Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 9958 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 9958 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME NOME, nato a Bisceglie il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 23/10/2023 del Tribunale di Bari
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visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore Generale NOME COGNOME, il quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 19/12/2022, il G.i.p. del Tribunale di Trani rigettava la richiesta del pubblico ministero presso il Tribunale di Trani di applicazione, nei confronti di NOME COGNOME, della misura della custodia cautelare in carcere per i reati di tentata estorsione continuata – per avere tentato di costringere, con violenza e minaccia, NOME COGNOME a consegnargli C 400,00 a titolo di prezzo per la cessione di sostanza stupefacente – e di lesioni aggravate (dal cosiddetto nesso teleologico), sempre ai danni di NOME COGNOME.
Il G.i.p. del Tribunale di Trani riteneva in particolare che, nella specie, non fosse applicabile alcuna misura cautelare, in quanto il primo dei due fatti
menzionati doveva essere qualificato come esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone.
Con ordinanza del 23/10/2023, il Tribunale di Bari, in accoglimento dell’appello del pubblico ministero presso il Tribunale di Trani, annullava la suddetta ordinanza del 19/12/2022 del G.i.p. dello stesso Tribunale e applicava al COGNOME la misura della custodia cautelare in carcere per essere egli gravemente indiziato dei due delitti sopra menzionati e con riguardo alla sussistenza del pericolo di commissione di delitti della stessa specie e del pericolo per l’acquisizione e la genuinità della prova.
Avverso l’indicata ordinanza del 23/10/2023 del Tribunale di Bari, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore, NOME COGNOME, affidato a tre motivi.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., l’inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inammissibilità, con riferimento all’art. 581, comma 1, lett. d), cod. proc. pen.
Il COGNOME premette che: a) con l’ordinanza del 19/12/2022, il G.i.p. del Tribunale di Trani aveva rigettato la richiesta del pubblico ministero presso lo stesso Tribunale perché, avendo qualificato il fatto come esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone, difettavano le condizioni di applicabilità delle misure coercitive; b) nel proprio appello contro tale ordinanza, il pubblico ministero presso il Tribunale di Trani si era limitato a contestare la suddetta qualificazione giuridica del fatto, senza operare alcun riferimento alla sussistenza di tutti i presupposti della richiesta misura cautelare, con riguardo, quindi, alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari, nonché all’adeguatezza della misura.
Il ricorrente sostiene che l’appello del pubblico ministero non avrebbe potuto «solo sostenere la diversa qualifica giuridica», ma avrebbe dovuto, «pena l’inammissibilità per carenza di specificità, indicare le ragioni di diritto e elementi di fatto fondanti tutti i presupposti della cautela chiesta».
Tale inammissibilità dell’appello del pubblico ministero, ancorché non rilevata dal Tribunale di Bari, andrebbe quindi dichiarata, ai sensi del comma 4 dell’art. 591 cod. proc. pen., in accoglimento del motivo di ricorso.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., l’inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inammissibilità, con riferimento all’art. 568, comma 4, cod. proc. pen., per avere il Tribunale di Bari rigettato la sua eccezione di inammissibilità dell’appello del pubblico ministero per carenza di interesse.
Il COGNOME richiama quanto aveva esposto in premessa del primo motivo, cioè che: a) il pubblico ministero presso il Tribunale di Trani, dopo avere proposto il proprio appello, avendo nelle more iscritto nei confronti dell’indagato un’altra notizia di reato (che aveva originato il procedimento n. 6313/2022) con riguardo ad altri tentativi di estorsione (del 22/11/2022, del 29/11/2022 e del 15/01/2023) ai danni del COGNOME sempre per costringerlo a consegnargli C 400,00 a titolo di prezzo per la cessione di sostanza stupefacente, aveva chiesto (il 07/02/2023) al G.i.p. del Tribunale di Trani l’emissione di un’altra ordinanza di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, provvedimento che veniva adottato dallo stesso G.i.p. il 20/05/2023; b) a seguito dell’interrogatorio di garanzia, l suddetta misura veniva sostituita con quella degli arresti domiciliari; c) successivamente, dopo che erano stati acquisiti gli atti di un altro procedimento penale (n. 5604/2022) che era stato iscritto a carico di altri soggetti che erano stati accusati dal COGNOME di essere gli spacciatori ai quali egli aveva corrisposto gli C 400,00 che gli sarebbero stati prestati dal COGNOME (sicché gli C 400,00 «non erano debito di droga ma un prestito per acquistare stupefacenti da altri»), sulla base dei suddetti atti, il G.i.p. sostituiva la misura in atto con quella dell’obbligo presentazione alla polizia giudiziaria; c) il 20/11/2023, la stessa misura veniva revocata dal collegio investito del dibattimento.
