Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 19193 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 19193 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a GELA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/12/2022 della CORTE APPELLO di CATANIA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo
Il Proc. Gen. conclude per il rigetto
udito il difensore
AVV_NOTAIO insiste nell’accoglimento del ricorso.
IN FATTO E IN DIRITTO
1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte dl appello di RAGIONE_SOCIALE, in riforma della sentenza con cui il giudice per le indagini preliminari, in data 27.3.2017, decidendo in sede di giudizio abbreviato, aveva assolto NOME COGNOME dal reato di cui agli artt. 81, cpv., 110, 112, n. 1) e 479 x c.p., in rubrica ascrittogli, con la formula perché il fatto non costituisce reato, in riferimento agli addebiti contestati ai capi 1), 3) e 4), e con la formula perché il fatto non sussiste, in relazione all’addebito contestato al capo 2), in accoglimento dell’appello del pubblico ministero, dichiarava non doversi procedere nei confronti dell’imputato in relazione al reato contestato al capo 1), con riferimento alle condotte illecite commesse negli anni 2009 e 2010, nonché in relazione al reato contestato al capo 3), perché estinti per prescrizione, confermando nel resto la sentenza di primo grado.
All’imputato, nella sua qualità di responsabile pro-tempore della RAGIONE_SOCIALE, era stato contestato di avere, in concorso con altri soggetti, falsamente rappresentato nella formazione e nell’approvazione del rendiconto di bilancio del suddetto RAGIONE_SOCIALE per gli esercizi 2009, 2010 e 2011, dati e circostanze, specificamente indicati nei numeri da 1) a 4) del capo d’imputazione, così dissimulando la reale situazione economico-finanziaria dell’ente pubblico, in contrasto con i principi di veridicità, pareggio finanziario e attendibilità, previsti dagli artt. 151 e 162, T.U.E.L.
Ciò al fine di evitare che si procedesse allo scioglimento del Consiglio Comunale per la mancata adozione dei provvedimenti di salvaguardia degli equilibri di bilancio di cui all’art. 139 del T.U.E.L. e che venisse dichiarato lo stato di dissesto del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE.
La dichiarazione di non procedibilità ha riguardato, in particolare, l’attestazione dei “residui attivi” (ovvero dei crediti certi, liquidi ed esigibili vantati dall’Ente e non riscossi entro la fine di ogni esercizio) che, secondo l’impostazione accusatoria, avrebbero dovuto invece essere “stralciati” e trasferiti al conto del patrimonio nei bilanci 2009 e 2010, con la conseguenza che i disavanzi sarebbero stati ancor maggiori e gli
avanzi sì sarebbero ridotti o verosimilmente trasmontati in disavanzi; l’appostazione nei rendiconti annuali 2009-2010-2011 sotto la voce “partite dì giro” (ovverosia entrare ed uscite effettuate nell’esercizio finanziario dell’Ente, dotate della caratteristica della neutralità e pertanto non incidenti sul risultato d’amministrazione) sotto la voce “servizi per conto terzi”, entrate ed uscite che dovevano invece trovare corretta allocazione in altri capitoli del bilancio nelle loro voci contabili specifiche, in quanto partite non neutrali, facendo apparire come neutre quelle che invece erano chiare voci di uscita.
Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l’annullamento, ha proposto ricorso per cassazione il COGNOME, articolando tre motivi di ricorso.
2.1 Con il primo motivo l’imputato lamenta violazione dì legge processuale, in quanto la corte territoriale avrebbe dovuto rilevare l’inammissibilità dell’appello del pubblico ministero, privo della specificità estrinseca richiesta espressamente dagli artt. 581 e 591, c.p.p., ai fini dell’ammissibilità dell’atto di impugnazione.
Ad avviso del ricorrente, il pubblico ministero, in violazione dei principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 8825 del 27.10.2023, non ha proposto una critica specifica, mirata e necessariamente puntuale della decisione impugnata, ma si è limitato a riproporre le argomentazioni già esposte nel giudizio di primo grado, non confrontandosi realmente con la motivazione con cui il giudice per le indagini preliminari tali argomentazioni aveva disatteso.
