Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 7851 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1   Num. 7851  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
dalla parte civile COMUNE DI TORTORA
nel procedimento a carico di:
NOME NOME a MILANO il DATA_NASCITA
CAVALIERE NOME NOME a MORMANNO il DATA_NASCITA
COGNOME NOME NOME a COSENZA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 08/02/2023 della CORTE APPELLO di CATANZARO
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME
TAMPIERI
che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza dell’8 febbraio 2023, la Corte di appello di Catanzaro, ha confermato quella pronunciata dal Tribunale di Paola il 23 luglio 2021 nei confronti degli imputati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, appellata dalla parte civile Comune di Tortora, nella persona del Sindaco pro tempore, con cui gli stessi sono stati assolti, perché il fatto non sussiste, dai reati di cui agli artt. 256, connma 1, lett. a), d. Igs. 152 del 2006, 635, i relazione all’art. 625 n. 7, 674, 734, 434, comma primo, cod. pen. (capi b), c) e d)).
In relazione al reato di cui all’art. 254, comnna 4, d.l. n. 152/2006 (capo a) della rubrica) è stato dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione.
1.1. Secondo la tesi accusatoria, gli imputati, nelle loro rispettive qualità NOME COGNOME, quale amministratore unico e legale rappresentate della società RAGIONE_SOCIALE; NOME COGNOME, institore della medesima società e NOME COGNOME, direttore tecnico – negli anni 2009, 2010, 2011, 2012 e nel mese di gennaio del 2013, avrebbero ricevuto sistematicamente, presso l’impianto rifiuti liquidi sito in località San Sago del Comune di Tortora, un quantitativo di rifiuti liquidi non trattato, superiore di 300 mc alla capacità massima di smaltimento del medesimo impianto.
Rifiuti che, si assume, sarebbero stati sversati nel torrente Pizzino, affluente del Fiume Noce e, successivamente, nel mare Tirreno.
Per effetto di tali condotte gli imputati avrebbero, altresì, imbrattato e danneggiato i corsi d’acqua sopra indicati, nei quali si rilevava «l’anomala formazione di schiume e una intensa colorazione marrone».
Al contempo avrebbero «esposto la pubblica incolumità a gravissimi e concreti pericoli in considerazione del fatto che le acque pubbliche immediatamente oggetto della contaminazione, ovvero il torrente Pizzino e il fiume Noce, sono notoriamente utilizzate per fini irrigui e a scopo di abbeveraggio, mentre il Mar Tirreno è abitualmente meta di una moltitudine di persone per la loro balneazione».
Il Tribunale di Paola ha ricostruito i fatti valorizzando gli esiti documentali delle diverse indagini e i minuziosi controlli effettuati dal 2009 al 2013 dalla Polizia Giudiziaria e dall’RAGIONE_SOCIALE, dai quali è risultata smentita l’ipotesi accusatoria, non essendo mai stata accertata alcuna irregolarità sostanziale.
Pertanto, gli imputati sono stati assolti, all’esito del giudizio di primo grado, in ordine ai reati di cui ai capi b), c), d) «perché il fatto non sussiste».
A conclusioni diverse è pervenuto il Tribunale in relazione alla contravvenzione di cui al capo a), avente ad oggetto l’obbligo di adottare tutte le cautele necessarie ad evitare la perdita, anche accidentale, dei rifiuti, anche in fase di movimentazione, e di inviare comunicazioni mensili relative alle qualità dei rifiuti ricevuti e trattati.
Nel dare atto della mancanza di tali documenti nei mesi di dicembre RAGIONE_SOCIALE, gennaio e febbraio 2009, il Tribunale ha rilevato l’intervenuta estinzione della contravvenzione per prescrizione, essendo ampiamente decorso il termine massimo di cinque anni, pur tenendo conto dei diversi periodi di sospensione emergenti dagli atti.
