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Appello patteggiamento: i motivi di inammissibilità

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile un ricorso contro una sentenza di patteggiamento, confermando la confisca di una somma di denaro. Il motivo risiede nel fatto che le censure sollevate non rientravano tra i motivi specifici previsti per l’appello patteggiamento dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p., come la sproporzione della somma rispetto ai redditi leciti.

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Pubblicato il 27 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Appello Patteggiamento: Quando il Ricorso è Inammissibile?

L’appello patteggiamento rappresenta una delle questioni più tecniche della procedura penale. Sebbene il patteggiamento sia un accordo tra imputato e Pubblico Ministero, la sentenza che ne deriva non è inappellabile in modo assoluto. Tuttavia, i motivi di ricorso sono strettamente limitati dalla legge. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 23096/2024) ci offre un chiaro esempio pratico dei confini entro cui è possibile muoversi, affrontando anche il tema della confisca di somme di denaro.

Il Caso in Esame: Ricorso contro Sentenza e Confisca

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza di patteggiamento emessa dal Tribunale di Rimini. L’imputato sollevava due principali motivi di doglianza. Il primo riguardava censure generiche che, come vedremo, esulavano dai limiti imposti dalla normativa. Il secondo, invece, contestava specificamente la confisca di una somma di denaro, ritenuta infondata.

Il ricorrente, un cittadino straniero, si era visto sequestrare e poi confiscare una somma di denaro. La difesa sosteneva l’illegittimità di tale misura, ma la Corte di Cassazione ha rigettato completamente le argomentazioni, confermando la decisione del tribunale di merito.

Limiti all’Appello Patteggiamento: Cosa Dice la Legge

L’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale è il pilastro normativo che regola l’impugnazione delle sentenze di patteggiamento. La norma stabilisce che il ricorso è consentito esclusivamente per motivi specifici e tassativi, quali:

* Espressione della volontà dell’imputato: vizi relativi alla formazione o manifestazione del consenso all’accordo.
* Difetto di correlazione tra richiesta e sentenza: quando il giudice si pronuncia su qualcosa di diverso da quanto concordato.
* Erronea qualificazione giuridica del fatto: se il reato è stato inquadrato in una fattispecie errata.
* Illegalità della pena o della misura di sicurezza: se la sanzione applicata è contraria alla legge.

Qualsiasi motivo di ricorso che non rientri in questo elenco è, per definizione, inammissibile.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte, con la sua ordinanza, ha analizzato entrambi i motivi del ricorso, giungendo a una declaratoria di inammissibilità.

L’Inammissibilità del Primo Motivo di Ricorso

Il primo motivo è stato liquidato rapidamente come ‘indeducibile’. Le censure sollevate dal ricorrente non rientravano in nessuna delle categorie previste dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. Questo conferma il rigido orientamento giurisprudenziale secondo cui non è possibile utilizzare l’impugnazione del patteggiamento per rimettere in discussione l’intero merito della vicenda processuale, ma solo per contestare i vizi specificamente elencati dalla norma.

La Legittimità della Confisca della Somma di Denaro

Il secondo motivo, relativo alla confisca, è stato giudicato ‘manifestamente infondato’. La Corte ha evidenziato come la sentenza del Tribunale avesse argomentato in modo completo e logico. La decisione di confiscare il denaro si basava sulla chiara sproporzione tra la somma sequestrata e le condizioni economiche e patrimoniali dell’imputato. Quest’ultimo, infatti, risultava essere un cittadino straniero privo di qualsiasi fonte lecita di reddito dimostrabile. Tale sproporzione è un elemento chiave che giustifica la misura di sicurezza patrimoniale della confisca, presumendo che i beni siano il frutto di attività illecite.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Decisione

La decisione della Cassazione ribadisce due principi fondamentali. In primo luogo, l’appello patteggiamento è uno strumento con limiti ben definiti e non può essere utilizzato come un’impugnazione di merito. Chi accede a questo rito deve essere consapevole che le possibilità di contestare la sentenza sono circoscritte a vizi procedurali e di legalità ben precisi. In secondo luogo, la confisca di beni o denaro è legittima quando vi è una manifesta sproporzione rispetto ai redditi leciti del soggetto, specialmente in assenza di prove che ne giustifichino la provenienza. La condanna finale del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di 3.000 euro a favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 c.p.p. in caso di inammissibilità, serve da monito sull’importanza di presentare ricorsi fondati su motivi legalmente ammessi.

Quali sono gli unici motivi per cui si può impugnare una sentenza di patteggiamento?
Secondo l’art. 448, comma 2-bis, c.p.p., si può impugnare solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza.

Perché la Corte ha ritenuto legittima la confisca della somma di denaro?
La confisca è stata ritenuta legittima perché la somma sequestrata era palesemente sproporzionata rispetto alle condizioni economiche e patrimoniali dell’imputato, il quale era privo di qualsiasi fonte di reddito lecita dimostrabile.

Cosa succede quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato, come previsto dall’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento e di una somma di denaro a titolo di sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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