In particolare: con riguardo all’operazione di riaccertamento sui residui attivi operata nel bilancio consuntivo dell’anno 2011, il pubblico ministero appellante ha del tutto ignorato l’avvenuto accertamento ordinario e l’esecuzione del riaccertamento straordinario previsto dall’art. 6 d.l.n. 95 del 2012, che consentiva lo stralcio dei residui attivi che presentavano, come osservato dal giudice per le indagini preliminari, una vetustà superiore ai cinque anni, in tal modo ribadendo la tesi già sostenuta in primo grado; lo stesso dicasi con riferimento all’elemento soggettivo del reato, in quanto il pubblico ministero appellante non ha
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risposto a quanto più volte ribadito dal giudice per le indagini preliminari ovvero che la scelta dei residui attivi da mantenere era fondata sulle segnalazioni dei dirigenti dei settori dell’amministrazione comunale, per i quali venne chiesta, peraltro, l’archiviazione, e che solo la normativa vigente al momento dei fatti, nell’anno 2012, consentiva un più ampio stralcio dei residui attivi, limitandosi, dunque, anche in questo caso a ribadire quanto già affermato in primo grado; in relazione ai fatti di cui al capo 3) (cd. partite di giro), il pubblico ministero appellante, da un lato, non contesta quanto affermato dal giudice per le indagini preliminari circa la genericità delle argomentazioni poste a fondamento dell’accusa di violazione dell’art. 479, c.p., in ordine alle suddette “partite di giro” per gli anni 2009 e 2010, dall’altro, formula generiche lamentele di asserita contraddittorietà della motivazione del giudice di primo grado, che, invece, in ordine alle tre condotte rientranti nella voce “partite di giro”, vale a dire i prelievi Banco Posta; i “contribuenti riscossione volontaria” e i lavori di adeguamento della circumvallazione INDIRIZZO Gioeni, ha reso una motivazione puntuale, genericamente contrastata dall’appello del pubblico ministero.
2.2. Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta violazione di legge processuale, con riferimento all’art. 603, co. 3 bis, c.p.p., per mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, in quanto, disattendendo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità in materia, la corte territoriale, dopo avere nominato perito d’ufficio il prof. NOME COGNOME, nominato consulente tecnico del pubblico ministero nel giudizio di primo grado, non ha esaminato sui fatti di cui al capo 3), né il perito, né il consulente tecnico della difesa, fondando in definitiva la sua decisione sul contenuto della consulenza tecnica svolta dal prof. COGNOME nel giudizio di primo grado, senza procedere alla relativa rinnovazione.
2.3. Con il terzo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta vizio di motivazione e violazione di legge, con riferimento al principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio. Ad avviso del ricorrente la corte di appello, anche in questo caso violando un costante orientamento della
giurisprudenza di legittimità, da un lato, è incorsa nel vizio di omessa motivazione, non avendo esaminato le argomentazioni poste a base della sentenza di assoluzione di primo grado e non avendo illustrato, punto per punto, i motivi per cui tali argomentazioni risultano errate, infondate o superate dalla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale; dall’altro, non ha risposto alle note difensive presentate su ogni singolo profilo della vicenda e, in particolare, sulle risultanze della rinnovazione dibattimentale con una motivazione tale da dare risposte ai quesiti della difesa.
Con requisitoria scritta del 4.1.2024, da valere come memoria, in quanto nelle more è stata chiesta la trattazione in forma orale dei ricorsi, il sostituto procuratore RAGIONE_SOCIALE della Repubblica presso la Corte di Cassazione, AVV_NOTAIO, chiede che il ricorso sia rigettato.
Il ricorso va dichiarato inammissibile per le seguenti ragioni.
Con particolare riferimento al primo motivo di ricorso va preliminarmente osservato che, come si evince dalla incontestata sintesi dei motivi di appello operata dalla corte territoriale, con esso di deduce per la prima volta con il ricorso per cassazione una violazione di legge, che non risulta specificamente proposta innanzi al giudice di appello.
