Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 8650 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 8650 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Monza il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 27/3/2023 della Corte d’appello di Brescia visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità del ricorso; udito per il ricorrente l’AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 27 marzo 2023 la Corte d’appello di Brescia ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da NOME COGNOME nei confronti della sentenza del 21 aprile 2022 del Tribunale di Bergamo, con la quale, a seguito di giudizio ordinario, lo stesso COGNOME era stato condannato alla pena di tre anni di reclusione in relazione ai reati di cui agli artt. 81, secondo comma, cod. pen. e 5 d.lgs. n. 74 del 2000 (per avere, quale presidente del consiglio di amministrazione della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e a fine di evasione, omesso di presentare le dichiarazioni iva e ires per gli anni 2014 e 2015 relative a tale società, con una evasione complessiva di imposte pari a euro 811.334,74; capo A della rubrica), e 10 quater, secondo comma, d.lgs. n. 74 del 2000 (per avere, nella medesima qualità, utilizzato in compensazione con debiti previdenziali e assistenziali crediti inesistenti dell’ammontare di euro 118.714,21; capo B).
Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, mediante l’AVV_NOTAIO, affidato a tre motivi.
2.1. Con il primo motivo ha denunciato la violazione dell’art. 581 cod. proc. pen. e un vizio della motivazione, nella parte relativa alla dichiarazione di inammissibilità dell’appello a causa della sua ritenuta genericità, in quanto, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d’appello, nell’atto di gravame erano state chiaramente individuate le doglianze proposte nei confronti della pronuncia di primo grado, lamentando un’errata ricostruzione dei fatti da parte del primo giudice, chiedendo una nuova valutazione delle prove da parte della Corte d’appello, con la conseguente sufficiente specificità dell’atto d’appello, che non deve necessariamente contenere elementi nuovi rispetto agli argomenti difensivi sviluppati nel corso del giudizio di primo grado.
2.2. In secondo luogo, ha denunciato la mancata assunzione di una prova decisiva, costituita dalla acquisizione della ricevuta di invio telematico della dichiarazione 2015, relativa all’anno d’imposta 2014, attestante l’avvenuto adempimento degli obblighi tributari gravanti sulla cooperativa amministrata dal ricorrente, costituente elemento decisivo in ordine alla prova di entrambi i reati ascritti al ricorrente, per la quale, contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, la difesa dell’imputato aveva insistito, avendo, tra l’altro, carattere di decisività, perché avrebbe permesso di escludere la responsabilità dell’imputato.
2.3. Infine, con un terzo motivo, ha lamentato la violazione, per erronea applicazione, dell’art. 10 quater d.lgs. n. 74 del 2000, con riferimento alla affermazione della inesistenza dei crediti utilizzati in compensazione, benché nella stessa sentenza impugnata vi sia il riferimento alle fatture che determinano
l’esistenza di tali crediti, con la conseguenza che doveva escludersi l’inesistenza di detti crediti, per la quale deve mancare il presupposto costitutivo e l’inesistenza non deve poter essere riscontrabile con controlli automatizzati o formali dei dati dell’anagrafe tributaria (si richiamano le sentenze nn. 34444 e 34445 del 2021), mentre i crediti in questione emergerebbero da alcuni dati contabili e quindi avrebbero dovuto essere considerati non spettanti, con la conseguente necessità di riqualificare la condotta nella meno grave ipotesi di cui al primo comma dell’art. 10 quater d.lgs. n. 74 del 2000.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
La GLYPH Corte GLYPH d’appello di GLYPH Brescia GLYPH ha dichiarato GLYPH l’inammissibilità dell’impugnazione proposta dall’imputato in considerazione della genericità di tutti i motivi ai quali la stessa è stata affidata, evidenziandole la inidoneità a critica specificamente le ragioni poste a fondamento della decisione di primo grado.
