, ma anche, necessariamente, la persona (c.d. ‘domiciliatario’) presso la quale va eseguita la notificazione, e perciò richiede l’esistenza di un rapporto fiduciario tra l’imputato ed il domiciliatario medesimo (Sez. 5, n. 8825 del 20/06/1997, Pollari, Rv. 208612 – 01; Sez. 3, n. 10309 del 29/10/1996, COGNOME, Rv. 206725 – 01).
D’altronde, non Ł condivisibile l’affermazione difensiva circa la superfluità dell’inserimento, all’interno dell’atto di appello, di una ulteriore dichiarazione o elezione di domicilio, sul presupposto che già la sentenza di primo grado conteneva, nell’intestazione, l’espressa indicazione dell’indirizzo di residenza dell’imputato, costituendo quest’ultimo un mero dato anagrafico che non può considerarsi corrispondente ad una vera e propria dichiarazione di domicilio.
Si consideri anche che le Sezioni Unite, pur avendo affermato la sufficienza di un mero richiamo ad una dichiarazione o elezione di domicilio precedente, hanno tuttavia precisato che tale richiamo dev’essere chiaro, specifico, inequivoco e tale da permettere, senza difficoltà o necessità di indagini, di individuarle con immediatezza nel fascicolo processuale, sì da consentire la rapida e certa notificazione del decreto di citazione per il giudizio di appello e da assicurare la salvaguardia delle esigenze di celerità e certezza sottese alla previsione di cui all’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen. (in tal senso, tra le altre, Sez. 3, n. 34328 del 04/06/2024, C., non massimata). Dunque, considerando che nell’atto di appello del COGNOME non solo manca una materiale allegazione di una dichiarazione o elezione di domicilio, ma non Ł neppure riscontrabile alcun richiamo all’indirizzo di residenza indicato nella sentenza di primo grado, che pertanto non risulta nØ immediatamente percepibile nØ inequivocabilmente individuabile, non può ritenersi in alcun modo soddisfatto l’onere di allegazione posto a carico dell’imputato che, presente nel giudizio di primo grado, abbia proposto appello.
3. I primi due motivi del ricorso di NOME COGNOME oltre a costituire reiterazione di censure già dedotte in grado di appello e adeguatamente disattese dalla corte di merito, la cui motivazione si sottrae ai denunciati rilievi di illogicità e contraddittorietà, si risolvono in una richiesta di rivalutazione del giudizio di attendibilità delle fonti di prova, e, in particolare, delle dichiarazioni della persona offesa NOME COGNOME che la Corte di appello, aderendo alla prospettazione del Tribunale, ha giudicato lineari, logiche, circostanziate e costanti nel tempo, oltre che sorrette dalla convergenza degli elementi istruttori, e, perciò, pienamente attendibili; peraltro – come posto in rilievo dalla corte territoriale – la ricostruzione della vicenda compiuta dal giudice di prime cure sulla base della deposizione della persona offesa non Ł stata specificamente contestata da alcuno degli imputati.
Pertanto, in applicazione del consolidato principio secondo cui le dichiarazioni della persona offesa – cui non si applicano le regole dettate dall’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. – possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, piø penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone e corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto (ex multis Sez. 2, n. 43278 del 24/09/2015, Rv. 265104 – 01), la corte territoriale ha ritenuto provato il concorso del COGNOME nella condotta di estorsione contestata, tanto sotto il profilo materiale quanto sotto quello soggettivo: sul piano materiale, si sottolinea come il ricorrente, pur avendo appreso che la persona offesa, da lui conosciuta, aveva saldato integralmente il proprio debito nei confronti del coimputato COGNOME, le avesse comunque imposto un nuovo ed immediato incontro con altri soggetti al fine di risolvere la
questione, incontro durante il quale, peraltro, lo stesso COGNOME era rimasto in silenzio a fronte della richiesta di 150.000 euro, minacciosamente avanzata dal COGNOME al COGNOME, così rendendo evidente che la sua partecipazione alla vicenda non fosse neutra nØ tanto meno funzionale a tutelare l’interesse della persona offesa; sul versante dell’elemento soggettivo, invece, i giudici di merito hanno adeguatamente rilevato che, dati i pregressi rapporti con la vittima e la caratura criminale del ricorrente, la condotta da lui tenuta Ł stata in grado di sorreggere e rafforzare l’illegittima pretesa del COGNOME, al fine di assicurare a quest’ultimo il conseguimento di un profitto che, in base a quanto la persona offesa aveva riferito al COGNOME, non poteva che risultare indebito e ingiusto.
3.1. La ritenuta attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa incide anche sulla definizione del secondo motivo di ricorso. Invero, riconosciuta la credibilità del narrato del Russo e accertato, dunque, che la pretesa vantata dal COGNOME nei suoi confronti ammontava ad euro 150.000 – somma svincolata causalmente dal rapporto contrattuale intercorrente tra le parti, e, comunque, notevolmente superiore a quella di euro 89.400, risultante dalle cambiali e da tutti gli assegni emessi dai familiari della persona offesa – correttamente la Corte di appello ha escluso che la condotta posta in essere dagli imputati potesse integrare la fattispecie di cui all’art. 393 cod. pen. Ciò in quanto, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità nella sua piø autorevole composizione (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027 – 02), ai fini dell’applicazione di tale piø tenue ipotesi delittuosa, Ł necessario che la pretesa arbitrariamente attuata dall’agente corrisponda esattamente all’oggetto della tutela apprestata in concreto dall’ordinamento giuridico, e che non risulti in qualsiasi modo piø ampia, atteso che ciò che caratterizza il reato Ł la sostituzione dello strumento di tutela pubblico con quello privato, operata dall’agente al fine di esercitare un diritto, con la coscienza che l’oggetto della pretesa gli possa competere giuridicamente (in senso conforme anche Sez. 6, n. 47672 del 04/10/2023, Rv. 285883 – 03).
Alla luce di tali principi, Ł corretto il ragionamento dei giudici di merito, in base al quale il difetto di corrispondenza tra l’oggetto della tutela ottenibile dinanzi all’autorità giudiziaria e la pretesa arbitrariamente avanzata dall’imputato esclude la ricorrenza della fattispecie di cui all’art. 393 cod. pen., integrando piuttosto – ove realizzata, come nel caso di specie, con violenza o minaccia – il piø grave delitto di estorsione.
3.2. Quanto, infine, alla doglianza relativa al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, la stessa omette di confrontarsi criticamente con le congrue ed esaustive argomentazioni contenute nella sentenza impugnata, risultando dunque priva della specificità necessaria ex artt. 581, comma 1 e 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.
La Corte territoriale ha valorizzato una pluralità di elementi – il fatto che l’imputato Ł soggetto pluripregiudicato, già condannato per numerosi e gravi reati; la circostanza che lo stesso sia tornato a delinquere anche dopo periodi di restrizione personale, mostrando noncuranza e insensibilità verso divieti di ogni genere; la gravità della condotta accertata, alla cui realizzazione il ricorrente ha offerto un contributo significativo – del tutto idonei ad escludere la possibilità di concedere l’attenuazione sanzionatoria richiesta.
Alla dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed al versamento a favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma ritenuta equa di € 3.000,00 a titolo di sanzione pecuniaria.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 11/04/2025.
Il Presidente NOME COGNOME