In quanto motivo nuovo, ne va rilevata l’inammissibilità, ai sensi dell’art. 606, co. 3, c.p.p.
D’altro canto, il Collegio non ignora che la Corte di Cassazione, nella sua espressione più autorevole, ha affermato il principio, richiamato dal ricorrente, secondo cui l’appello, al pari del ricorso per cassazione, è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fermo restando che tale onere di specificità, a carico dell’impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato (cfr. Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, Rv. 268822).
Tuttavia, come correttamente rilevato dal sostituto procuratore RAGIONE_SOCIALE nella COGNOME richiamata COGNOME requisitoria COGNOME scritta, COGNOME “dall’esame COGNOME dell’atto COGNOME di impugnazione non emerge la genericità denunciata. Quanto al capo 1, l’atto contiene critiche in punto di diritto (sulla punibilità del falso valutativo), richiama una memoria del 30.11.2016 non tenuta in debita considerazione dal giudice di primo grado, evidenzia gli elementi dai quali desumere il dolo dell’agente; quanto al capo 3, essendo incontestate le irregolarità riguardanti la voce “servizi per conto terzi”, ne esclude l’incidenza sul bilancio, elemento non richiesto secondo la prospettazione accusatoria ai fini della sussistenza del falso.”
In ogni caso solo una radicale mancanza di argomentati rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, non riscontrabile nel caso in esame, è idonea a determinare l’inammissibilità dell’appello, non certo eventuali lacune nella considerazione di alcune delle suddette ragioni, lacune che potranno COGNOME eventualmente COGNOME determinare, COGNOME se COGNOME decisive, COGNOME il COGNOME rigetto dell’impugnazione.
Con riferimento agli altri due motivi di impugnazione, il ricorrente non sembra avere sufficientemente meditato sulle conseguenze derivanti dalla dichiarazione di estinzione dei reati di cui si discute operata dalla corte di appello per compiuto decorso del relativo termine massimo di prescrizione, cui il COGNOME non ha rinunciato.
Al riguardo non può non rilevarsi A la presenza nella giurisprudenza di legittimità, di un costante orientamento, tale da costituire “diritto vivente, secondo cui in presenza di una causa di estinzione del reato il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129, comma secondo, c.p.p., soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di “constatazione”, ossia di percezione “ictu oculi”, che a quello di “apprezzamento” e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di
accertamento o di approfondimento, ragione per la quale, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l’obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva (cfr. Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Rv. 244274; Sez. 2, n. 2545 del 16/10/2014, Rv. 262277).
Principi riaffermati in altri più recenti arresti, in cui si è evidenziato come persino nell’ipotesi di sentenza d’appello pronunciata “de plano” in violazione del contradditorio tra le parti, che, in riforma della sentenza di condanna di primo grado, dichiari l’estinzione del reato per prescrizione, la causa estintiva del reato prevale sulla nullità assoluta ed insanabile della sentenza, sennpreché non risulti evidente la prova dell’innocenza dell’imputato, dovendo la Corte di cassazione adottare in tal caso la formula di merito di cui all’art. 129, comma secondo, c.p.p. (cfr. Sez. U, n. 28954 del 27/04/2017, Rv. 269810; Sez. 2, n. 46776 del 26/09/2018, Rv. 274465).
Ne consegue che, con la denuncia della mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale e della violazione dell’obbligo di motivazione rafforzata, il ricorrente lamenta, in tutta evidenza, un vulnus motivazionale in realtà non ascrivibile alla corte territoriale, che a tanto non avrebbe potuto procedere stante l’obbligo di procedere all’immediata declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, non risultando evidente la mancanza di colpevolezza dell’imputato, proprio in ragione degli articolati motivi di appello del pubblico ministero e degli articolati motivi di ricorso dell’imputato.
6. Alla dichiarazione di inammissibilità, segue la condanna del riccrrente, ai sensi dell’art. 616 t ,c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 3000,00 a favore della cassa delle ammende, tenuto conto della circostanza che l’evidente inammissibilità dei motivi di impugnazione, non consente di ritenere quest’ultimo immune da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000).
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della