Va, dunque, in premessa, ricordato che l’appello, al pari del ricorso per cassazione, è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragi di fatto, o di diritto, poste a fondamento della decisione impugnata, fermo restando che tale onere di specificità, a carico dell’impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato (Sez. Un., n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822).
In altri termini, la specificità che deve caratterizzare i motivi di appello, seppu valutata alla luce del principio del favor impugnationis, deve comunque contrapporre alle ragioni poste a fondamento della decisione impugnata argomentazioni che attengano agli specifici passaggi della motivazione della sentenza ovvero concreti elementi fattuali pertinenti a quelli considerati dal primo giudice, e non può quindi limitarsi a confutare semplicemente il decisum del primo giudice con considerazioni generiche ed astratte.
Si è stabilito, ancora, che si può dichiarare l’inammissibilità dell’impugnazione quando i motivi difettino di specificità o non siano validamente argomentati o quando essi non affrontino la motivazione spesa nella sentenza impugnata, (Sez. 4, n. 36533 del 15/09/2021, COGNOME, Rv. 281978; conf. Sez. 5, n. 11942 del 25/02/2020, COGNOME, Rv. 278859; Sez. 5, n. 34504 del 25/5/2018, COGNOME, Rv. 273778).
Nel caso in esame la Corte d’appello di Brescia, nel rilevare l’inammissibilità della impugnazione dell’imputato, ne ha sottolineato la genericità, sia per la mancanza di censure quanto al reato di cui al capo b); sia perché i rilievi sollevati con tale atto attenevano solamente all’elemento soggettivo del reato di cui al capo a), che sarebbe stato ritenuto sussistente solamente in considerazione della carica rivestita dal ricorrente, omettendo però di considerare l’ampia motivazione su tale punto contenuta nella sentenza di primo grado, nella quale sono stati illustrati i plurimi elementi dimostrativi del concreto esercizio dei poteri gestori attribuiti a ricorrente, quale presidente del consiglio di amministrazione della RAGIONE_SOCIALE, sottolineando che egli intratteneva regolarmente e anche da solo i rapporti con clienti, fornitori e dipendenti; sia perché le censure in ordine a trattamento sanzionatorio consistevano esclusivamente nella richiesta di mitigazione di tale trattamento e nella asserzione della sua eccessività, disgiunte da qualsiasi considerazione di quanto esposto su tale punto nella sentenza di primo grado: non essendo stati considerati tali argomenti, costituenti la ratto decidendi della sentenza di primo grado oggetto dell’impugnazione del ricorrente, la Corte d’appello ne ha rilevato la mancanza di specificità, per la sua inidoneità a criticare, in modo argomentato, le ragioni della decisione impugnata.
Si tratta di considerazioni conformi al ricordato orientamento interpretativo, circa la struttura e il contenuto che deve possedere l’atto d’appello per poter essere ritenuto ammissibile, che il ricorrente ha censurato, nuovamente, in modo generico, limitandosi ad affermare, in modo assertivo, la sufficiente specificità del proprio atto d’appello, nel quale sarebbero state indicate in modo non equivoco le censure proposte nei confronti della sentenza di primo grado, senza, tuttavia, considerare il contenuto della sentenza di primo grado, né illustrare quanto esposto nell’atto d’appello per censurarla (se non che era stata chiesta una nuova valutazione delle prove acquisite), e senza confrontarsi in modo critico con quanto ampiamente esposto nella sentenza impugnata per illustrare le ragioni della ritenuta genericità dell’atto d’appello, cosicché anche il motivo di ricorso con cui si censura la valutazione di genericità dell’atto d’appello risulta inammissibile per mancanza di specificità, sia intrinseca, non essendo state illustrate le ragioni per le quali tale atto avrebbe dovuto essere considerato sufficientemente specifico (essendosi il ricorrente limitato ad affermare di aver indicato nell’atto d’appello in modo non equivoco le doglianze proposte contro la sentenza di primo grado); sia estrinseca, essendo privo di confronto, tantomeno critico, con le ragioni della decisione impugnata.