1.2. I giudici di appello, a seguito dell’impugnazione proposta dalla sola parte civile, hanno evidenziato l’estinzione per prescrizione anche in relazione alle ulteriori contravvenzioni di cui ai capi b), c) e d), commesse dal 2009 al gennaio 2013 e in relazione alle quali il termine di cinque anni di prescrizione era decorso nei primi mesi dell’anno 2020 (e, pertanto, prima della pronuncia della sentenza di primo grado in data 23 luglio 2021).
Per tale ragione, la Corte di appello ha rilevato l’inammissibilità dell’impugnazione della parte civile ai sensi degli artt. 578 e 576 cod. proc. pen., non avendo l’appellante nessun concreto e attuale interesse ad impugnare una sentenza di assoluzione relativa ad un reato già prescritto prima della pronuncia della sentenza di primo grado.
In reazione ai residui delitti di cui ai capi c) e d) e, «in ogni caso, anche per le imputazioni contravvenzionali», la Corte di appello ha, altresì, dichiarato l’inammissibilità dell’impugnazione per difetto del requisito di specificità estrinseca, ai sensi dell’art. 581 cod. proc. pen., essendo stato articolato l’appello sulla base di argomentazioni prive di un reale confronto con il puntale apparato motivazionale della sentenza di primo grado.
A tale proposito, è stato evidenziato come le fonti dichiarative riportate nell’atto di impugnazione non fossero idonee a ribaltare le conclusioni alle quali è pervenuto il Tribunale di Paola e secondo le quali l’intera ricostruzione accusatoria si era basata su semplici «sospetti» derivanti dall’asserita sproporzione tra il quantitativo dei rifiuti giornalieri conferiti e la capacità smaltimento dell’innpianto gestito dagli imputati.
La circostanza, infatti, è stata ritenuta tale da poter essere giustificata con la presenza di vasche di stoccaggio dei rifiuti di cui l’impianto era dotato.
Ha, inoltre, richiamato l’esito delle indagini a campione eseguite che non hanno mai consentito di accertare violazioni sostanziali.
A tale proposito, ha richiamato le pagg. 7 – 10 della sentenza di primo grado e l’esito del sopralluogo eseguito il 22 marzo 2012 dal consulente del Pubblico
ministero; anche in occasione di tale verifica non erano state effettuate analisi e indagini tecniche.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Comune di Tortora, in persona dal Sindaco pro tempore, per mezzo dell’AVV_NOTAIO, ai soli fini delle statuizioni civili, articolando due motivi.
2.1. Con il primo ha eccepito la violazione dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 576, 538 e 578 cod. proc. pen.
La Corte di appello avrebbe erroneamente dichiarato l’inammissibilità dell’appello ex artt. 578 e 576 cod. proc. pen., non avendo preso in considerazione che la parte civile aveva impugNOME una sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste e non una sentenza di condanna.
La giurisprudenza richiamata dai giudici distrettuali sarebbe riferibile, infatti, a fattispecie per le quali vi è stata una sentenza di condanna.
La Corte di appello non avrebbe, inoltre, correttamente applicato il principio di cui all’art. 576 cod. proc. pen., il quale riconosce alla parte civile l legittimazione a presentare impugnazione avverso la sentenza di proscioglimento o di assoluzione e a chiedere la condanna dell’imputato alla restituzione o al risarcimento del danno, indipendentemente dall’impugnazione del Pubblico ministero e anche in assenza di questa.
2.2. Con il secondo motivo la parte civile ha dedotto violazione ex art. 606, lett. b) e lett. e), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 125, comma 3, e 546 stesso codice e per mancata, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione dei canoni valutativi della prova ex art. 192 cod. proc. pen., in relazione agli artt. 81 n. 2 e 110 cod. pen., 256 comma 1 lett. /) d.l. 152/2006; artt. 81 comma 2 e 110 cod. pen., art. 635 in relazione all’art. 625 n. 7, 674 e 734 cod. pen.; artt. 81 comma 2 e 110 cod. pen., 434 cod. pen.
