Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 35854 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 35854 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 03/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nata a Napoli il 07/06/1968
avverso la sentenza del 29/02/2024 della Corte di appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso; lette le memorie di replica depositate il 25 giugno 2024 dall’Avvocato NOME
NOME nell’interesse dell’imputata.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Napoli ha dichiarato la inammissibilità per genericità dell’appello proposto da COGNOME NOME avverso la sentenza n. 4540/2015 del 11 marzo 2015 dei Tribunale di Napoli, disponendo l’esecuzione del provvedimento impugnato.
L’imputata è stata riconosciuta in primo grado colpevole per il reato di calunnia e condannata alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione oltre alle statuizioni civili.
La Corte d’appello ha dato atto che il difensore, nei motivi d’appello, si era limitato a chiedere l’assoluzione della propria assistita per insufficienza della prova, oltre ogni ragionevole dubbio, del dolo o della malafede, nonché, quanto alla pena, la riduzione al minimo edittale della stessa. Ciò, senza confrontarsi con l’articolata motivazione della sentenza impugnata, che fondava gli elementi di colpevolezza psicologica e di commissione materiale sulla accertata consegna da parte della Perfetti, quale corrispettivo per l’acquisto di merci, alla persona offesa – che emetteva fattura – di un assegno pari a euro 14.817,60, tratto sul proprio conto corrente, titolo poi protestato e rimasto impagato per averne l’imputata falsamente denunciato lo smarrimento.
La Corte d’appello ha evidenziato, inoltre, che l’imputata non aveva neanche prospettato una possibile ricostruzione alternativa della vicenda.
Quanto alla pena, la Corte territoriale ha sottolineato la carenza di interesse della Perfetti, essendo stata erogata una pena base pari al minimo edittale e concesse le circostanze attenuanti generiche nella loro massima estensione.
Avverso la sentenza ricorre per cassazione la Perfetti, deducendo i seguenti motivi.
2.1. Violazione di legge processuale in relazione all’art. 591 cod. proc. pen., giacché l’atto di appello conterrebbe esplicita richiesta di riforma della sentenza impugnata, seppure con il solo riferimento a una richiesta di assoluzione, nonché alla determinazione della pena inflitta. La ricorrente, in particolare, non avrebbe inteso porre in contestazione la dinamica dei fatti, anzi avrebbe collaborato sin dall’origine del procedimento, a conclusione del quale, però, non sarebbe stato acquisito materiale probatorio sufficiente.
Per ciò che concerne il motivo sulla pena, la difesa ha evidenziato che la ricorrente si era limitata a richiamare quelle condotte che lo stesso Giudice di primo grado aveva riconosciuto in sentenza, evidenziando come le stesse potessero legittimare un trattamento più favorevole.
2.2. Violazione di legge con riferimento all’art. 129 cod. proc. pen.
Il Collegio d’appello avrebbe pronunciato la declaratoria di inammissibilità per genericità di motivi, seppur in presenza di una già maturata causa estintiva del reato per intervenuta prescrizione.
2.3.Violazione di legge per inosservanza del principio procedurale del tempus regit actum di cui all’art. 11 delle Preleggi. La Corte d’appello dichiarava la inammissibilità dell’appello per genericità dei motivi alla luce della giurisprudenza
di nuova introduzione, alla quale faceva poi seguito l’entrata in vigore della legge 27 settembre 2021, n. 134; l’impugnazione fondava le sue origini sulla sentenza emessa dal Tribunale di Napoli 1’11 marzo 2015, data antecedente all’entrata in vigore della legge cit.
La difesa ha richiamato, sul punto, il principio giurisprudenziale in base al quale, ai fini della individuazione del regime applicabile in materia di impugnazioni, allorché si succedano nel tempo diverse discipline e non si è espressamente regolato con disposizione transitoria il passaggio dall’una all’altra, il principio del tempus regit actum impone di fare riferimento al momento della emissione del provvedimento impugnato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile,
Il primo motivo è manifestante infondato,essendo pacifica la genericità dell’appello, con il quale la ricorrente si era limitata a richiedere l’assoluzione pe insufficienza del materiale probatorio a provare la sua responsabilità in relazione al reato di calunnia. Altrettanto generico era il motivo sulla riduzione della pena, in relazione al quale, peraltro, vi era carenza di interesse, essendo la pena già stata determinata nel minimo.
3. Il secondo motivo è anch’esso manifestamente infondato.
Occorre evidenziare che l’inammissibilità del ricorso per cassazione preclude la possibilità di rilevare d’ufficio, ai sensi degli artt. 129 e 609, comma 2, cod. proc. pen., l’estinzione del reato per prescrizione maturata in data anteriore alla pronuncia della sentenza di appello, ma non rilevata né eccepita in quella sede e neppure dedotta con i motivi di ricorso (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015 -dep. 25/03/2016-, COGNOME, Rv. 266818).
