Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 6087 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 6087 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 22/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il 24/07/1996
avverso la sentenza del 22/05/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria a firma del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto di rigettare il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La sentenza impugnata è stata pronunziata il 22 maggio 2024 dalla Corte di appello di Bologna, che ha dichiarato inammissibile l’appello presentato da NOME COGNOME avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Modena, all’esito di rito abbreviato, l’aveva condannato per il reato di cui all’art. 624 cod. pen.
Secondo l’ipotesi accusatoria, ritenuta fondata dai giudici di merito, l’imputato, mentre si trovava all’interno della sala del “Bowling Club” di Savignano, avrebbe scavalcato il bancone del bar dell’esercizio commerciale e si sarebbe impossessato della somma di denaro di euro 4.000,00 e due carte di versamento, rilasciate da “Unicredit S.p.a.”, riposte all’interno della cassa.
La Corte di appello ha dichiarato l’inammissibilità dell’impugnazione per difetto di specificità estrinseca, non essendosi l’appellante in alcun modo confrontato con la motivazione della sentenza di primo grado.
Avverso la sentenza della Corte di appello, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore di fiducia.
2.1. Con un unico motivo, articolato in più censure, deduce i vizi di motivazione, di erronea applicazione della legge penale e di inosservanza di norme processuali, in relazione agli artt. 624 cod. pen. e 127, 178, 581, 597 e 598-bis cod. proc. pen.
Con una prima censura, sostiene che l’atto di appello non sarebbe stato affatto inammissibile, atteso che la difesa, con il primo motivo, aveva specificamente dedotto l’inconsistenza degli elementi posti dalla sentenza di primo grado a fondamento del giudizio di responsabilità e, con il secondo motivo, aveva contestato l’entità della pena applicata e il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.
Con una seconda censura, sostiene che mancherebbe la necessaria condizione di procedibilità.
Il titolare dell’esercizio commerciale, COGNOME COGNOME, infatti, avrebbe presentato una mera denuncia, chiedendo la punizione dell’autore del furto. Sotto altro profilo, sostiene che il denunciante sarebbe stato anche privo di legittimazione a proporre querela, atteso che il denaro e le carte (una sola delle quali era riconducibile al titolare dell’esercizio commerciale) erano risposte in un borsello appartenente a persona ignota.
Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni scritte, ha chiesto di rigettare il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere rigettato, atteso che l’unico motivo di ricorso, in tutte le censure nelle quali si articola, è infondato.
1.1. La prima censura è infondata.
La Corte di appello, invero, ha correttamente rilevato che il motivo di appello con il quale la difesa aveva contestato il giudizio di responsabilità era privo di specificità estrinseca. L’appellante, infatti, aveva sostenuto che i testi COGNOME e COGNOME si sarebbero limitati a riconoscere un soggetto assiduo frequentatore del locale, che, secondo il COGNOME, la sera in cui era stato perpetrato il furto, sarebbe stato presente all’interno della sala giochi. Formulando in tal modo il motivo di gravame, però, l’appellante non si era confrontato con la sentenza di primo grado, nella parte in cui il Tribunale aveva affermato che i testi COGNOME e COGNOME, visionando le immagini del sistema di videosorveglianza, avevano riconosciuto nell’imputato la persona che aveva scavalcato il bancone, per impossessarsi del denaro contenuto nella cassa.
Così come correttamente la Corte di appello ha rilevato l’analogo vizio che affliggeva l’altro motivo di appello, con il quale la difesa aveva chiesto l’applicazione del minimo edittale e il riconoscimento delle attenuanti generiche, invocando la giovane età e la regolare condotta di vita dell’imputato nonché l’irrilevanza del fatto che quest’ultimo aveva interrotto la procedura di messa alla prova. La Corte territoriale, invero, ha rilevato che: la giovane età e la regolare condotta di vita dell’imputato erano state già adeguatamente valutate dal giudice di primo grado per giustificare una pena «in corrispondenza del minimo edittale, seppur non in perfetta coincidenza con esso»; il Tribunale aveva rilevato che il danno arrecato alla persona offesa, l’interruzione volontaria della messa alla prova e l’assenza di altri elementi di rilievo non consentivano il riconoscimento delle attenuanti generiche; l’irrilevanza dell’interruzione della messa alla prova era stata meramente asserita dall’appellante, senza addurre adeguate argomentazioni a supporto di tale affermazione.
Al riguardo, va ribadito che, «in tema di impugnazioni, è inammissibile, per difetto di specificità del motivo, l’atto di appello con cui il ricorrente si lim contestare un punto della decisione, senza indicare le ragioni, di fatto o di diritto, in base alle quali non sarebbero condivisibili le valutazioni del giudice di primo grado» (Sez. 4, n. 36154 del 12/09/2024, COGNOME, Rv. 287205; Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, COGNOME, Rv. 268822).
1.2. La censura relativa alla condizione di procedibilità è infondata.
È vero, infatti, che, in atti, vi è solo un verbale di ricezione di denuncia orale ma è altrettanto vero che, come ammesso dallo stesso ricorrente, nell’ambito di esso, si dà specificamente atto del fatto che la persona offesa chiede la punizione dell’autore del reato.
Al riguardo, deve essere ribadito che, in tema di reati non perseguibili d’ufficio, è sufficiente per la validità della querela che il querelante formuli l’istan di punizione in ordine a un fatto-reato, non essendo necessario che la volontà di
punizione della persona offesa sia manifestata mediante formule particolari (cfr. Sez. 5, n. 2665 del 12/10/2021, Baia, Rv. 282648; Sez. 4, n. 8486 del 02/03/2022, COGNOME, Rv. 282760).
Quanto alla legittimazione a presentare la querela, va rilevato che, sia dal verbale di ricezione della denuncia che dal verbale di sommarie informazioni testimoniali rese dal COGNOME, emerge che oggetto del furto era il contenuto della cassa del locale pubblico, rispetto al quale il titolare dell’esercizio commerciale era sicuramente legittimato a presentare querela, in veste di persona offesa.
Al rigetto del ricorso per cassazione, consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, il 22 novembre 2024.