Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 28546 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 28546 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/03/2025
SENTENZA
Depositua in INDIRIZZO
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOMECOGNOME nato a Frattaminore (Na) il 12 maggio 1971;
COGNOME NOMECOGNOME nato ad Aversa (Ce) il 15 gennaio 1991;
COGNOME NOMECOGNOME nato ad Aversa (Ce) il 25 novembre 1982; NOME nata a Caserta il 23 ottobre 1982;
COGNOME NOMECOGNOME nata a Napoli il 10 giugno 1978;
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COGNOME NOMECOGNOME nato a Caserta il 23 ottobre 1978;
Oggi.
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NOME
avverso la sentenza n. 5794 della Corte di appello di Napoli 14 maggio 2024;
letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e i ricorsi introduttivi;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
sentito il PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa NOME COGNOME il quale ha concluso chiedendo il rigetto di tutti i ricorsi;
sentiti, altresì, per i ricorrenti COGNOME e COGNOME, l’avv. NOME COGNOME del fo di Napoli, e per il ricorrente COGNOME, l’avv. NOME COGNOME del foro di Santa Maria Capua Vetere, i quali hanno insistito per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 3 maggio 2023 il Gup del Tribunale di Napoli, in esito a giudizio celebrato nelle forme del rito abbreviato, ha affermato la penale responsabilità, per quanto ora interessa, di COGNOME COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME, COGNOME Pasquale e COGNOME NOME in ordine ad una numerosa serie di reati loro contestati, aventi ad oggetto – oltre che la partecipazione, con distinti ruoli ripartiti fra i imputati, ad una associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati in materia di stupefacenti – sia reati contro il patrimonio, che in materi di stupefacenti che, infine, in materia di armi, e li aveva pertanto condannati, ritenuta la continuazione fra le varie imputaziont; contestate / ed applicata la diminuente per la scelta del rito, alla pena per ciascuno ritenuta di giustizi avendo, tuttavia, escluso sia la aggravante di cui al comma 3 dell’art. 74 del dPR n. 309 del 1990, cioè la partecipazione di almeno 10 persone alla associazione di cui sopra o di soggetti dediti all’uso di sostanze stupefacenti sia la aggravante della cosiddetta agevolazione mafiosa ex art. 416-bis.1 cod. pen.
Avverso la sentenza del giudice di primo grado hanno interposto appello di fronte alla Corte territoriale sia il rappresentante del Pm, solo co riferimento alla esclusione della ricorrenza della aggravante di cui all’art. 416 bis.1 cod. pen., sia le difese fiduciarie degli imputati dianzi menzionati; va, altresì, precisato che le difese di NOME Pasquale e di NOME hanno proposto anche appello incidentale contestando la fondatezza dell’appello presentato dal Pm.
Nel provvedere in ordine ai mentovati gravami il giudice distrettuale ha, a sua volta, operato una distinzione fra le impugnazioni presentate dalla parte pubblica e quelle presentate dalle parti private.
Ha, infatti, in breve, ritenuto che, essendo la decisione oggetto di impugnazione una sentenza di condanna emessa in esito a giudizio celebrato nelle forme del rito abbreviato, essa, secondo la previsione di cui all’art. 44 comma 3, cod. pen., non era suscettibile di essere impugnata con il mezzo dell’appello da parte del Pm.
Ha, tuttavia, aggiunto la Corte di appello che il ricorso sarebbe stato suscettibile di essere convertito in ricorso per cassazione; a tale riguardo però, ha, altresì, aggiunto che, stante la presenza degli atti di gravam presentati dalle parti private, il ricorso del Pm, convertito, come detto,
ricorso per cassazione, doveva, tuttavia, essere trattato, sia pure in guisa di ricorso di legittimità, di fronte alla Corte di appello stante la previsione di cui all’art. 580 cod. proc. pen., secondo la quale, allorche avverso una medesima sentenza siano proposti mezzi di impugnazione diversi, laddove sussista la connessione di cui all’art. 12 del codice di rito, il ricorso per cassazione si converte in appello.
