Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 27066 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 27066 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 15/07/2025
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 27 settembre 2023 il Tribunale di Agrigento aveva assolto perché il fatto non costituisce reato NOME COGNOME e NOME COGNOME dal reato di cui agli artt. 110 e 392 cod. pen. commesso in Raffadali tra il 14 e il 16
maggio 2016. Avverso detta sentenza aveva proposto appello, chiedendone la riforma agli effetti civili, la parte civile NOME COGNOME appello accolto dalla Corte di appello che, con sentenza del 12 dicembre 2024, ha riformato la sentenza di assoluzione e ha condannato gli imputati, in solido tra loro, al risarcimento dei danni cagionati alla parte civile, per la cui liquidazione ha rinviato al giudice civile, assegnando alla predetta parte civile una provvisionale pari ad euro 500, posta a carico degli imputati che sono stati condannati alla rifusione delle spese sostenute nel grado.
I ricorsi sono stati trattati con procedura scritta, ai sensi dell’art. 611, comma 1-bis cod. proc. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1 ricorsi devono essere rigettati perché proposti per motivi infondati.
2.Sul tema dell’appellabilità delle sentenze di cui all’art. 593, comma 3, cod. proc. pen. della parte civile la giurisprudenza di legittimità ha già affrontato la questione proposta dai ricorrenti e l’ha ritenuta, con argomenti che il Collegio condivide, infondata.
Si è, infatti, affermato che anche successivamente alla riforma di cui al d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, la parte civile è legittimata a proporre appello, ai soli effetti della responsabilità civile, avverso le sentenze di proscioglimento emesse dal Tribunale a norma dell’art. 593, comma 3, cod. proc. pen., come modificato dall’art. 34, comma 1, lett. a), d.lgs. cit., tenuto conto della specialità del sistema impugnatorio regolato dal disposto di cui all’art. 576 cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 15797 del 10/01/2025, NOME, Rv. 287996).
Nell’ordinanza ora richiamata, la questione della impugnazione della parte civile, collegata all’entrata in vigore della disposizione di cui all’art. 593, comma 3, cod. proc. pen., secondo cui “sono in ogni caso inappellabili (.·.) le sentenze di proscioglimento relative a reati puniti con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa”, è stata analizzata, e risolta nel senso della perdurante appellabilità della sentenza di proscioglimento, in relazione a reati puniti con la pena alternativa, alla stregua del complessivo quadro normativo applicabile alla materia ed in particolare della disposizione recata dall’art. 576 cod. proc. pen. in forza del quale “la parte civile può proporre impugnazione (…), ai soli effetti della responsabilità civile, contro la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio”.
Una disposizione letta nel senso che l’art. 576 cod. proc. pen. dà luogo ad un sistema che disciplina specificamente l’impugnazione della parte civile sicché, inibire a tale parte di proporre appello, ai soli effetti civili, contro le sentenz assolutorie relative ai reati, puniti con pene alternative – o, come nel presente caso, solo pecuniarie-, significa incidere in maniera profonda sul sistema di tutela degli interessi civili coinvolti da una ampia parte dei procedimenti giudiziari relativi ai reati “bagatellari”.
Si è, infatti, rilevato che l’ambito di ordinaria applicazione della disposizione di cui all’art. 593, comma 3, cod. proc. pen. è stato ampliato , visto che essa non riguarda più solo i reati di carattere contravvenzionale essendo stata rimossa, per effetto della entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2022, la limitazione della inappellabilità delle sentenze di proscioglimento – ferma restando la condizione che si tratti di illeciti punibili con la pena pecuniaria ovvero con pena alternativa –
dei soli reati contravvenzionali precedentemente contenuta nella disposizione dianzi ricordata, a fronte di una ampia platea dei reati di scarso impatto penale (tanto da prevedere o la sola sanzione pecuniaria o quella alternativa), ma non per questo inidonei a determinare rilevanti pregiudizi di carattere civilistico. Un diverso argomentare, d’altra parte, condurrebbe al risultato, per certi versi chiaramente paradossale, di consentire alla parte civile di proporre appello avverso la sentenza di condanna dell’imputato laddove essa non abbia condotto alla piena soddisfazione dell’interesse sostanziale – volto al risarcimento del danno civile da quella partito ovvero alle restituzioni a fini risarcitori derivanti dalla commissione dei reati – azionato nel processo penale, mentre escluderebbe siffatta facoltà laddove la sentenza oggetto di contestazione sia una sentenza di proscioglimento che, stante il disposto dell’art. 538 cod. proc. pen., preclusivat della condanna del prevenuto al ristoro del danno patito dalla parte civile, determina, sotto il profilo processualcivilistico, la soccombenza nel giudizio della parte civile.