Ciò premesso, il ricorrente rappresenta che il pubblico ministero non aveva impugnato le «attenuazioni cautelari» che erano intervenute nel procedimento n. 6313/2022, «così determinando un giudicato nel processo maggiore con impossibilità di coltivare impugnazione in quello minore. Quello che doveva fare il P.M., per dimostrare interesse, era impugnare pure le modifiche cautelari nel secondo procedimento e riunirle con quella pendente. Non poteva mostrarsi indifferente alle graduazioni cautelari per la parte ampia del fatto e insistente per l’appendice iniziale».
Il COGNOME contesta la tesi del Tribunale di Bari secondo cui l’eccepito difetto di interesse non sussisterebbe «in quanto la misura disposta nel procedimento n. 6313/2023 non riguarda affatto gli stessi fatti». Il ricorrente rappresenta in proposito che «il P.M. non può volere il carcere per una piccola parte dell’azione (o della condotta) ed essere quiescente all’azzeramento della misura nel contesto più ampio. Il P.M. deve decidere. O ritiene che il COGNOME debba stare in carcere per tentata estorsione di C 400 al COGNOME ma in tal caso deve coltivare tutte le azioni a ciò finalizzate; oppure il suo agire contraddittorio inficia l’interesse gravame che risulta irragionevole e quindi non tutelabile. In definitiva l’interesse è ragionevole se non risulta esercitato in modo contraddittorio rispetto al fine perseguito».
In conclusione del motivo, il ricorrente afferma che esso si potrebbe riassumere nei seguenti termini: «ualora l’ipotesi criminosa possa articolarsi in un unico capo dì imputazione (come nel delitto tentato manifestato in più azioni) ma il P.M. eserciti l’azione cautelare frazionando il fatto in più contestazioni, non ricorre il suo interesse a impugnare la decisione cautelare quando nell’ambito degli altri procedimenti connessi abbia accettato l’attenuazione della misura».
2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la manifesta illogicità della motivazione con riguard alle ritenute attualità delle esigenze cautelari e adeguatezza dell’applicata misura della custodia cautelare in carcere.
Il ricorrente lamenta che il Tribunale di Bari avrebbe, in modo logicamente contraddittorio: da un lato, affermato che la valutazione della sussistenza delle esigenze cautelari «non è affatto condizionata dalle vicende che hanno riguardato la misura disposta dal G.i.p. nel procedimento n. 6313/23»; dall’altro lato, valorizzato «le risultanze del procedimento n. 6313/23» in sede di giustificazione dell’adozione della “massima” misura della custodia cautelare in carcere.
La motivazione sarebbe illogica anche perché «non si capisce come il Tribunale ravvisi la possibilità di reiterazione persino dai domiciliari tramite i corr del procedimento 6313/23 sebbene le ipotetiche preoccupazioni siano contraddette dal fatto certo che in quella vicenda alcuna violazione avveniva tanto da estinguersi la misura per assenza di esigenze».
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Dalla lettura dell’ordinanza impugnata, e come è stato indicato anche nel motivo di ricorso, risulta che il pubblico ministero presso il Tribunale di Trani aveva proposto appello contro l’ordinanza del 19/12/2022 del G.i.p. dello stesso Tribunale che aveva rigettato la sua richiesta di applicazione della misura contestando esclusivamente il fatto che lo stesso G.i.p. avesse qualificato la condotta del COGNOME (consistita nell’avere tentato di costringere, con violenza e minaccia, NOME COGNOME a consegnargli € 400,00 a titolo di prezzo per la cessione di sostanza stupefacente) come esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone (con la conseguente insussistenza delle condizioni di applicabilità delle misure coercitive).
Il ricorrente asserisce che tale motivo di appello del pubblico ministero sarebbe stato inammissibile per difetto di specificità, in violazione della norma di cui alla lett. d) del comma 1 dell’art. 581 cod. proc. pen., in quanto lo stesso pubblico ministero avrebbe dovuto «indicare le ragioni di diritto e gli elementi di fatto fondanti tutti i presupposti della cautela chiesta», con riguardo, quindi, all
sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari, nonché all’adeguatezza della misura.
