Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 10200 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 10200 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOME, nato a Messina il DATA_NASCITA, contro la sentenza della Corte d’appello di Catania del 14.6.2023;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore Generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Catania ha confermato la sentenza con cui, in data 7.7.2016, il GUP del Tribunale etneo aveva riconosciuto NOME COGNOME responsabile del delitto di riciclaggio a lui contestato al capo b) della rubrica sicché, esclusa la pur contestata recidiva ed operata la riduzione per il rito premiale, lo aveva condannato alla pena di anni 2 e mesi 8 di reclusione ed euro 2.000 di multa oltre al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali;
ricorre per cassazione lo COGNOME tramite il difensore che deduce:
2.1 mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione risultante dal provvedimento impugnato:
2.2 violazione e falsa applicazione della legge penale e, segnatamente, dell’art. 648-bis, quarto comma, cod. pen. ed all’art. 625 n. 7 cod. pen.:
richiama il motivo di appello sulla esclusione della aggravante di cui al n. 7 dell’art. 625 cod. pen. e la conseguente riconducibilità del fatto nella ipotesi contemplata al comma . quarto dell’art. 648-bis cod. pen. denunziando la incongruità ed erroneità, in diritto, della risposta fornita dalla Corte territoria anche alla luce della giurisprudenza di legittimità;
2.3 mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato; violazione e falsa applicazione dell’art. 62-bis cod. pen.: richiama le considerazioni svolte con l’atto di appello a conforto del riconoscimento RAGIONE_SOCIALE circostanze attenuanti generiche e la contraddittorietà della risposta fornita dalla Corte territoriale rispetto, anche, a proprio provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato; rileva che, in ogni caso, il reato sarebbe prescritto;
la Procura Generale ha trasmesso la requisitoria scritta ai sensi dell’art. 23, comma 8, del DL 137 del 2020 concludendo per l’inammissibilità del ricorso: rileva che la Corte d’appello ha motivato in termini corretti, in diritto, sulla censura articolata con il primo motivo del ricorso e, in particolare, sui presupposti per ritenere la aggravante della esposizione alla pubblica fede di cui all’art. 627 n. 7 cod. pen.; osserva che altrettanto congrua è la motivazione resa dalla Corte sul diniego RAGIONE_SOCIALE circostanze attenuanti generiche;
la difesa ha trasmesso le proprie conclusioni scritte insistendo nell’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
1. Il collegio deve prendere atto, in primo luogo, che l’impugnazione ha ad oggetto una sentenza resa in data successiva alla entrata in vigore del D. Lg.vo 150 del 2022, ma che, tuttavia, non risulta ad essa allegato lo specifico mandato richiesto da comma 1-quater dell’art. 581 cod. proc. pen. nel caso in cui si sia proceduto nella dichiarata assenza dell’imputato, circostanza documentalmente comprovata dall’esame degli atti e, in particolare, del verbale di udienza del giudizio di appello.
L’art. 33 del D. Lg.vo n. 150 del 2022 ha introdotto, nell’articolo 581 del codice di procedura penale, i commi 1-ter e 1-quater: il comma 1-ter stabilisce, testualmente, che “con l’atto di impugnazione RAGIONE_SOCIALE parti private e dei difensori è depositata, a pena di inammissibilità, la dichiarazione o elezione di domicilio, ai fella notificazione del decreto di citazione a giudizio”; il comma 1-quater stabilisce, a sua volta, che “nel caso di imputato rispetto al quale si è proceduto in assenza, con l’atto di impugnazione del difensore è depositato, a pena d’inammissibilità, specifico mandato ad impugnare, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza e contenente la dichiarazione o l’elezione di domicilio dell’imputato, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio”.
Con riguardo alla seconda previsione, si è osservato che proprio la condizione di assenza dell’imputato nel giudizio a quo, ha indotto il legislatore del 2022 a richiedere che l’atto di impugnazione sia corredato da uno specifico mandato conferito al difensore in data successiva alla sentenza da impugnare; e ciò al chiaro ed evidente fine di garantire che,, in tal caso, proprio perché l’imputato era stato assente, l’impugnazione fosse il frutto consapevole di un’opzione ponderata e personale della parte, da rinnovarsi, per l’appunto, “in limine impugnationis”.