Anche la più recente decisione delle Sezioni Unite di questa Corte, sia pure intervenuta in relazione alla appellabilità delle sentenze del giudice di pace, muovendo dal dato letterale della disposizione di cui all’art. 593, comma 3, cod. proc. pen., esaminato anche alla luce di lavori preparatori del d. Igs. n. 150 del 2022, ha affermato che l’unica lettura possibile della disposizione in esame è quella che rinvia, anche per i casi di inappellabilità oggettiva, alle parti (imputato e pubblico ministero), alle quali fanno riferimento i commi 1 e 2, sicché, il terzo comma non può che essere interpretato come logicamente “incluso” nell’alveo, non espandibile, dei precedenti commi.
Le Sezioni Unite hanno precisato che la lettura della disposizione di cui all’art. 593, comma 3, cod. proc. pen., si pone in linea di continuità con un orientamento stabile della giurisprudenza di legittimità, orientamento che, a partire dalla risalente sentenza Lista, mai messo in discussione, ha ribadito che «la generica legittimazione della parte civile ad impugnare la sentenza di proscioglimento», attribuitale dall’art. 576, comma 1, cod. proc. pen., comporta che le sia «consentita ogni forma di impugnazione ordinaria» avverso ogni tipo di «sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio», (S. U, n. 27614 del 29/03/2007, Lista, Rv. 236539), fatta eccezione, come chiarito da Sez. U, n. 28911 del 28/03/2019, COGNOME, Rv. 275953 – 01, per le «sentenze di non luogo a procedere pronunciate nell’udienza preliminare».
La norma di cui all’art. 576, comma 1, cod. proc. pen., riconoscendo alla parte civile la legittimazione ad impugnare, ai soli effetti civili, con «tutti gli ordina mezzi previsti» le sentenze di proscioglimento pronunciate «nel giudizio», esprime, anche nell’applicazione giurisprudenziale, un principio generale che, anche sul piano logico e sistematico non spiegherebbe la scelta legislativa di
limitare il diritto di impugnazione attraverso una disposizione che sancisce la parziale inappellabilità di tali sentenze, utilizzando il criterio del regime sanzionatorio in astratto previsto per alcuni reati, regime, quello della pena, rispetto al quale la parte civile è normalmente indifferente, come accade nelle ipotesi in cui chi accampi un danno da reato impugni la sentenza di proscioglimento onde ottenerne unicamente il ristoro mediante l’integrale riesame della vicenda processuale.
Vero è, osservano le Sezioni Unite, che la disposizione di cui all’art. 593, comma 3, cod. proc. pen. è determinata anche da logiche di deflazione delle impugnazioni, per raggiungere gli obiettivi di celerità nella definizione dei processi penali e di una decisione sull’azione in tempi non irragionevoli, e che il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 ha innovativamente previsto (art. 573, comma-1.bis, cod. proc. pen.), che, quando la sentenza sia stata impugnata «per i soli interessi civili», il giudizio venga trasferito in sede civile, se l’impugnazione non è inammissibile rinviando per la prosecuzione, rispettivamente, al giudice o alla sezione civile competente, che decide sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile. Si tratta, tuttavia, di una disposizione non applicabile, sul piano generale, per introdurre limitazioni al diritto di impugnazione.