Il secondo motivo di ricorso, oltre che anch’esso generico, essendo privo di confronto con il complesso degli elementi di prova considerati nelle sentenze di merito per addivenire alla affermazione di responsabilità dell’imputato in relazione
a entrambe le annualità di imposta alle quali si riferisce la contestazione di cui al capo a), oltre che della illustrazione della decisività della prova della cui mancata acquisizione il ricorrente si duole, è manifestamente infondato, in quanto la Corte d’appello ha dato atto della esaustività dell’istruttoria e della sua completezza e della mancanza di decisività della richiesta rinnovazione istruttoria, sottolineando che detta richiesta non solo non era stata formulata nell’atto di impugnazione, ma non era stata nemmeno proposta all’atto della formulazione delle conclusioni, non avendo richiesto la parte onerata di produrre il relativo documento, ex art. 603 cod. proc. pen.
Inoltre, la Corte territoriale ha ritenuto superata la decisività del documentazione della cui mancata acquisizione il ricorrente si duole dalla ricostruzione operata nella sentenza impugnata ai fini della prova della mancata tempestiva presentazione della dichiarazione iva per la annualità 2014 e ha riaffermato la sufficienza, ai fini dell’accertamento della omessa presentazione (con riferimento all’anno 2014 cui la attestazione si riferirebbe), degli accertamenti del funzionario dell’Agenzia delle Entrate e del teste della Guardia di finanza, con argomentazioni chiare ed esaustive, non contrapposte dal ricorrente, che si è limitato a dolersi di detta mancata acquisizione, senza considerare quanto esposto nella sentenza di primo grado e ribadito in quella d’appello (a proposito degli elementi di prova acquisiti circa la mancata presentazione tempestiva delle dichiarazioni relative agli anni d’imposta 2014 e 2015).
Ne consegue l’inammissibilità anche di tale motivo di ricorso, a causa della sua genericità e della sua manifesta infondatezza.
5. Il terzo motivo, relativo alla errata applicazione dell’art. 10 quater d.lgs. n. 74 del 2000, che deriverebbe dalla erroneità della affermazione della inesistenza dei crediti portati in compensazione dalla società cooperativa amministrata dall’imputato, è inammissibile, non essendo stato oggetto di impugnazione l’affermazione di responsabilità in ordine al reato di indebita compensazione di cui al capo b) ed essendo, pertanto inammissibile, ai sensi dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen., il motivo di impugnazione con cui, come nel caso in esame, venga dedotta una violazione di legge che non sia stata eccepita nemmeno con l’atto di appello (cfr. Sez. 2, n. 17693 del 17/01/2018, COGNOME, Rv. 272821; Sez. 2, n. 53630 del 17/11/2016, COGNOME, Rv. 268980; Sez. 5, n. 4184 del 20/11/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262180; Sez. 3, n. 21920 del 16/05/2012, COGNOME, Rv. 252773).
Il ricorso deve, in conclusione, essere dichiarato inammissibile, a cagione della genericità e della manifesta infondatezza di tutte le censure alle quali è stato affidato.
L’inammissibilità originaria del ricorso esclude il rilievo della eventuale prescrizione verificatasi successivamente alla sentenza di secondo grado, giacché detta inammissibilità impedisce la costituzione di un valido rapporto processuale di impugnazione innanzi al giudice di legittimità, e preclude l’apprezzamento di una eventuale causa di estinzione del reato intervenuta successivamente alla decisione impugnata (Sez. un., 22 novembre 2000, n. 32, COGNOME, Rv. 217266; conformi, Sez. un., 2/3/2005, n. 23428, COGNOME, Rv. 231164, e Sez. un., 28/2/2008, n. 19601, COGNOME, Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8.5.2013, Rv. 256463; Sez. 2, n. 53663 del 20/11/2014, COGNOME Scalora, Rv. 261616; nonché Sez. U, n. 6903 del 27/05/2016, dep. 14/02/2017, Aiello, Rv. 268966).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso il 17/1/2024