La Corte di appello di Catanzaro si sarebbe limitata a risolvere lacunosamente le molteplici censure avanzate nell’innpugnazione della parte civile, limitandosi a richiamare le motivazioni del giudice di primo grado.
Con l’impugnazione di merito era stata, invece, sollecitata una disamina critica delle valutazioni compiute dal Tribunale, evidenziando numerosi e concordi dati documentali e scientifici, che il primo giudice non aveva preso in considerazione.
In particolare, ha lamentato l’omessa disamina delle censure svolte in ordine alla documentazione prodotta, alle consulenze tecniche (del Pubblico ministero e della parte civile).
La Corte di appello non avrebbe tenuto in adeguata considerazione la circostanza, pacificamente emersa, secondo cui l’impianto di smaltimento dei
rifiuti non poteva trattare più di 300 mc di percolato di discarica nelle ventiquattro ore, in base all’autorizzazione ottenuta.
A fronte di tale circostanza, era emerso come la quantità di rifiuti conferiti fosse stata superiore, con la conseguenza che nei torrenti e in mare erano stati sversati rifiuti non trattati.
Il dato sarebbe stato agevolmente ricavabile attraverso un semplice calcolo matematico ed era stato illustrato dal consulente della parte civile (oltre che da quello del Pubblico ministero) le cui considerazioni erano state omesse dal primo giudice.
La carenza motivazionale era stata segnalata con l’atto di appello ma non era stata presa in considerazione dalla Corte di appello che aveva, altresì, trascurato quanto emergente dalle deposizioni dei testi COGNOME e COGNOME le cui dichiarazioni, tra l’altro, erano state parzialmente trascritte nell’atto di appello.
In particolare, dalle dichiarazioni del secondo teste era emerso che nell’impianto esisteva un by – pass che consentiva il transito di materiale non trattato direttamente nel fiume.
Tutte le circostanze indicate avrebbero reso la sentenza della Corte catanzarese affetta da vizio di motivazione.
Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso.
La parte civile ha rassegNOME conclusioni scritte.
Nell’interesse degli imputati COGNOME e COGNOME sono state depositate memorie e conclusioni con le quali è stata chiesta la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
E’ inammissibile, in quanto manifestamente infondato, il motivo di ricorso riferito alla dichiarazione di inammissibilità dell’appello con riguardo alle fattispecie contravvenzionali estinte per prescrizione per essere decorso il relativo termine prima della pronuncia della sentenza di primo grado.
Con riferimento alle fattispecie contravvenzionali di cui ai capi b) e c) (per quella di cui al capo a) non risulta proposta impugnazione), in termini ineccepibili, la Corte di appello di Catanzaro ha calcolato il termine di prescrizione applicando il termine massimo di cinque anni aumentato di 346 giorni per i periodi di sospensione risultanti dagli atti e già così quantificati dal Tribunale di Paola.
Dalla contestazione emerge che l’ultima fattispecie contravvenzionale è
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stata contestata come commessa nel «gennaio 2013», sicchè, applicando il predetto termine massimo e operato l’aumento per i periodi di sospensione, risulta che anche le fattispecie contravvenzionali di cui agli artt. 356, comma 1, lett. a) (capo b), 674 e 734 cod. pen. (capo c), al momento della pronuncia della sentenza di primo grado erano estinte per prescrizione.