Avendo ritenuto sussistere le predette condizioni, la Corte di appello ha, pertanto, esaminato il ricorso del Pm e, ritenutane la fondatezza quanto all’aspetto rescindente è, successivamente passata alla fase rescissoria riformando In parte qua la sentenza del Gip ritenendo sussistere in capo agli imputati dianzi ricordati la predetta aggravante della agevolazione mafiosa.
Esaminando a questo punto i gravami presentati dai ricorrenti, la Corte territoriale ha osservato: quanto a NOME COGNOME che lo stesso aveva espressamente rinunziato ai primi 5 motivi di appello da lui originariamente proposti, che sono stati, pertanto, dichiarati inammissibili, mentre i residui motivi da lui proposti, aventi ad oggetto il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ed il ridimensionamento della pena inflitta, erano meritevoli di accoglimento; quanto a COGNOME NOMECOGNOME la Corte territoriale, dato atto della avvenuta rinunzia dei motivi indicati sub 1) e 3) dell’originario ricorso, dichiarati pertanto inammissibili, ha ritenuto non fondati il secondo ed il quarto motivo di ricorso, aventi rispettivamente ad oggetto la commissione di uno dei reati fine e la sussistenza dell’aggravante dell’essere armata la associazione per delinquere oggetto di contestazione così come confermata è stata la ritenuta recidiva; accolti sono stati, invece, i motivi 5) e 7) riferiti agli aumenti di pena per effetto della continuazione ed alle circostanze attenuanti generiche, con conseguente ridimensionamento della sanzione inflitta; quanto ad NOME Assunta anche in questo caso la Corte di appello ha, per prima cosa, rilevato che i motivi di ricorso 1), 2), 3), 4) e 5) erano stati oggetto di rinunzia, sicché gli stessi erano stati dichiarati inammissibili, i restanti motivi 6) e 7), aventi ad oggetto il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ed il contenimento del trattamento sanzionatorio, erano invece stati considerati fondati, con le derivanti conseguenze; quanto a NOMECOGNOME preso atto della rinunzia ai primi quattro motivi di ricorso ed al successivo sesto motivo, la Corte, esaminando il restante motivo n. 5), riguardante la responsabilità del ricorrente quanto al reato a lui contestato sub B) – si tratta di un reato fine della associazione ex art. 74 del dPR n. 309 del 1990 – lo ha ritenuto infondato così come ha ritenuto infondato il successivo motivo di impugnazione n. 7); ha accolto, invece, i motivi di Corte di Cassazione – copia non ufficiale
ricorso afferenti al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche ed al complessivo trattamento sanzionatorio; quanto alla posizione di COGNOME NOME la Corte partenopea, dato atto dell’avvenuta rinunzia ai primi due motivi di impugnazionei ha accolto il motivo relativo alla determinazione del trattamento sanzionatorio che è stato, pertanto, rideterminato in melius; infine, con riferimento alla posizione di COGNOME NOME, il quale aveva, del pari agii altri imputati, rinunziato a taiuni originari motivi di ricorso, in particolar primi quattro da lui formulati, che sono stati dichiarati pertanto inammissibili, questi ha visto accolti i successivi motivi 5) e 6), concernenti le attenuant generiche ed il trattamento sanzionatorio.
Sulla base di tali elementi, pertanto, la Corte di Napoli, come detto in riforma della sentenza emessa dal Gup del Tribunale di Napoli, ritenuta ricorrere la circostanza aggravante della agevolazione mafiosa, ha rideterminato la pena complessiva a carico di NOME NOME in anni 19, mesi 6 e giorni 20 di reclusione; di COGNOME NOME in anni 9 di reclusione; di NOME in anni 9, mesi 2 e giorni 20 di reclusione; di NOME in anni 9 di reclusione; di COGNOME NOME in anni 9, mesi 5 e giorni 10 di reclusione; e di COGNOME NOME in anni 8, mesi 10 e giorni 20 di reclusione.
Avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello hanno interposto ricorso per cassazione i ricordati imputati.