A tale proposito, si deve osservare come il requisito della specificità attiene ai motivi dell’impugnazione e si riferisce alla necessità dell’indicazione, per ciascuno dei motivi proposti, delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono.
Nel caso di specie, poiché era stato proposto un unico motivo di appello, attinente, come si è detto, alla qualificazione giuridica del fatto, la questione della sussistenza del requisito della specificità, contrariamente a quanto mostra di ritenere il ricorrente, poteva attenere esclusivamente alla verifica del se il pubblico ministero ricorrente avesse o no indicato le ragioni di diritto e gli elementi di fatt che sorreggevano la propria richiesta di riqualificazione giuridica e non altre asserite carenze dell’atto di appello, quale la lamentata mancata indicazione delle «ragioni di diritto e gli elementi di fatto fondanti tutti i presupposti de cautela chiesta».
Chiarito che, pertanto, l’invocato principio di specificità non appare conferente rispetto alla doglianza avanzata dal ricorrente, resta comunque da stabilire se il pubblico ministero, nel proprio atto di appello, si potesse limitare censurare la qualificazione giuridica che era stata data al fatto dal G.i.p. del Tribunale di Trani o se, come è sostenuto dal COGNOME (ancorché invocando l’inconferente principio di specificità dei motivi di impugnazione), lo stesso pubblico ministero dovesse, a pena di inammissibilità del proprio appello, indicare «le ragioni di diritto e gl elementi di fatto fondanti tutti i presupposti della cautela chiesta».
A tale proposito, si deve ricordare che, secondo il diritto vivente della Corte di cassazione, qualora il giudice per le indagini preliminari abbia rigettato la richiesta del pubblico ministero di applicazione di una misura coercitiva e – come nel caso qui in esame – il pubblico ministero abbia proposto appello contro tale decisione, «i poteri di cognizione e di decisione del giudice dell’appello de libertate, pur nel rispetto del perimetro disegnato dall’originaria domanda cautelare, si estendono, senza subire alcuna preclusione, all’intero thema decidendum, che è costituito dalla verifica dell’esistenza di tutti i presupposti richiesti per l’adozi di un’ordinanza applicativa della misura cautelare, poiché il tribunale della libertà funge, in tal caso, non solo come organo di revisione critica del provvedimento reiettivo alla stregua dei motivi di gravame del P.M., ma anche come giudice al quale è affidato il potere-dovere di riesaminare ex novo la vicenda cautelare nella sua interezza, onde verificare la puntuale sussistenza delle condizioni e dei presupposti di cui agli artt. 273, 274, 275, 278, 280, 287 c.p.p. e, all’esito d siffatto scrutinio, di adottare infine, eventualmente, il provvedimento genetico della misura che, secondo lo schema di motivazione previsto dall’art. 292 c.p.p.,
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risponda ai criteri di concretezza e attualità degli indizi e delle esigenze cautelari nonché a quelli di adeguatezza e proporzionalità della misura». Con la conseguenza che risulta «ragionevole affermare che (con riguardo all’impugnazione del pubblico ministero avverso il provvedimento del G.i.p. di diniego della misura cautelare) al rilevato allargamento del devolutum a tutti i profili della domanda cautelare, indipendentemente dallo specifico petitum contenuto nei motivi di gravame, debba corrispondere una pari ampiezza del materiale cognitivo» (Sez. U, n. 18339 del 31/03/2004, COGNOME, Rv. 227357-01, in motivazione).
Pertanto, alla stregua di tale pronuncia delle Sezioni unite della Corte di cassazione – la quale è stata condivisa della successiva e anche recente giurisprudenza di legittimità (Sez. 2, n. 38212 del 28/09/2022, COGNOME, Rv. 283885-01; Sez. 6, n. 41997 del 24/09/2019, COGNOME, Rv. 277205-01; Sez. 6, n. 44713 del 28/03/2019, COGNOME, Rv. 278335-01; Sez. 3, n. 37086 del 19/05/2015, COGNOME, Rv. 265008-01) – si deve ritenere che, contrariamente a quanto è stato sostenuto dal ricorrente, nel proprio appello contro la decisione del giudice per le indagini preliminari di rigetto della richiesta di applicazione di una misura coercitiva, il pubblico ministero si possa limitare a investire i singoli punt specificamente censurati, sui quali il medesimo giudice per le indagini preliminari ha fondato il proprio diniego di applicazione della misura (così, il difetto: dell condizioni di applicabilità delle misure coercitive, in ragione di una non condivisa qualificazione giuridica del fatto, come nel caso di specie; dei gravi indizi di colpevolezza; delle esigenze cautelari), atteso che la cognizione del tribunale investito dell’appello non è limitata ai suddetti singoli punti censurati ma è comunque estesa all’integrale verifica delle condizioni e dei presupposti per l’adozione della misura genetica. 2. Il secondo motivo è manifestamente infondato. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il ricorrente ha esposto che, nell’ambito di un altro procedimento penale (n. 6313/2020) che era stato iscritto nei suoi confronti con riguardo ad altri tentativi di costringere la persona offesa NOME COGNOME, con violenza o minaccia, a corrispondergli la somma di € 400,00, egli era stato sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere, la quale era stata prima sostituita con quella degli arresti domiciliari e, poi, con quella dell’obbligo di presentazione alla polizi giudiziaria; misura, quest’ultima, che era stata infine revocata dal giudice del dibattimento. Ciò senza che il pubblico ministero avesse impugnato le stesse sostituzioni e revoca.