Ritiene il Collegio che l’esegesi della Sezioni Unite, al di là della specificità del caso esaminato, siccome collocata nell’alveo di uno stabile orientamento nomofilattico che ha ricostruito, sulla scorta dell’art. 576 cod. proc. pen., uno specifico statuto del diritto di impugnazione della parte civile, quindi della sua legittimazione ad impugnare, sia applicabile anche al caso in cui oggetto dell’appello della parte civile sia la sentenza di proscioglimento in relazione a un reato punito con la sola pena pecuniaria.
Deve, in conclusione, affermarsi il principio che la parte civile, tenuto conto della legittimazione ad impugnare regolata dal disposto di cui all’art. 576 cod. proc. pen., ha diritto a proporre appello, ai soli effetti della responsabilità civile, avverso le sentenze di proscioglimento emesse dal Tribunale a norma dell’art. 593, comma 3, cod. proc. pen. in relazione ai reati puniti con la sola pena pecuniaria.
3. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato.
I ricorrenti propongono una rilettura delle prove raccolte che, con riferimento alla situazione di fatto esistente al momento della iniziativa intrapresa da NOME COGNOME di rimuovere i picchetti di confine tra i fondi dl La Marca e quelli del Montana, era stata ricostruita in dibattimento attraverso le dichiarazioni rese dal NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Soprattutto, la sentenza impugnata, in linea con l’imputazione ascritta GLYPH gli odierni ricorrenti, ha ravvisato la condotta di reato non solo nello “sradicamento” dei preesistenti picchetti ma nella circostanza che sulla porzione di terreno oggetto di contesa, gli imputati avessero apposto una recinzione con paletti, condotta che, con pertinenti riferimenti alla giurisprudenza in materia, è stata ritenuta integrare il reato di cui all’art. 392 cod. pen..
A differenza della sentenza di primo grado, che aveva valorizzato l’immediatezza della reazione degli imputati rispetto all’asserito spoglio subito per effetto dei lavori che la parte civile aveva intrapreso sul fondo, la Corte di appello ha spiegato che il reato era stato integrato, in tutti i suoi elementi costitutivi, attraverso la condotta degli imputati che il giorno seguente all’asserito spoglio, addirittura dopo che gli imputati e la parte civile avevano convenuto di esaminare la questione dei confini dinanzi alla Polizia Municipale dove la parte civile si era recata, avevano, invece, completato la rimozione dei picchetti e realizzato una nuova recinzione.
Coerente con tale ricostruzione, che il ricorso non ha neppure esaminato, risulta il riferimento della sentenza impugnata ad un precedente di questa Corte alla stregua del quale l’autoreintegrazione nel possesso di una cosa, della quale taluno sia spogliato clandestinamente o con violenza, opera come causa speciale di giustificazione solo quando sia impossibile il ricorso al giudice e l’azione reattiva avvenga nell’immediatezza di quella lesiva del diritto, per l’impellente necessità di ripristinare il possesso perduto, al fine di impedire il consolidamento della nuova situazione possessoria (Sez. 6, n. 6226 del 15/01/2020, COGNOME, Rv. 278614), fattispecie in cui questa Corte aveva ritenuto non scriminata la condotta dell’imputato che aveva demolito parzialmente un muro di confine dopo alcuni giorni dalla sua realizzazione, ritenendo che ostruisse l’esercizio di una servitù di passaggio, pur avendo assistito all’inizio dei lavori senza attivare alcun rimedio d’urgenza in sede giurisdizionale.
Anche nel caso in esame, non vi era alcuno spoglio violento in corso che legittimasse l’iniziativa degli imputati che avevano completato, il giorno seguente all’accertato “spoglio”, i lavori con la rimozione dei paletti di confine e realizzazione di una nuova recinzione.
4.Segue al rigetto del ricorso la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché delle spese del presente grado in favore della parte civile, NOMECOGNOME spese che, tenuto conto delle modalità di trattazione scritta dell’udienza, devono essere liquidate, ai sensi del d.m. n. 55 del 2014 e ss. modifiche nell’importo di euro tremila, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Condanna inoltre i ricorrenti a rifondere alla parte civile COGNOME le spese di rappresentanza e difesa del presente grado che liquida in euro 3.000,00 oltre
accessori di legge.
Così deciso il 15 luglio 2025
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