Appello Patteggiamento: Limiti e Inammissibilità secondo la Cassazione
L’istituto del patteggiamento, disciplinato dall’art. 444 del codice di procedura penale, rappresenta una delle vie più comuni per la definizione accelerata dei procedimenti penali. Tuttavia, le sentenze emesse a seguito di accordo tra le parti hanno dei limiti di impugnabilità molto stringenti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i confini entro cui è possibile contestare una condanna patteggiata, focalizzandosi in particolare sull’errata qualificazione giuridica del fatto e sul concetto di appello patteggiamento.
I Fatti del Caso: La Condanna del Tesoriere
Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un individuo, tesoriere di un organismo congressuale forense, che aveva concordato con la Procura l’applicazione di una pena ai sensi dell’art. 444 c.p.p. per il reato di peculato (art. 314 c.p.). La sentenza di primo grado, emessa dal Giudice per le indagini preliminari, aveva quindi ratificato l’accordo, applicando la pena concordata.
Nonostante l’accordo raggiunto, l’imputato, tramite il suo difensore, decideva di presentare ricorso in Cassazione, contestando un elemento fondamentale della condanna: la sua qualifica di “pubblico ufficiale”. Secondo la difesa, tale qualifica era stata erroneamente attribuita, minando alla base la configurabilità stessa del reato di peculato.
Il Ricorso e i Limiti dell’Appello Patteggiamento
La difesa ha basato il ricorso su una presunta violazione di legge e un vizio di motivazione, sostenendo che la qualifica giuridica del fatto fosse errata. L’argomento centrale era che la posizione di tesoriere dell’Organismo Congressuale Forense non implicasse l’esercizio di una pubblica funzione, requisito indispensabile per essere considerato un pubblico ufficiale ai sensi della legge penale.
Tuttavia, la possibilità di un appello patteggiamento è severamente limitata dall’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma stabilisce che la sentenza di patteggiamento può essere impugnata solo per motivi specifici, tra cui l’errata qualificazione giuridica del fatto, ma a una condizione molto precisa: la violazione di legge deve emergere con palese evidenza dal testo della sentenza stessa o dalla contestazione.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno chiarito che un’impugnazione basata sull’erronea qualificazione giuridica del fatto è ammissibile solo quando l’errore è manifesto, cioè immediatamente percepibile dalla semplice lettura della contestazione e della motivazione della sentenza, senza la necessità di ulteriori indagini o complesse interpretazioni.
Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che la presunta erroneità della qualifica di pubblico ufficiale non fosse di così palese evidenza. Né dal capo di imputazione né dalla motivazione della sentenza impugnata emergeva in modo manifesto che tale qualifica fosse stata attribuita in violazione di legge. Di conseguenza, il motivo di ricorso si configurava come un tentativo di rimettere in discussione una valutazione di merito che, con la scelta del patteggiamento, l’imputato aveva accettato di non contestare.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche
La decisione riafferma un principio consolidato: chi sceglie la via del patteggiamento rinuncia a contestare nel merito l’accusa e accetta una definizione rapida del processo in cambio di uno sconto di pena. Le possibilità di impugnazione sono ridotte a vizi procedurali o a errori di diritto di macroscopica evidenza. La sentenza sottolinea che non è possibile utilizzare il ricorso contro il patteggiamento per sollevare questioni complesse sulla qualificazione giuridica che avrebbero dovuto essere discusse nel corso di un dibattimento. L’inammissibilità del ricorso ha comportato, inoltre, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, a sanzione dell’uso improprio dello strumento di impugnazione.
È sempre possibile fare appello contro una sentenza di patteggiamento?
No. L’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale stabilisce che l’impugnazione (ricorso per Cassazione) è possibile solo per motivi tassativamente previsti, come l’errata qualificazione giuridica del fatto, ma solo a condizione che l’errore sia palese e immediatamente riscontrabile dagli atti.
Perché il ricorso basato sull’errata qualifica di ‘pubblico ufficiale’ è stato respinto?
È stato dichiarato inammissibile perché, secondo la Corte, la presunta erroneità della qualifica non emergeva in modo manifesto né dal capo di imputazione né dalla motivazione della sentenza. La legge richiede un’evidenza palese dell’errore per poter impugnare una sentenza di patteggiamento su questo punto.
Quali sono state le conseguenze per il ricorrente dopo la dichiarazione di inammissibilità?
Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende, come sanzione per aver proposto un ricorso ritenuto non consentito dalla legge.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 5033 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 6 Num. 5033 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Genova il 04/11/1950
avverso la sentenza del 24/10/2024 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Genova visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Genova ha applicato nei confronti di NOME COGNOME la pena concordata ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. per il reato di cui all’art. 314 cod. pen.
Ha proposto ricorso COGNOME tramite il suo difensore, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla corretta qualificazione giuridica del fatto e segnatamente alla qualifica di pubblico ufficiale in capo al tesori dell’Organismo Congressuale Forense.
Il ricorso va de plano dichiarato inammissibile, perché si fonda su motivo che deve ritenersi non consentito, agli effetti dell’art. 448, comma 2-bis cod. proc. pen.
La deduzione incentrata sull’erronea qualificazione del fatto, agli effetti dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. proc. pen., può dirsi ammissibile solo alla condizione che la violazione emerga con evidenza sulla base della stessa contestazione, in rapporto al fatto rappresentato. Sicché deve ritenersi preclusa l’impugnazione che denunci una violazione di legge non immediatamente evincibile dal tenore dei capi di imputazione e dalla motivazione della sentenza (sul punto, tra tante, Sez. 4, n. 13749 del 23/03/2022, Rv. 283023).
Nella specie, tale violazione non emerge in modo manifesto né dalla imputazione né dalla motivazione della sentenza impugnata.
All’inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, a fronte dei profili di colpa sottesi alla causa di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 15/0 GLYPH 025.