Questa Corte ha già avuto modo di giudicare manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale variamente evidenziate con riguardo alla normativa di cui si discute (cfr., per tutte, Sez. 4 – , n. 43718 del 11/10/2023, COGNOME, Rv. 285324 – 01, richiamata dalla difesa del COGNOME nella memoria trasmessa in prossimità dell’udienza e che, per l’appunto, ha giudicato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 581, commi 1-ter e 1-quater, cod. proc. pen., introdotti dagli artt. :33 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, e dell’art. 89, comma 3, del medesimo d.lgs., per contrasto con gli artt. 3, 24, 27, 111 Cost. e art. 6 CEDU, nella parte in cui richiedono, a pena di inammissibilità dell’appello, che, anche nel caso in cui si sia proceduto in assenza dell’imputato, unitamente all’atto di appello, sia depositata la dichiarazione o
l’elezione di domicilio, ai fini della notificazione dell’atto di citazione, e lo specif mandato ad impugnare rilasciato successivamente alla sentenza, trattandosi di scelta legislativa non manifestamente irragionevole, volta a limitare le impugnazioni che non derivano da un’opzione ponderata e personale della parte ed essendo stati comunque previsti i correttivi dell’ampliamento del termine per impugnare e dell’estensione della restituzione nel termine; conf., tra le non massimate., Sez. 4., n. 674 del 2024, ud. 19.12.2023, Curt Florin; Sez. 6, n. 223 del 2024, ud. 7.11.2023, Sechovcov; Sez. 4, n. 37 del 2024, ud. 14.12.2023, Mallia).
Rileva il collegio che un’interpretazione non formalistica della disposizione consentirebbe certamente di ritenere valida una dichiarazione o elezione di domicilio che, pur non “contenuta” nel contesto del mandato difensivo, sia tuttavia coeva ad esso e ad esso allegata.
Quel che si richiede, per colui che sia stato assente nel giudizio a quo, è che l’impugnazione sia accompagnata da uno specifico mandato ad impugnare e una dichiarazione o elezione di domicilio poiché l’esigenza ravvisata dal legislatore è, come si è detto, quella di esigere che l’impugnazione sia frutto di una scelta consapevole attraverso una dichiarazione o elezione di domicilio, certamente funzionale a garantire una efficiente e spedita organizzazione RAGIONE_SOCIALE attività RAGIONE_SOCIALE Cancellerie ma, soprattutto, a garantire un “collegamento” reale tra l’imputato ed il processo a suo carico.
2. Il ricorso è comunque articolato su censure manifestamente infondate.
2.1 Tale è, infatti, il primo motivo avendo la Corte territoriale, in replica alla medesima censura articolata con l’atto appello, osservato che “… l’esame della denuncia di furto evidenzia come l’autovettura era parcheggiata sulla pubblica via ed in particolare davanti il cancello d’entrata della proprietà della vittima del furto …”; i giudici di secondo grado hanno inoltre richiamato la giurisprudenza di questa Corte aggiungendo che “… solo nel caso in cui l’autovettura sia munita di dispositivi di antifurto può ritenersi esclusa l’esposizione del veicolo alla ubblica fede” (cfr., pag. 2 della sentenza).
A fronte di questa motivazione, il ricorso si limita a sostenere che l’aggravante della esposizione alla pubblica fede non poteva ritenersi integrata laddove, come nel caso di specie, il proprietario, per libera scelta e senza esServi costretto da circostanze esterne, abbia lasciato la vettura con le portiere aperte e la chiave di accensione inserita nel cruscotto.
Il rilievo contrasta con l’orientamento assolutamente prevalente della giurisprudenza di questa Corte secondo cui non ha rilevanza, per la sussistenza della aggravante in discorso la circostanza che il proprietario abbia lasciato le chiavi sul veicolo, non presupponendo essa la predisposizione di un qualsiasi mezzo di difesa (cfr., tra le altre, Sez. 5, n. 22194 del 06/12/2016 – dep. 2017, B., Rv. 270122 – 01; Sez. 3, n. 35872 del 08/05/2007, Alia, Rv. 237286 – 01; Sez. 2, n. 164 del 09/11/1988 – dep. 1990, Corrente, Rv. 183007 – 01; tra le non massimate, Sez. 5, n. 1803 del 16.11.2021, COGNOME; Sez. 7, n. 31035 del 6.7.2021, COGNOME; Sez. 4, n. 21037 del 25.1.2018, COGNOME; Sez. 5, n. 38988 del 22.6.2023, COGNOME).
2.2 Manifestamente infondato è anche il secondo motivo avendo la Corte territoriale evocato, sia pure al fine di giustificare il complessivo trattamento sanzionatorio, l’esistenza di plurimi precedenti penali anche per reati specifici che, alla luce del certificato penale in atti, rendevano certamente impraticabile e precludevano il riconoscimento del sollecitato beneficio.
L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., della somma – che si stima equa – di euro 3.000 in favore della RAGIONE_SOCIALE, non ravvisandosi ragione alcuna d’esonero.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE.
Così deciso in Roma, il 13.2.2024