L’art. 129 cod. proc. pen. non riveste, infatti, una valenza prioritaria rispetto alla disciplina della inammissibilità, attribuendo al giudice dell’impugnazione un autonomo spazio decisorio svincolato dalle forme e dalle regole che presidiano i diversi segmenti processuali, ma enuncia semplicemente una regola di giudizio, che deve essere adattata alla struttura del processo e che presuppone la proposizione di una valida impugnazione.
In particolare, «Tutte le ipotesi di inammissibilità previste, in via generale, dall’art. 591, comma 1, lett. a), b), c), cod. proc. pen., e, con riguardo specifico al ricorso per cassazione, dall’art. 606, comma 3, cod. proc. pen. viziano geneticamente l’atto, che, ponendosi al di fuori della cornice normativa di
riferimento, provoca la reazione dell’ordinamento con la corrispondente sanzione, quale risposta ad un potere di parte non correttamente esercitato».
Da ciò consegue che:
-la valutazione di ammissibilità dell’impugnazione deve precedere logicamente e cronologicamente lo scrutinio circa la fondatezza dei motivi proposti e l’eventuale decisione di merito ex art. 129 cod. proc. pen.;
-soltanto l’accertata ammissibilità dell’impugnazione investe il giudice del potere decisorio sul merito del processo;
al contrario, la declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione preclude una qualsiasi pronuncia sul merito. La porzione di processo che si svolge tra il momento in cui si sollecita l’instaurazione del grado superiore di giudizio e quello in cui tale sollecitazione è dichiarata inammissibile rimane circoscritta al solo accertamento della questione processuale relativa alla sussistenza del presupposto di ammissibilità e, in difetto di questo, non riserva spazio ad altre decisioni;
la sentenza invalidamente impugnata diventa intangibile sin dal momento in cui si concretizza la causa di inammissibilità e la successiva declaratoria d’inammissibilità della impugnazione da parte del giudice ad quem ha carattere meramente ricognitivo di una situazione già esistente e determina la formazione del giudicato formale;
l’inammissibilità dell’impugnazione, quindi, paralizza, sin dal suo insorgere, i poteri decisori del giudice, il quale, al di là dell’accertamento di tale prof processuale, non è abilitato a occuparsi del merito e a rilevare, a norma dell’art. 129 cod. proc. pen., cause di non punibilità, quale l’estinzione del reato per prescrizione, sia se maturata successivamente alla sentenza impugnata sia se verificatasi in precedenza, nel corso, cioè, del giudizio definito con tale sentenza, destinata a rimanere immodificabile, proprio perché contrastata da una impugnazione inammissibile.
«È il caso di sottolineare che non può farsi leva, a sostegno dell’opposta tesi, sulla ratio ispiratrice dell’art. 129 cod. proc. pen. per trarre argomenti decisivi a favore della prevalenza della declaratoria di non punibilità. Tale norma non riveste una valenza prioritaria rispetto alla disciplina della inammissibilità considerato che non attribuisce, di per sé, al giudice dell’impugnazione un autonomo spazio decisorio, svincolato dalle forme e dalle regole che presidiano i diversi segmenti processuali, ma si limita a dettare una regola di giudizio, che deve essere adattata alla struttura del processo per come normativamente disciplinata e che deve guidare il giudice nell’esercizio dei poteri decisori che già gli competono in forza di una corretta investitura» (Sez. U, n. 12283 del 25/01/2005, COGNOME, Rv. 230529).
E’ in questa cornice positiva che va letta e apprezzata la ratio dell’art. 129
cod. proc. pen., che persegue certamente gli obiettivi del favor innocentiae
e
dell’economia processuale (immediata declaratoria di cause di non punibilità), ma nell’ambito di ben individuate scansioni processuali.
Proprio alla luce di principi sopra richiamati, non è consentito a questa Corte rilevare la prescrizione non eccepita né rilevata in grado di appello.
4.11 terzo motivo è manifestamente infondato.
Costituisce principio giurisprudenziale, già consolidato all’epoca delle decisioni di merito, quello secondo il quale l’appello, al pari del ricorso per cassazione, è
inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatt
o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata (Sez. U, n. 8825 del
27/10/2016 -dep. 22/02/2017-, COGNOME Rv. 268822 – 01).
La “Riforma Cartabia”, pertanto,
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non ha fatto altro che codificare la giurisprudenza consolidatasi con la sentenza COGNOME, sopra richiamata.
5. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna dell’imputata al pagamento delle spese processuali. In ragione delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che si ravvisano ragioni di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve, altresì, disporsi che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila a favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 3 luglio 2024
Il Consigferè estensore
Il Presidente