Appello Patteggiamento: Quando è Ammesso e Quando No
L’appello patteggiamento rappresenta un’area del diritto processuale penale dai confini ben definiti. Sebbene il patteggiamento sia uno strumento per una risoluzione più rapida del processo, non preclude del tutto la possibilità di impugnare la sentenza. Tuttavia, le ragioni per cui si può ricorrere sono strettamente limitate dalla legge. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce ulteriormente questi limiti, dichiarando inammissibile un ricorso che non rispettava i requisiti normativi.
I Fatti del Caso
Il caso ha origine da una sentenza del G.I.P. del Tribunale di Brescia, che applicava, su richiesta delle parti (patteggiamento), una pena di un anno di reclusione a un imputato per il reato di omicidio stradale (art. 589-bis c.p.). L’imputato, tramite il suo difensore, ha deciso di presentare ricorso per cassazione avverso tale sentenza. Il motivo del ricorso era uno solo: la mancata declaratoria di una causa di non punibilità, secondo quanto previsto dall’art. 129 del codice di procedura penale.
Limiti all’Appello Patteggiamento: Cosa Dice la Legge
La questione centrale ruota attorno all’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma, introdotta con la riforma del 2017, stabilisce in modo tassativo i motivi per cui una sentenza di patteggiamento può essere impugnata. Essi sono:
1. Problemi relativi all’espressione della volontà dell’imputato (ad esempio, se il consenso non è stato libero e volontario).
2. Mancanza di correlazione tra la richiesta di patteggiamento e la sentenza emessa dal giudice.
3. Errata qualificazione giuridica del fatto contestato.
4. Illegalità della pena applicata o della misura di sicurezza disposta.
Qualsiasi motivo di ricorso che non rientri in questo elenco è considerato dalla legge come “motivo non consentito” e, di conseguenza, porta all’inammissibilità dell’impugnazione.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno evidenziato che la censura sollevata dalla difesa – ossia la mancata applicazione di una causa di non punibilità – non rientra in nessuna delle quattro categorie previste dall’art. 448, comma 2-bis. Pertanto, il ricorso era stato proposto per un motivo non consentito dalla legge.
Le Motivazioni
La motivazione della Corte è puramente processuale e si basa su una stretta interpretazione della normativa. La logica del legislatore è quella di garantire stabilità alle sentenze di patteggiamento, che nascono da un accordo tra accusa e difesa. Consentire un’impugnazione per motivi generici snaturerebbe la funzione deflattiva del rito. La Corte ha specificato che la censura dell’imputato non riguardava né la sua volontà, né la correlazione richiesta-sentenza, né la qualificazione giuridica del fatto, né l’illegalità della pena. Di conseguenza, il ricorso doveva essere dichiarato inammissibile “senza formalità”, come previsto dall’art. 610, comma 5-bis, del codice di procedura penale. All’inammissibilità è seguita, come per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 4.000,00 euro in favore della Cassa delle ammende.
Le Conclusioni
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: l’accesso all’impugnazione di una sentenza di patteggiamento è una via stretta, percorribile solo se si sollevano questioni specifiche e legalmente previste. Per gli operatori del diritto, ciò significa che la strategia difensiva deve essere attentamente ponderata prima di accettare il patteggiamento, poiché le possibilità di rimettere in discussione la sentenza sono estremamente limitate. Per l’imputato, la decisione sottolinea che un ricorso inammissibile non solo non porta al risultato sperato, ma comporta anche conseguenze economiche significative, con la condanna alle spese e a una sanzione pecuniaria.
È sempre possibile impugnare una sentenza di patteggiamento?
No, l’impugnazione di una sentenza di patteggiamento non è sempre possibile. È consentita solo per i motivi specifici e tassativamente indicati dall’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale.
Quali sono i motivi consentiti per ricorrere in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento?
I motivi consentiti sono: problemi legati all’espressione della volontà dell’imputato, difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, erronea qualificazione giuridica del fatto, e illegalità della pena o della misura di sicurezza.
Cosa accade se il ricorso viene dichiarato inammissibile?
Se il ricorso è dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, che nel caso di specie è stata fissata in 4.000,00 euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 3501 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 3501 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOMENOME COGNOME
Data Udienza: 17/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il 14/07/1984
avverso la sentenza del 09/04/2024 del GIP TRIBUNALE di BRESCIA
dato avviC alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza del 9 aprile 2024 il G.I.P. del Tribunale di Brescia ha applicato, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., a NOME COGNOME la pena di anni uno di reclusione in ordine al reato di cui all’art. 589-bis cod. pen.
Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore, deducendo, con un unico motivo, inosservanza di norma processuale e mancanza di motivazione in ordine all’omessa declaratoria di una causa di non punibilità prevista dall’art. 129 cod. proc. pen.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto proposto con motivo non consentito.
La dedotta censura, infatti, non rientra tra quelle indicate dall’art. 448 comma 2-bis, cod. proc. pen. (come introdotto dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, in vigore dal 3 agosto 2017), in quanto non riguardante motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra l richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegal della pena o della misura di sicurezza.
La declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione deve, pertanto, essere pronunciata «senza formalità», ai sensi di quanto disposto dall’art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen.
All’inammissibilità del ricorso segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che appare conforme a giustizia stabilire nella somma di euro 4.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 4.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 17 ottobre 2024
Il Consigliere estensore
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