La pronuncia di inammissibilità dell’appello su tali fattispecie di reato è stata correttamente resa dalla Corte di appello dovendosi prestare adesione all’orientamento giurisprudenziale secondo cui «in tema di appello della parte civile, perché sussista la cognizione del giudice penale sulle statuizioni civili, è necessario che sia stata pronunciata una sentenza di condanna penale almeno in primo grado, mentre se è stata pronunziata sentenza di assoluzione e in appello venga accertato l’intervenuto decorso del termine di prescrizione anteriormente alla pronuncia di primo grado, il secondo giudice, che ripete i poteri del primo nei limiti del devoluto e agli effetti della devoluzione, non può condannare alle restituzioni e al risarcimento del danno, essendo le statuizioni civili escluse dalla cognizione penale fin dal primo grado» (Sez. 2, n. 39397 del 05/07/2019, COGNOME, Rv. 277104 ribadita da successivi arresti tra cui, fra i più recenti, Sez. 5, n. 13241 del 28/02/2023, COGNOME; Sez. 5, n. 27902 del 20/02/2023, COGNOME).
In tale occasione è stato affermato che «la decisione sulle statuizioni civili possa essere assunta dal giudice di appello solo nel caso in cui la causa di estinzione sia sopravvenuta rispetto alla sentenza di primo grado, ma che la stessa non possa essere assunta nel caso in cui la prescrizione sia decorsa precocemente, ovvero prima della pronuncia della sentenza di primo grado», assicurando, così, continuità all’affermazione secondo cui «il giudice dell’impugnazione, adito ai sensi dell’art. 576 cod. proc. pen., ha, nei limiti del devoluto e agli effetti della devoluzione, gli stessi poteri che il giudice di primo grado avrebbe dovuto esercitare, cosicché, nel caso in cui il reato risulti estinto per prescrizione maturata anteriormente all’emanazione della sentenza di primo grado, egli, al pari del primo giudice di cui ripete i poteri, non può decidere sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno, proposta dalla parte civile a norma degli articoli 74 e seguenti del codice di procedura penale» (Sez. 3, n. 3083 del 18/10/2016 – dep. 23/01/2017, COGNOME, Rv. 268894, § 2.1.).
Le considerazioni svolte con riferimento al tempo necessario a prescrivere comportano il rilievo della intervenuta estinzione anche delle fattispecie delittuose in epoca precedente alla pronuncia della sentenza di primo grado.
Invero, il termine è iniziato a decorrere, per il delitto commesso in epoca più recente, dal 10   gennaio 2013, dovendosi applicare il principio per cui «in tema di prescrizione, qualora il reato sia contestato come commesso genericamente fino
ad un certo anno o mese, senza ulteriore specificazione, il termine di prescrizione, in applicazione del principio del “favor rei”, comincia a decorrere dal primo giorno utile dell’anno o del mese indicato. (Nella specie, contestato il reato come commesso “dal 2007 al 2012”, la Corte ha ritenuto che il “dies a quo” per il computo della prescrizione dovesse essere individuato nell’i gennaio 2012)» (Sez. 6, n. 16202 del 11/03/2021, Voza, Rv. 280900; conforme Sez. 1, n. 49086 del 24/05/2012, COGNOME, Rv. 253958).
Ne consegue che, in base al termine applicabile alle fattispecie delittuose di cui agli artt. 635, in relazione all’art. 625, n. 7 e 434 cod. pen., ossia quello di sette anni e mezzo, pur tenendo conto dell’aumento di 346 giorni per i periodi di sospensione come risultanti dagli atti, il termine era ormai decorso alla data del 23 luglio 2021 quando è stata pronunciata la sentenza di primo grado.
Tenuto conto dei principi giurisprudenziali sopra indicati, pertanto, il ricorso della parte civile deve essere dichiarato inammissibile anche con riferimento alle ipotesi delittuose.
Alla luce di quanto esposto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e in mancanza di elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità» al versamento della somma, equitativannente fissata in euro tremila, in favore della Cassa delle ammende.
La parte ricorrente deve, inoltre, essere condannata alla rifusione delle spese sostenute dagli imputati COGNOME e COGNOME (che ne hanno fatto richiesta) nel presente giudizio.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Condanna, inoltre, la parte civile ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio da NOME e NOME NOME che liquida in complessivi euro 4.300, oltre accessori di legge.
Così deciso in data 16/11/2023
Il Consigliiere es nsore