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Appello inammissibile per manifesta infondatezza

La Corte di Cassazione ha dichiarato un ricorso inammissibile, stabilendo un principio fondamentale: un giudice d’appello non è tenuto a motivare la sua decisione su un motivo di gravame che era già in origine manifestamente infondato. Il caso riguardava un’impugnazione per un reato contro il patrimonio, dove si contestava la mancata prova del ‘delitto presupposto’. La Corte ha ribadito che per reati come la ricettazione non è necessaria una condanna definitiva per il reato originario, rendendo l’appello inammissibile fin dall’inizio. Anche gli altri motivi, relativi alla pena, sono stati giudicati troppo generici.

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Pubblicato il 24 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Appello inammissibile: quando la Corte non è tenuta a rispondere

Con l’ordinanza n. 22163/2024, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sui requisiti di ammissibilità dei ricorsi, chiarendo un punto cruciale: se un motivo di gravame è fin dall’origine viziato da manifesta infondatezza, la Corte d’Appello non è tenuta a fornire una motivazione specifica sulla sua reiezione. Questa pronuncia sottolinea l’importanza di formulare censure precise e giuridicamente sostenibili, pena la dichiarazione di un appello inammissibile a prescindere da eventuali omissioni del giudice di secondo grado.

I fatti di causa

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello di Torino. Il ricorrente lamentava principalmente tre vizi:
1. La mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza del cosiddetto ‘delitto presupposto’, elemento fondamentale per i reati di ricettazione, riciclaggio o reimpiego.
2. Il diniego ingiustificato delle circostanze attenuanti generiche.
3. La determinazione di una pena ritenuta eccessiva e superiore al minimo edittale.

Il ricorrente, in sostanza, sosteneva che la Corte d’Appello avesse omesso di rispondere adeguatamente alle sue doglianze, violando il suo diritto a una decisione motivata.

La decisione della Cassazione su un appello inammissibile

La Suprema Corte ha respinto integralmente il ricorso, dichiarandolo inammissibile. L’analisi dei giudici si è concentrata non tanto sull’operato della Corte d’Appello, quanto sulla validità intrinseca dei motivi di ricorso presentati in origine.

La questione del delitto presupposto e la manifesta infondatezza

Sul primo punto, la Cassazione ha applicato un principio consolidato: è inammissibile, per carenza d’interesse, il ricorso che lamenta l’omessa motivazione su un motivo d’appello a sua volta inammissibile ab origine per manifesta infondatezza. In altre parole, è inutile contestare il silenzio del giudice se la domanda posta era palesemente priva di fondamento.

I giudici hanno ribadito che, per configurare reati come la ricettazione, non è necessario che il delitto presupposto sia stato accertato con una sentenza passata in giudicato. È sufficiente che la sua esistenza non sia stata esclusa in modo definitivo e che la provenienza illecita del bene possa desumersi da altri elementi, come la sua natura o le circostanze del ritrovamento. Poiché il motivo d’appello si basava su un presupposto giuridico errato, era manifestamente infondato, e l’eventuale accoglimento della doglianza non avrebbe comunque portato a un esito favorevole per il ricorrente.

La genericità dei motivi su attenuanti e pena

Anche il secondo e il terzo motivo sono stati giudicati inammissibili, ma per aspecificità. Il ricorrente non aveva formulato critiche puntuali e argomentate contro la decisione della Corte d’Appello. Quest’ultima, infatti, aveva correttamente basato il diniego delle attenuanti e la quantificazione della pena sulla gravità dei fatti, l’intensità del dolo, l’assenza di pentimento (resipiscenza) e la mancanza di elementi favorevoli alla mitigazione. Il ricorso si limitava a una contestazione generica, senza confrontarsi adeguatamente con le solide ragioni esposte nella sentenza impugnata.

le motivazioni

La motivazione centrale dell’ordinanza risiede nel principio di economia processuale e di autosufficienza del ricorso. La Cassazione afferma che il processo non può essere utilizzato per correggere omissioni su argomenti che non avrebbero mai potuto trovare accoglimento. L’appello inammissibile perché manifestamente infondato ‘assorbe’ il vizio di omessa pronuncia del giudice di secondo grado. L’interesse ad agire, requisito fondamentale di ogni impugnazione, viene meno quando, anche in caso di accoglimento del ricorso, non potrebbe derivarne alcuna utilità concreta per il ricorrente.

le conclusioni

Questa decisione della Suprema Corte invia un messaggio chiaro agli operatori del diritto: la redazione di un atto di appello richiede rigore e specificità. Non è sufficiente sollevare dubbi generici o basare le proprie censure su interpretazioni giuridiche superate dalla giurisprudenza consolidata. Per superare il vaglio di ammissibilità, i motivi devono essere pertinenti, specifici e giuridicamente fondati. In caso contrario, il ricorso sarà dichiarato inammissibile, con conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, senza che le questioni di merito vengano neppure esaminate.

Un motivo di appello è inammissibile se si basa su un presupposto giuridico errato?
Sì. Se un motivo di appello si fonda su un principio giuridico palesemente errato o superato dalla giurisprudenza costante (come la necessità di una condanna definitiva per il delitto presupposto nella ricettazione), esso è considerato manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile.

La Corte d’Appello deve sempre motivare il rigetto di ogni singolo motivo di impugnazione?
No. Secondo la Cassazione, se il motivo di appello originario era di per sé inammissibile per manifesta infondatezza, la Corte d’Appello non è tenuta a fornire una motivazione specifica. L’omessa pronuncia su un motivo inammissibile non costituisce un vizio della sentenza.

Cosa si intende per motivo di ricorso ‘aspecifico’ in relazione alla pena?
Un motivo è ‘aspecifico’ quando si limita a contestare la pena come ‘eccessiva’ senza confrontarsi in modo critico e dettagliato con le ragioni fornite dal giudice per la sua determinazione, quali la gravità del fatto, l’intensità del dolo o l’assenza di pentimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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