Appello Patteggiamento: I Limiti del Ricorso per Erronea Qualificazione del Fatto
L’istituto dell’applicazione della pena su richiesta delle parti, comunemente noto come ‘patteggiamento’, rappresenta una delle principali vie per la definizione accelerata del processo penale. Tuttavia, le sentenze emesse in seguito a patteggiamento non sono facilmente impugnabili. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sui rigidi confini dell’appello patteggiamento, chiarendo quando un ricorso basato sull’erronea qualificazione giuridica del fatto debba essere dichiarato inammissibile.
Il Caso in Esame: Dal Patteggiamento al Ricorso in Cassazione
Due imputate avevano definito la loro posizione processuale attraverso un patteggiamento davanti al Tribunale di Roma. Alle due donne era stata applicata una pena di sei mesi di reclusione e trecento euro di multa per il reato di tentato furto aggravato. Nonostante l’accordo raggiunto con la Procura, le imputate decidevano di presentare ricorso per Cassazione contro tale sentenza, sostenendo che il giudice di merito avesse commesso un errore nella qualificazione giuridica del fatto e che mancassero gli elementi oggettivi e soggettivi del reato contestato.
I motivi del ricorso e l’appello patteggiamento
I motivi del ricorso si concentravano sulla presunta erronea qualificazione giuridica dei fatti, un vizio che, secondo l’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, può legittimare un appello patteggiamento. Le ricorrenti, in sostanza, contestavano l’inquadramento del loro comportamento nella fattispecie del tentato furto aggravato, ritenendolo scorretto. Tuttavia, la loro argomentazione si configurava, secondo la Suprema Corte, più come una richiesta di rivalutazione del merito della vicenda che come la denuncia di un palese errore di diritto.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato i ricorsi inammissibili. La decisione si fonda su un’interpretazione rigorosa dei limiti all’impugnazione delle sentenze di patteggiamento. I Giudici hanno stabilito che le censure proposte dalle ricorrenti erano astratte e non evidenziavano un errore giuridico manifesto, risolvendosi piuttosto nella prospettazione di censure non consentite in quella sede. Di conseguenza, le ricorrenti sono state condannate al pagamento delle spese processuali e di una somma di quattromila euro in favore della Cassa delle ammende.
Le motivazioni
La Corte ha ribadito un principio consolidato in giurisprudenza, già codificato con la riforma del 2017: il ricorso per cassazione contro una sentenza di patteggiamento per erronea qualificazione giuridica è consentito solo in casi limitati e specifici. Il vizio denunciato deve consistere in un errore manifesto, cioè un errore che emerge palesemente dalla lettura della sentenza, senza la necessità di compiere complesse analisi o di riesaminare gli atti processuali.
Nel caso specifico, le argomentazioni delle ricorrenti non denunciavano un errore di diritto evidente, ma miravano a una riconsiderazione delle circostanze fattuali e a una diversa valutazione delle prove. Questo tipo di attività, però, è precluso nel giudizio di legittimità, specialmente avverso una sentenza che si fonda su un accordo tra le parti. La Cassazione ha specificato che l’appello patteggiamento non può trasformarsi in un’occasione per rimettere in discussione l’intera vicenda processuale. Consentirlo significherebbe snaturare la funzione deflattiva e acceleratoria del patteggiamento stesso. Il ricorso è stato quindi giudicato come un tentativo di introdurre motivi di censura non ammessi dalla legge, portando a una declaratoria di inammissibilità ‘senza formalità’, come previsto dall’art. 610, comma 5-bis, c.p.p.
Le conclusioni
Questa ordinanza conferma la linea dura della giurisprudenza sui limiti dell’impugnazione del patteggiamento. Le conclusioni pratiche sono chiare:
1. Eccezionalità del Ricorso: L’impugnazione di una sentenza di patteggiamento è un rimedio eccezionale, non una regola.
2. Errore Manifesto: Per denunciare un’erronea qualificazione giuridica, non basta un’opinione diversa sull’inquadramento del fatto. È necessario che l’errore del giudice sia palese, macroscopico e rilevabile ‘ictu oculi’ dal provvedimento stesso.