NOME Pasquale ed NOME hanno affidato il loro, congiunto, ricorso a 3 motivi di impugnazione; di questi il primo ha ad oggetto l’errore nella applicazione normativa in cui sarebbe incorsa la Corte di appello; essa, infatti, avrebbe fatto malgoverno degli artt. 580, 443 e 593 cod. proc. pen. allorché ha, dapprima, proceduto alla conversione del ricorso del Pm in ricorso per cassazione, salvo, successivamente, egualmente trattarlo in applicazione della previsione di cui appunto all’art. 580 cod. proc. pen.; rilevano, in sintes i ricorrenti che la Corte di appello avrebbe convertito in ricorso per cassazione l’impugnazione presentata dal Pm sebbene la stessa presentasse tutte e sole le caratteristiche propria della impugnazione di merito, essendo essa stata argomentata sulla base della diversa interpretazione data dal ricorrente al materiale istruttorio, intercettazioni telefoniche e dichiarazioni rese d collaboratori di giustizia, già esaminato dal giudice di primo grado.
Con il secondo motivo di impugnazione i due ricorrenti si sono doluti della affermazione contenuta nella sentenza della Corte territoriale in relazione alla sussistenza degli elementi per ritenere che l’operato della
associazione della quale i medesimi sono risultati essere appartenenti svolgesse la sua attività o con l’intento di agevolare una più ampia consorteria criminosa – il clan COGNOME – ovvero utilizzando il cosiddetto metodo mafioso; ad avviso dei ricorrenti, i quali hanno anche ricordato come la sussistenza della aggravante fosse stata anche esclusa in sede cautelare, non vi erano elementi, né dal punto di vista oggettivo che da quello soggettivo, per potere affermare la ricorrenza della aggravante in questione.
Con il terzo motivo di impugnazione i ricorrenti si sono lagnati della ritenuta carenza di motivazione in punto di determinazione della pena loro inflitta; i ricorrenti (il ricorso parrebbe fare riferimento alla sola NOME, allorché rimanda alla sola posizione della “prevenuta”, ma si ritiene che si tratti senz’altro di un refuso privo di rilevanza) lamentano il fatto c nella determinazione della pena la Corte di appello non abbia svolto alcuna funzione di individualizzazione della stessa alle peculiari responsabilità dei singoli condannati, trascurando di esaminare il profilo personalmente rieducativo della pena che non ne consentirebbe una corretta determinazione se non singolarmente presa in esame la particolare condizione di ciascun condannato.
Anche COGNOME NOME e NOME hanno affidato le loro doglianze ad un unico atto, il quale consta di 5 motivi di ricorso; i primi tr motivi di impugnazione, qui congiuntamente illustrati, concernono il meccanismo attraverso il quale la Corte di appello, pur avendo ritenuto che il ricorso presentato dal Pm fosse inammissibile come ricorso in grado di appello, lo hanno dapprima convertito in ricorso per cassazione e lo hanno poi esaminato ritenendolo come tale ammissibile.
Hanno rilevato i ricorrenti, dopo avere capillarmente ripercorso i principali temi giurisprudenziali esposti al riguardo, come la conversione della impugnazione ai sensi dell’art. 580 cod. proc. pen., possa operare, onde evitare il rischio di contemporanei giudizio diversi aventi ad oggetto il medesimo thema decidendum solo nella ipotesi in cui più parti abbiano proposto diversi mezzi di impugnazione avverso un medesimo provvedimento e si tratti di mezzi di impugnazione ammissibili ove singolarmente intesi; nel caso che interessa, invece, il mezzo proposto era il medesimo (cioè l’appello) ma quello del Pm era, in radice, inammissibile; lo strumento adottato dalla Corte di appello, attraverso la previa conversione dell’appello del Pm in ricorso per cassazione, risulta di fatto costituire una sorta di strumento per aggirare divieto di impugnazione in grado di appello posto a carico del Pm in relazione
alle sentenze emesse in esito a giudizio abbreviato, consentendo, nei fatti, il recupero di un mezzo di impugnazione altrimenti inibito al Pm; i ricorrenti hanno, comunque, segnalato come il ricorso proposto dai Pm consista nella rilettura degli elementi istruttori che avevano condotto il Gup del Tribunale di Napoli ad escludere la applicabilità al caso concreto della aggravante della agevolazione mafiosa; siffatte censure, risolvendosi in un sostanziale travisamento del fatto, non sarebbero state idonee ad introdurre un valido procedimento di fronte alla Corte di cassazione.
