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Appello patteggiamento: i limiti del ricorso

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso contro una sentenza di patteggiamento. Il motivo del ricorso, relativo alla motivazione sull’aumento di pena per la continuazione tra reati, non rientra tra i casi tassativamente previsti dalla legge per l’appello patteggiamento. La decisione sottolinea la natura limitata dell’impugnazione per le sentenze emesse su richiesta delle parti, consolidando un orientamento giurisprudenziale rigoroso.

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Pubblicato il 10 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Appello Patteggiamento: Quando è Ammesso il Ricorso? L’Analisi della Cassazione

L’appello patteggiamento rappresenta una delle questioni più tecniche e dibattute della procedura penale. Sebbene il patteggiamento sia un accordo tra accusa e difesa, la sentenza che ne deriva non è immune da impugnazioni, ma i motivi per ricorrere sono estremamente limitati. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 13477/2024) torna sul tema, chiarendo ancora una volta i confini invalicabili posti dal legislatore.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine da una sentenza di patteggiamento emessa dal GUP del Tribunale di Trieste. All’imputato era stata applicata una pena concordata per due distinti episodi di furto aggravato, unificati dal vincolo della continuazione. Il difensore dell’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, non per contestare la colpevolezza o la qualificazione del reato, ma specificamente per lamentare una violazione di legge e un vizio di motivazione riguardo alla determinazione dell’aumento di pena applicato per il secondo reato, quello in continuazione.

In sostanza, la difesa riteneva che il giudice non avesse adeguatamente giustificato la misura dell’aumento di pena, un elemento che, sebbene concordato tra le parti, deve comunque essere vagliato dal magistrato.

La Decisione della Corte: i Limiti dell’Appello Patteggiamento

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su un’interpretazione rigorosa dell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma, introdotta con la riforma Orlando del 2017, stabilisce un elenco tassativo di motivi per i quali è possibile impugnare una sentenza di patteggiamento.

I motivi ammessi sono:
1. Mancata espressione del consenso da parte dell’imputato.
2. Difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza.
3. Errata qualificazione giuridica del fatto.
4. Illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.

La Corte ha evidenziato come la censura mossa dal ricorrente, relativa alla motivazione sull’aumento di pena per la continuazione, non rientri in nessuna di queste categorie. Di conseguenza, il ricorso è stato giudicato inammissibile a priori, senza nemmeno entrare nel merito della questione sollevata.

Le Motivazioni della Sentenza

Le motivazioni dell’ordinanza sono lapidarie e si concentrano sulla natura della censura proposta. I giudici hanno chiarito che contestare il modo in cui il giudice di merito ha motivato la quantificazione dell’aumento di pena non equivale a denunciare un'”illegalità della pena”. Una pena è illegale quando non è prevista dall’ordinamento per quel tipo di reato o quando la sua quantificazione viola i limiti minimi o massimi stabiliti dalla legge. Al contrario, una critica sulla congruità o sulla giustificazione di un aumento di pena, pur rientrando nei limiti legali, attiene al merito della valutazione del giudice, un ambito precluso all’impugnazione nel rito del patteggiamento.

La Corte ha ribadito che la scelta di accedere al patteggiamento comporta una rinuncia a far valere determinate doglianze, limitando il successivo controllo di legittimità ai soli vizi macroscopici ed espressamente previsti dalla norma. La volontà del legislatore è chiara: deflazionare il carico giudiziario e conferire stabilità alle sentenze concordate, permettendone la messa in discussione solo per errori di particolare gravità.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa pronuncia consolida un principio fondamentale per chiunque si approcci al rito del patteggiamento. La scelta di questo procedimento speciale offre indubbi vantaggi, come lo sconto di pena, ma implica anche significative limitazioni sul piano delle impugnazioni. È cruciale che l’imputato e il suo difensore siano pienamente consapevoli che, una volta raggiunto l’accordo e ottenuta la ratifica del giudice, le possibilità di contestare la sentenza diventano estremamente ristrette. Questioni relative alla valutazione della congruità della pena o alla sufficienza della motivazione sono, di regola, escluse dal perimetro dell’appello patteggiamento. La sentenza potrà essere impugnata solo per vizi strutturali e gravi, come quelli elencati nell’art. 448, comma 2-bis, c.p.p., lasciando poco spazio a contestazioni di natura discrezionale.

È possibile impugnare una sentenza di patteggiamento per contestare come il giudice ha motivato l’aumento di pena per la continuazione?
No, secondo l’ordinanza in esame, questo motivo non rientra nell’elenco tassativo dei vizi per i quali è ammesso il ricorso contro una sentenza di patteggiamento, come stabilito dall’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale.

Quali sono i motivi validi per ricorrere in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento?
I motivi ammessi sono esclusivamente: l’errata espressione della volontà dell’imputato, il difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, l’erronea qualificazione giuridica del fatto e l’illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.

Cosa accade se un ricorso contro una sentenza di patteggiamento è basato su motivi non consentiti dalla legge?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. Ciò comporta che la Corte non esamina il merito della questione e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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