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Appello patteggiamento: i limiti all’impugnazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 38673/2025, ha dichiarato inammissibile il ricorso di tre imputati contro una sentenza di patteggiamento per reati legati agli stupefacenti. La Corte ha stabilito che le trattative precedenti all’accordo finale non sono rilevanti se il consenso è stato validamente prestato in udienza. Inoltre, ha ribadito che un appello patteggiamento basato sulla mancata assoluzione ex art. 129 c.p.p. è possibile solo se la causa di non punibilità emerge con evidenza dal testo della sentenza stessa, cosa non avvenuta nel caso di specie.

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Pubblicato il 28 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Appello Patteggiamento: La Cassazione Fissa i Paletti sull’Impugnazione

Con la recente sentenza n. 38673 del 2025, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sui confini dell’impugnazione delle sentenze di patteggiamento, fornendo chiarimenti cruciali. La decisione in esame si concentra sui limiti dell’appello patteggiamento, in particolare quando il ricorso si fonda su presunte irregolarità nell’accordo tra le parti o sulla mancata applicazione dell’obbligo di assoluzione immediata previsto dall’art. 129 del codice di procedura penale. Questa pronuncia consolida un orientamento restrittivo, volto a garantire la stabilità e la definitività di questo rito speciale.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dal ricorso presentato da tre persone condannate dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Teramo a seguito di un accordo sulla pena (patteggiamento) per un reato in materia di stupefacenti. Le pene applicate erano significative, includendo periodi di reclusione e multe elevate. Il giudice aveva inoltre disposto la confisca della sostanza sequestrata e di una somma di denaro. Contro questa sentenza, gli imputati hanno proposto ricorso per Cassazione, sollevando due specifiche censure.

I Motivi del Ricorso e l’Appello Patteggiamento

I ricorrenti hanno basato il loro appello patteggiamento su due motivi principali:
1. Vizio di motivazione sull’accordo: Si lamentava un’irregolarità nel percorso che aveva portato al consenso del Pubblico Ministero, sostenendo che un precedente accordo fosse stato violato.
2. Mancata assoluzione ex art. 129 c.p.p.: Si deduceva un vizio di motivazione per non aver il giudice, prima di ratificare il patteggiamento, verificato la sussistenza delle condizioni per un proscioglimento immediato, come richiesto dalla legge.

L’Analisi della Corte e la Stretta sull’Appello Patteggiamento

La Suprema Corte ha dichiarato entrambi i motivi di ricorso inammissibili, delineando con fermezza i limiti dell’appello patteggiamento.

Per quanto riguarda il primo motivo, la Corte ha affermato che le vicende negoziali tra le parti che precedono l’accordo finale sono irrilevanti. Ciò che conta è il consenso validamente prestato in udienza e recepito nella sentenza. Anche se in una fase precedente il consenso del PM era stato revocato, la formulazione di una nuova e successiva proposta, accettata da tutte le parti, sana ogni presunta irregolarità pregressa e rende l’accordo pienamente valido.

Sul secondo e più rilevante motivo, la Corte ha richiamato il dettato dell’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma limita drasticamente la possibilità di impugnare una sentenza di patteggiamento. In particolare, il ricorso che lamenta la mancata verifica di una causa di proscioglimento ex art. 129 c.p.p. è ammissibile soltanto se l’esistenza di tale causa risulta evidente dal testo stesso della sentenza impugnata. Nel caso di specie, il giudice di merito aveva espressamente dato atto della presenza di ‘corposi elementi di reità’ derivanti dagli atti di indagine, escludendo quindi motivatamente la possibilità di un proscioglimento immediato. Di conseguenza, non essendoci un’evidente causa di non punibilità emergente dalla sentenza, il ricorso su questo punto è stato ritenuto manifestamente infondato.

Le Motivazioni

La decisione della Cassazione si fonda su una logica di stabilità e certezza del diritto, in particolare per i riti alternativi come il patteggiamento. La ratio dell’art. 448, comma 2-bis, c.p.p., introdotto dalla riforma Orlando, è proprio quella di prevenire ricorsi dilatori o pretestuosi contro sentenze che nascono da un accordo tra le parti. L’impugnazione non può trasformarsi in un’occasione per rimettere in discussione il merito della vicenda processuale, che l’imputato ha scelto di non affrontare optando per il patteggiamento. Il controllo della Cassazione è limitato a vizi macroscopici e immediatamente percepibili dalla lettura della sentenza, senza che sia necessario compiere ulteriori approfondimenti istruttori o valutazioni di merito. Il fatto che il giudice a quo avesse esplicitamente valutato e motivato l’insussistenza di cause di proscioglimento ha chiuso ogni spazio per un sindacato di legittimità.

Le Conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale: chi sceglie la via del patteggiamento accetta una definizione rapida del processo in cambio di uno sconto di pena, ma rinuncia contestualmente a un ampio diritto di impugnazione. L’appello patteggiamento rimane un rimedio eccezionale, esperibile solo per specifici vizi di legge tassativamente indicati. La decisione di dichiarare inammissibili i ricorsi ha comportato non solo la conferma della condanna, ma anche l’addebito ai ricorrenti delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, a ulteriore monito contro l’abuso dello strumento impugnatorio.

È possibile impugnare una sentenza di patteggiamento lamentando come è stato raggiunto l’accordo con il Pubblico Ministero?
No, secondo la sentenza, se le parti hanno validamente espresso il loro consenso finale davanti al giudice, le vicende precedenti che hanno portato a tale accordo, incluse eventuali revoche o passaggi intermedi, non sono rilevanti ai fini dell’impugnazione.

Si può fare ricorso contro una sentenza di patteggiamento sostenendo che il giudice avrebbe dovuto assolvere l’imputato?
Sì, ma solo in casi molto limitati. L’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. permette l’impugnazione per mancata assoluzione ex art. 129 c.p.p. soltanto se la causa di non punibilità risulta in modo palese ed evidente dal testo stesso della sentenza, senza necessità di ulteriori valutazioni.

Quali sono le conseguenze se un ricorso contro una sentenza di patteggiamento viene dichiarato inammissibile?
La sentenza di patteggiamento diventa definitiva. Inoltre, come stabilito dalla Corte nel caso di specie, i ricorrenti vengono condannati al pagamento delle spese processuali e di una somma ulteriore in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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