Con il quarto motivo di doglianza i due ricorrenti hanno lamentato il malgoverno della disposizione precettiva loro contestate per avere i giudici del merito omesso di esaminare la circostanza materiale, tale da escludere la possibilità di configurare a carico dei due ricorrente:la condotta di detenzione della sostanza stupefacente di cui alla imputazione, che i due soggetti, nel periodo di flagranza del reato in questione si trovavano all’estero, per la precisione in Egitto, e non presso il luogo ove lo stupefacente era custodito.
Infine, con il quinto motivo di impugnazione, i ricorrenti, preso atto della circostanza che la Corte di appello ha ritenuto applicabile la ricordata aggravante del metodo mafioso al solo reato concorsuale, hanno segnalato sia il difetto di motivazione in relazione alla ritenuta ricorrenza della aggravante in questione sia in relazione, in particolare, alla sua riferibilità ai due specifici attuali impugnanti, avendo, in particolare, costoro osservato come, in sede di adozione di misura cautelare, il Gip non avesse accolto la richiesta di misura cautelare in loro danno per il delitto di associazione camorristica.
Il ricorso di COGNOME NOME è articolato attraverso lo sviluppo di tre motivi di impugnazione. Il primo motivo è riferito al ritenuto vizio di violazione di legge e di motivazione in relazione alla esclusione delle circostanze attenuanti generiche siccome prevalenti rispetto alle contestate aggravanti ed alla massima estensione della riduzione del trattamento sanzionatorio da esse derivante; con il secondo motivo di ricorso la ricorrente difesa si è lamentata della mancanza di un’effettiva motivazione a sostegno della confermata responsabilità penale del ricorrente ed infine con il terzo motivo di doglianza la difesa del COGNOME ha lamentato il vizio di motivazione in punto di ritenuta sussistenza della aggravante della agevolazione mafiosa ritenuta anche a carico dei ricorrente.
COGNOME Pasquale ha affidato il proprio ricorso a 5 motivi di impugnazione i quali ricalcano, in maniera quasi testuale per ciò che attiene ai primi tre motivi ed al quinto motivo il ricorso presentato da COGNOME
NOME e da NOME, mentre per ciò che concerne il quarto motivo di impugnazione, con il quale si contesta la motivazione della sentenza con riferimento ai capi di imputazione da B) a G) della rubrica, in esso si sostiene che la responsabilità del COGNOME in relazione ad essi, aventi ad oggetto la detenzione a fine di spaccio di un compendio di sostanza stupefacente e la illecita detenzione, il porto senza autorizzazione e la ricettazione di talune armi, è stata affermata sebbene non vi siano elementi per ritenere che vi sia stata una diretta relazione materiale fra le sostanze e le armi in questione ed il Sangiuolo che, al massimo era consapevole della loro esistenza, mai ne ha avuto alcuna disponibilità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi proposti, solo parzialmente fondati, devono, di conseguenza, essere accolti nei limiti di quanto di ragione.
Fondati sono, infatti, í ricorsi presentati dal ricorrenti COGNOME, COGNOME COGNOME COGNOME ed COGNOME in relazione all’avvenuta riforma della sentenza emessa dal Gup del Tribunale di Napoli, in accoglimento della relativa impugnazione presentata dal locale Procuratore della Repubblica in punto di ricorrenza a carico dei predetti della circostanza aggravante della agevolazione mafiosa, esclusa dal giudice di primo grado ed, invece, ritenuta da quello di secondo grado, appunto in accoglimento della impugnazione del Pm.
