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Appello fini civili: Cassazione sulla Riforma Cartabia

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5939/2024, ha rigettato il ricorso di una parte civile che chiedeva il risarcimento danni a seguito di un’assoluzione per diffamazione. La Corte ha stabilito che la nuova norma sull’appello fini civili, introdotta dalla Riforma Cartabia, non è retroattiva e si applica solo alle costituzioni di parte civile successive al 30 dicembre 2022. Ha inoltre ritenuto non decisive le prove di diffamazione presentate, inclusa una presunta confessione dell’imputato.

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Pubblicato il 31 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Appello Fini Civili: La Cassazione e l’Applicazione della Riforma Cartabia

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 5939/2024) offre un’importante chiarificazione sull’applicazione di una delle novità introdotte dalla Riforma Cartabia: la gestione dell’appello ai soli fini civili nel processo penale. Il caso analizzato riguarda il ricorso di una parte civile contro una sentenza di assoluzione per il reato di diffamazione, sollevando questioni sia procedurali che di merito.

I Fatti del Processo

Il procedimento nasceva da accuse di percosse e diffamazione. In primo grado, l’imputato veniva assolto dall’accusa di diffamazione perché il fatto non sussiste e da quella di percosse per difetto di querela. La parte civile, ovvero la persona offesa costituitasi per ottenere il risarcimento dei danni, decideva di impugnare la sentenza di assoluzione. L’appello, proposto esclusivamente per le statuizioni civili, veniva rigettato dal Tribunale di Roma in funzione di giudice d’appello. Di conseguenza, la parte civile proponeva ricorso per Cassazione.

I Motivi del Ricorso e l’Appello ai Fini Civili

Il ricorso in Cassazione si basava su tre motivi principali:

1. Violazione di legge processuale: La ricorrente sosteneva che il giudice penale d’appello avrebbe dovuto trasferire il caso al giudice civile competente, come previsto dal nuovo art. 573, comma 1-bis, del codice di procedura penale, introdotto dalla Riforma Cartabia.
2. Vizio di motivazione: La Corte d’Appello non avrebbe adeguatamente considerato una dichiarazione dell’imputato che, secondo la parte civile, aveva un chiaro valore confessorio riguardo alla condotta diffamatoria.
3. Omessa valutazione di prova decisiva: Collegato al punto precedente, si lamentava la mancata valutazione della suddetta dichiarazione come prova decisiva per accertare la sussistenza della diffamazione.

La questione dell’Appello ai Fini Civili dopo la Riforma Cartabia

Il punto più rilevante della sentenza riguarda l’interpretazione del nuovo articolo 573, comma 1-bis, c.p.p. Questa norma stabilisce che quando una sentenza penale viene impugnata solo per gli interessi civili, il giudice dell’impugnazione deve rinviare il caso al giudice civile competente. La Cassazione, tuttavia, ha chiarito un aspetto temporale cruciale per l’applicazione di questa regola.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, condannando la ricorrente al pagamento delle spese processuali. La decisione si fonda su un’analisi puntuale di tutti i motivi di ricorso, fornendo principi di diritto di notevole interesse pratico.

Le Motivazioni

Per quanto riguarda il primo motivo, la Corte ha stabilito che la nuova disciplina dell’appello ai soli fini civili non è retroattiva. Citando una precedente pronuncia delle Sezioni Unite (n. 38481/2023), ha affermato che l’art. 573, comma 1-bis, si applica esclusivamente alle impugnazioni relative a giudizi in cui la costituzione di parte civile è avvenuta in una data successiva al 30 dicembre 2022, data di entrata in vigore della norma. Poiché nel caso di specie la costituzione era precedente, la vecchia procedura rimaneva valida e il giudice penale era competente a decidere.

In relazione al secondo e terzo motivo, relativi alla presunta confessione e alla prova della diffamazione, la Corte li ha ritenuti infondati. I giudici hanno osservato che le doglianze erano generiche, in quanto non specificavano il contenuto dei messaggi WhatsApp o delle testimonianze che si assumevano trascurate. Soprattutto, la Corte ha analizzato la dichiarazione dell’imputato, concludendo che non avesse un reale valore confessorio. La dichiarazione era vaga, non indicava comunicazioni a una pluralità di persone (elemento essenziale della diffamazione) e non specificava contenuti oggettivamente lesivi della reputazione. Pertanto, non era un elemento “decisivo” in grado di ribaltare la valutazione complessiva delle prove fatta dai giudici di merito.

Le Conclusioni

La sentenza n. 5939/2024 della Corte di Cassazione consolida due principi importanti. In primo luogo, definisce chiaramente l’ambito di applicazione temporale della nuova norma sull’appello ai soli fini civili, escludendone l’applicazione retroattiva e ancorandola alla data della costituzione di parte civile. In secondo luogo, ribadisce che, per contestare una valutazione probatoria in sede di legittimità, non è sufficiente indicare un elemento trascurato, ma è necessario dimostrare che tale elemento abbia un carattere di “decisività”, tale da poter da solo cambiare l’esito del giudizio. Una dichiarazione generica, anche se proveniente dall’imputato, non possiede automaticamente tale caratteristica.

La nuova regola sull’appello ai soli fini civili della Riforma Cartabia si applica a tutti i processi?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che la nuova norma (art. 573, comma 1-bis, c.p.p.), che prevede il rinvio al giudice civile, si applica solo ai giudizi in cui la costituzione di parte civile è avvenuta dopo il 30 dicembre 2022.

Una dichiarazione dell’imputato è sempre considerata una confessione decisiva?
No. Secondo la sentenza, una dichiarazione per essere considerata una prova decisiva di natura confessoria deve essere specifica e contenere elementi univoci che provino il fatto contestato. Una dichiarazione generica, che non chiarisce aspetti essenziali del reato (come, nel caso della diffamazione, la comunicazione a più persone e il contenuto lesivo), non è sufficiente a scardinare la valutazione complessiva delle prove fatta dal giudice.

Cosa deve fare la parte civile per contestare validamente un’assoluzione in Cassazione?
La parte civile deve presentare motivi di ricorso specifici e non generici. Se contesta la valutazione delle prove, deve dimostrare che gli elementi trascurati o mal valutati dal giudice di merito hanno un carattere di “decisività”, cioè sono così importanti da poter, da soli, portare a una decisione diversa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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