La tesi del ricorrente è che, avendo il pubblico ministero «accettato» tali provvedimenti di attenuazione e, poi, di revoca, che erano stati adottati nell’ambito del menzionato procedimento connesso, si dovesse escludere il suo
interesse ad appellare l’ordinanza del G.i.p. del Tribunale di Trani che, nel procedimento che qui interessa, aveva negato l’applicazione della misura cautelare.
Il Collegio ritiene che tale tesi sia, come si è anticipato, manifestamente infondata, dovendosi ritenere corretta la motivazione del Tribunale di Bari che ha affermato l’interesse del pubblico ministero all’impugnazione sulla considerazione che «la misura disposta nel procedimento n. 6313/2023 non riguarda affatto gli stessi fatti».
In effetti, ammettendo, come appare essere, che le tentate estorsioni oggetto dei due procedimenti (il n. 6313/2023 e quello che viene qui in rilievo), in quanto tutte compiute ai danni di NOME COGNOME e tutte dirette a costringere costui a corrispondere all’indagato la somma di C 400,00, siano state commesse in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, resta tuttavia il fatto che, come è stato rilevato dal Tribunale di Bari, le condotte oggetto dei due procedimenti sono diverse, ciò che rende parimenti legittimamente diverse le valutazioni in ordine alla sussistenza delle condizioni e dei presupposti per l’applicazione di una misura cautelare coercitiva.
Pertanto, il fatto che il pubblico ministero non abbia impugnato i provvedimenti di attenuazione e, poi, di revoca della misura cautelare che erano stati adottati nell’ambito del connesso procedimento n. 6313/2023 non si può ritenere comportare un’acquiescenza dello stesso pubblico ministero anche con riguardo al provvedimento con il quale il G.i.p. del Tribunale di Trani aveva rigettato la sua richiesta di misura cautelare in relazione alle diverse condotte oggetto del procedimento che viene qui in rilievo e, quindi, un difetto di interesse del medesimo pubblico ministero a impugnare tale provvedimento di rigetto.
3. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
Anzitutto, non sussiste la denunciata contraddittorietà tra l’affermazione del Tribunale di Bari secondo cui la valutazione della sussistenza delle esigenze cautelari non era condizionata dalle progressive successive vicende delle misure cautelari che erano state disposte nell’ambito del procedimento n. 6313/2023 e la valorizzazione di alcune risultanze dello stesso procedimento n. 6313/2023 ai fini della scelta della misura della custodia cautelare in carcere.
La suddetta affermazione – giustificata dal fatto che le motivazioni che avevano sorretto le menzionate vicende erano indipendenti dalla valutazione che il Tribunale di Bari stava compiendo in relazione alle diverse condotte oggetto del procedimento del quale era investito – non esclude infatti logicamente che alcune delle risultanze del procedimento n. 6313/2023 potessero essere valorizzate ai fini della scelta della misura.
Né si può ritenere manifestamente illogica la valorizzazione, da parte d Tribunale di Bari, della specifica risultanza del procedimento n. 6113/2023 che COGNOME, nel compimento delle sue condotte illecite, si era avvalso anche di atteso che tale circostanza non appare un elemento inidoneo a orientare la sce della misura in relazione alla sua idoneità a soddisfare le esigenze cautelar caso concreto che era sottoposto all’esame del Tribunale di Bari.
Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, co conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma, 1, cod. pr pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabil profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagame della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dell spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa de ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. ese cod. proc. pen.
Così deciso il 15/02/2024.