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Appello del PM su condanna: quando è possibile?

La Corte di Cassazione chiarisce i limiti dell’impugnazione del Pubblico Ministero. In un caso di detenzione di stupefacenti, il Tribunale aveva derubricato il reato a fatto di lieve entità. Il PM ha proposto ricorso per cassazione, ma la Corte lo ha convertito in appello. La sentenza stabilisce che le censure sulla completezza della base probatoria e sulla logicità della motivazione integrano un vizio di motivazione, da far valere con l’appello e non con il ricorso. Si conferma che l’appello del PM è ammissibile se la condanna modifica il titolo del reato.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Appello del PM: Quando è Legittimo Impugnare una Condanna?

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 7294/2024) offre un importante chiarimento sui confini e le modalità dell’impugnazione da parte della pubblica accusa. Il caso analizzato riguarda la possibilità di presentare un appello del PM avverso una sentenza di condanna che abbia modificato il titolo del reato, trasformandolo in un’ipotesi meno grave. La decisione della Suprema Corte è cruciale per comprendere la distinzione tra vizio di motivazione e violazione di legge, e la conseguente scelta del corretto strumento processuale.

Il Fatto: Dalla Detenzione di Hashish alla Derubricazione

Il procedimento trae origine da una condanna emessa dal Tribunale di Torino, all’esito di un giudizio abbreviato. Un cittadino era stato accusato di detenzione di circa 460 grammi di hashish, reato previsto dall’art. 73, comma 4, del d.P.R. 309/1990.

Tuttavia, il Tribunale ha deciso di derubricare il reato, riqualificandolo nella fattispecie di lieve entità prevista dal comma 5 dello stesso articolo. La ragione di tale scelta risiedeva principalmente in due fattori: la mancata analisi chimica per determinare la quantità di principio attivo (THC) presente nella sostanza e l’assenza di altri indicatori che potessero suggerire una particolare pericolosità della condotta.

L’Impugnazione del Pubblico Ministero e le Sue Ragioni

Il Procuratore della Repubblica, non condividendo la decisione del Tribunale, ha proposto ricorso diretto per cassazione, sollevando diverse obiezioni. In primo luogo, ha sostenuto che il giudice, di fronte all’incertezza sul dato del principio attivo, avrebbe dovuto esercitare i suoi poteri istruttori d’ufficio, disponendo una perizia tecnica.

Inoltre, la pubblica accusa ha evidenziato che:

* Il quantitativo lordo (460 grammi) era comunque di gran lunga superiore ai limiti statistici individuati dalla giurisprudenza.
* Basandosi su dati ufficiali (percentuale media del 25% di principio attivo), dalla sostanza si sarebbero potute ricavare circa 4.580 dosi medie singole.
* La sentenza aveva completamente trascurato i numerosi e specifici precedenti penali dell’imputato.

Sostanzialmente, il PM lamentava una valutazione incompleta e illogica degli elementi a disposizione, che aveva portato a una qualificazione del fatto ingiustificatamente mite.

La Decisione della Cassazione: la Conversione del Ricorso

La Corte di Cassazione, accogliendo le conclusioni del Procuratore Generale, ha stabilito che lo strumento processuale scelto dal PM ricorrente era errato. Il ricorso diretto per cassazione è ammesso solo per violazione di legge, che include la mancanza totale di motivazione, ma non la sua insufficienza, incompletezza o illogicità. Le critiche mosse dal PM, invece, riguardavano proprio un presunto vizio di motivazione, ossia una base probatoria incompleta su cui si fondava la decisione.

Di conseguenza, il rimedio corretto era l’appello, che consente un riesame più ampio del merito della questione. La Corte ha quindi disposto la conversione del ricorso in appello, con trasmissione degli atti alla Corte di Appello di Torino.

Le Motivazioni della Corte Suprema

La Corte ha spiegato che il cuore della doglianza del PM non era una violazione di una norma specifica, ma l’incompletezza del percorso logico-giuridico seguito dal primo giudice. Lamentare il mancato esercizio dei poteri istruttori officiosi si traduce in una critica alla completezza della motivazione. Tale vizio deve essere dedotto dinanzi al giudice d’appello, che ha pieni poteri di cognizione sul fatto.

Inoltre, la sentenza ha ribadito un principio fondamentale: il divieto per il Pubblico Ministero di appellare le sentenze di condanna non si applica quando la decisione modifica il titolo del reato. La fattispecie di lieve entità (art. 73, comma 5) è considerata un’ipotesi di reato autonoma rispetto a quelle previste dai commi 1 e 4. Pertanto, la derubricazione operata dal Tribunale ha legittimato pienamente l’appello del PM.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche per la Procedura Penale

Questa pronuncia consolida due importanti principi procedurali. In primo luogo, chiarisce che le critiche alla completezza e logicità del ragionamento del giudice costituiscono un vizio di motivazione, da far valere tramite l’appello, e non un’ipotesi di violazione di legge che giustifichi il ricorso diretto in Cassazione. In secondo luogo, conferma la piena facoltà per il Pubblico Ministero di proporre appello avverso una sentenza di condanna qualora questa abbia modificato l’originaria imputazione, riqualificando il fatto in un reato diverso e autonomo, seppur meno grave.

Può il Pubblico Ministero impugnare una sentenza di condanna?
In linea generale no, ma la sentenza chiarisce che è possibile quando il giudice modifica il titolo del reato (derubricazione), come nel caso di passaggio da un’ipotesi ordinaria di spaccio a una di lieve entità, poiché quest’ultima è considerata una fattispecie autonoma di reato.

Qual è la differenza tra appello e ricorso per cassazione in questo contesto?
L’appello permette un riesame completo dei fatti e del diritto. Il ricorso per cassazione è limitato alle sole violazioni di legge. Una critica alla motivazione del giudice, come nel caso di una base probatoria ritenuta incompleta, costituisce un “vizio di motivazione” e deve essere contestata con l’appello, non con il ricorso.

Cosa succede se il Pubblico Ministero sceglie il mezzo di impugnazione sbagliato?
Il codice di procedura penale (art. 568, comma 5) prevede il principio della conversione del mezzo di impugnazione. Come avvenuto in questo caso, se l’impugnazione ha i requisiti di un altro gravame, il giudice la qualifica correttamente e la trasmette all’organo competente. Pertanto, il ricorso è stato convertito in appello e inviato alla Corte d’Appello.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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