3. Nessuna Rivalutazione del Fatto: La Cassazione non può essere adita per ottenere una nuova valutazione delle prove o delle circostanze di fatto che hanno portato all’accordo tra le parti.
La decisione serve a preservare l’integrità e l’efficienza del patteggiamento, evitando che venga utilizzato strumentalmente come un’ulteriore istanza di giudizio di merito. Chi accetta di patteggiare deve essere consapevole che la possibilità di contestare successivamente la sentenza è estremamente ridotta e circoscritta a vizi di legittimità evidenti e non a semplici ripensamenti.
È sempre possibile fare appello contro una sentenza di patteggiamento?
No, il ricorso per cassazione (l’unica impugnazione ammessa) è consentito solo per i motivi tassativamente elencati dalla legge, tra cui l’erronea qualificazione giuridica del fatto, ma con limiti molto stringenti.
Cosa si intende per ‘errore manifesto’ nella qualificazione giuridica del fatto?
Si intende un errore di diritto palese ed evidente dalla semplice lettura della sentenza e del capo di imputazione, che non richiede una nuova analisi delle prove o una riconsiderazione delle circostanze fattuali.
Qual è la conseguenza se un ricorso contro un patteggiamento viene presentato per motivi non consentiti?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. Ciò comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, come sanzione per aver adito la Corte con un’impugnazione infondata.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 34556 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 34556 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/09/2025
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a ROMA il DATA_NASCITA NOME nato a GENOVA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 10/02/2025 del TRIBUNALE di ROMA udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE ricorrono avverso la sentenza del Tribunale di Roma che, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., applicava alle imputate la pena di mesi sei di reclusione ed euro trecento di multa in ordine al delitto di tentato furto aggravato;
Il primo ed il secondo motivo di ricorso, con cui si denunzia l’erronea qualificazione giuridica e l’insussistenza degli elementi oggetti e soggettivi del reato contestato, sono inammissibili, non configurandosi, se non in termini astratti e meramente evocativi del vizio, la condizione della erronea qualificazione giuridica del fatto come delitto previsto dagli artt. 110-56-624-625 nn. 4 e 8-bis cod. pen., che legittima la proposizione del ricorso per cassazione prevista dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen.: ne consegue che la declaratoria di inammissibilità dell’odierna impugnazione va pronunciata “senza formalità” ai sensi dell’art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen. risolvendosi il ricorso nella prospettazione di censure non consentite.
La disposizione di cui all’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., che elenca espressamente gli unici casi nei quali è previsto il ricorso per cassazione avverso la decisione di applicazione della pena, consente alle parti di dedurre l’erronea qualificazione del fatto contenuto in sentenza, da condursi alla stregua del capo di imputazione, della succinta motivazione della sentenza e dei motivi dedotti nel ricorso, e che tuttavia deve ritenersi limitata, come già la consolidata giurisprudenza aveva stabilito al riguardo (avendo la novella del 2017 soltanto codificato gli approdi giurisprudenziali sul tema), ai soli casi di errore manifesto, con conseguente inammissibilità della denuncia di errori valutativi in diritto che non risultino evident dal testo del provvedimento impugnato (Sez. 1, n. 15553 del 20/03/2018, Maugeri, Rv. 272619).
Nel caso in esame la stessa struttura del ricorso si risolve, al di là dell’enunciazione dell’erronea qualificazione giuridica del fatto, nella denuncia di errori valutativi e dell omessa considerazione di circostanze fattuali desumibili dagli atti processuali.
I ricorsi, pertanto, devono essere dichiarati inammissibili, con condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro quattromila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro quattromila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 10 settembre 2025.