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Appello patteggiamento: limiti e motivi di ricorso

Un soggetto, condannato con patteggiamento per un reato, ha proposto ricorso in Cassazione chiedendo una riqualificazione del fatto. La Corte ha dichiarato l’appello patteggiamento inammissibile, specificando che il motivo sollevato non rientrava tra quelli tassativamente previsti dalla legge (art. 448, comma 2-bis, c.p.p.), condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione.

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Pubblicato il 1 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Appello Patteggiamento: La Cassazione e i Motivi di Ricorso Consentiti

L’istituto del patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, rappresenta una delle vie più comuni per la definizione dei procedimenti penali. Tuttavia, la scelta di questo rito speciale comporta significative limitazioni al diritto di impugnazione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sui confini invalicabili dell’appello patteggiamento, chiarendo quali motivi di ricorso sono ammessi e quali, invece, conducono a una declaratoria di inammissibilità.

I Fatti del Caso: Dal Patteggiamento al Ricorso

Il caso in esame ha origine da una sentenza del Giudice dell’Udienza Preliminare (G.U.P.) del Tribunale di Pavia. Con questa pronuncia, emessa a seguito di accordo tra le parti ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale, un imputato veniva condannato a una pena di due anni e quattro mesi di reclusione, oltre a 10.000,00 euro di multa, per un reato legato agli stupefacenti.

Nonostante l’accordo raggiunto, la difesa dell’imputato decideva di presentare ricorso per Cassazione. Il motivo del contendere era unico e specifico: la violazione di legge per la mancata riqualificazione del reato in un’ipotesi meno grave, prevista dal comma 5 dell’art. 73 del D.P.R. 309/1990, comunemente nota come “fatto di lieve entità”.

L’Appello Patteggiamento e la Decisione della Cassazione

La Suprema Corte ha esaminato il ricorso e lo ha dichiarato inammissibile. La decisione si fonda su un’interpretazione rigorosa dell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma, introdotta con la riforma del 2017, elenca in modo tassativo i motivi per cui è possibile impugnare una sentenza di patteggiamento.

I giudici hanno stabilito che la censura sollevata dalla difesa non rientrava in nessuna delle categorie consentite dalla legge. Di conseguenza, il ricorso è stato respinto “senza formalità”, come previsto per i casi di manifesta inammissibilità, e il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma a favore della Cassa delle ammende.

Le Motivazioni: I Limiti al Ricorso Contro la Sentenza di Patteggiamento

Il cuore della decisione risiede nell’analisi dei limiti posti all’appello patteggiamento. L’articolo 448, comma 2-bis, c.p.p. stabilisce che il ricorso è ammesso solo per motivi attinenti a:

1. L’espressione della volontà dell’imputato (ad esempio, se il consenso al patteggiamento è stato viziato).
2. Il difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza.
3. L’erronea qualificazione giuridica del fatto.
4. L’illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.

Sebbene il ricorrente avesse invocato una “erronea qualificazione giuridica”, la Corte ha ritenuto che il motivo, così come formulato, non rientrasse in tale categoria. La ragione è che, con il patteggiamento, l’imputato accetta non solo la pena, ma anche la qualificazione giuridica del fatto proposta dall’accusa e cristallizzata nell’accordo. Contestare tale qualificazione in sede di legittimità, chiedendone una diversa e più favorevole, equivale a rimettere in discussione il merito stesso dell’accordo, operazione non consentita dopo aver scelto questo rito speciale. Il ricorso è possibile solo se l’errore di qualificazione è palese e rilevabile ictu oculi, o se la pena applicata per quel reato è illegale, cosa che non è stata ravvisata nel caso di specie. Pertanto, la doglianza è stata classificata come “motivo non consentito”.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale: la scelta del patteggiamento è una decisione strategica che implica una rinuncia a far valere determinate eccezioni nel merito. L’impugnazione della sentenza che ne deriva è un rimedio eccezionale, limitato a vizi procedurali gravi o a palesi illegalità. Non può trasformarsi in un’occasione per rinegoziare i termini di un accordo già raggiunto e ratificato dal giudice. Per gli operatori del diritto, questa pronuncia è un monito a ponderare attentamente tutti gli aspetti dell’accordo prima di procedere con la richiesta di patteggiamento, essendo le successive vie di ricorso estremamente circoscritte. Per l’imputato, la conseguenza di un ricorso infondato non è solo la conferma della condanna, ma anche l’aggiunta di ulteriori oneri economici.

È sempre possibile fare appello contro una sentenza di patteggiamento?
No, non è sempre possibile. L’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale limita i motivi di ricorso a casi specifici, come vizi nella volontà dell’imputato, errore nella qualificazione giuridica del fatto o illegalità della pena.

Perché il ricorso in questo caso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché il motivo presentato dall’imputato, relativo alla mancata riqualificazione del reato, non è stato ritenuto rientrare tra le censure consentite dalla legge per l’impugnazione di una sentenza di patteggiamento, come specificato dalla Corte.

Quali sono le conseguenze di un ricorso dichiarato inammissibile?
La declaratoria di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata in 4.000,00 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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