Sebbene la questione non fosse stata devoluta all’esame di questa Corte anche dal ricorrente COGNOME – il quale ha sì censurato la sentenza della Corte di appello con riferimento alla ritenuta ricorrenza della aggravante della agevolazione mafiosa ma non con riferimento alla violazione di legge commessa nel ritenere ammissibile il ricorso del Pm a seguito del quale essa è stata dichiarata, ma sotto il diverso profilo della carenza di motivazione della relativa statuizione “di merito” – anche questi – visto il principio espresso dall’art. 587, comma 1, cod. proc. pen. (pacificamente applicabile anche al giudizio svolto di fronte alla Corte di legittimità: Corte di cassazione, Sezione V penale, 16 dicembre 2024, n. 46037, rv 287329; Corte di cassazione, Sezione Il penale, 22 febbraio 2024, n. 7977, rv 286002) ed essendo l’accoglimento sul punto dei ricorsi presentati dai correi non fondato su profili di carattere personale – si giova dell’effetto parzialmente dernolitorio del presente annullamento.
Onde dare conto delle ragioni che hanno condotto, nei limiti dianzi indicati, all’annullamento della sentenza impugnata, giova ripercorrere taluni aspetti rilevanti della vicenda processuale in esito alla quale si è giunti al adozione della attuale decisione.
Con sentenza del 3 maggio 2023, emessa in esito a giudizio celebrato nelle forme del rito abbreviato, il Gup del Tribunale di Napoli ha affermato la penale responsabilità degli imputati ora ricorrenti in relazione alla loro partecipazione, a vario titolo, ad un’associazione per delinquere finalizzata alla commissione di delitti in materia di stupefacenti nonché in relazione a numerosi reati fine, non solo riferiti alla detta materia, realizzati tramite predetta associazione; il Gup confermava l’accusa anche in relazione all’aggravante della disponibilità in capo alla associazione in questione di armi mentre escludeva la ricorrenza sia della aggravante del numero degli associati di cui all’art. 74, comma 3, del dPR n. 309 del 1990 che della cosiddetta agevolazione mafiosa e dell’utilizzo del metodo mafioso, di cui all’art. 416-bisl cod. pen.
Tale decisione, per quel che ora interessa, è stata oggetto di impugnazione da parte del locale Pm, il quale ha presentato appello avverso di essa, limitatamente alla esclusione della ricorrenza della citata aggravante di cui all’art. 416-bis1 cod. pen. in relazione al reato associativo.
Avendo le difese degli imputati contestato la ammissibilità della impugnazione presentata dal Pm, la Corte di appello ha, per un verso, ritenuto che effettivamente la sentenza impugnata fosse inappellabile ed ha, pertanto, ritenuto che l’impugnazione di tale organo dovesse essere convertita nel mezzo ordinario di impugnazione del quale lo stesso si sarebbe dovuto servire, cioè il ricorso per cassazione, ha, per altro verso rilevato che predetto ricorso era stato articolato nei confronti di un provvedimento giurisdizionale a sua volta oggetto, questa volta legittimamente, di gravame.
Pertanto, la Corte di appello ha ritenuto, stante il disposto dell’art. 58 cod. proc. pen., di dovere egualmente trattare l’impugnazione presentata dalla parte pubblica, stante la circostanza che la stessa aveva articolato motivi di ricorso attraverso i quali essa ha lamentato violazione di legge sostanziale e vizi di motivazione, svolgendo, dapprima, una fase eventualmente rescindente del giudizio, onde verificare se i vizi lamentati erano fondati, e, quindi, stant la ritenuta fondatezza di essi, procedendo alla fase rescissoria, in esito alla quale ha ritenuto di riformare la sentenza emessa dal Gup del Tribunale di
Napoli, riconoscendo a carico dei prevenuti la aggravante di cui all’art. 416bis1 cod. pen.
Un tale modus procedendi, seppure corretto nella sua impostazione astratta, è stato, tuttavia, viziato nella sua pratica applicazione, giungendo, pertanto, ad un risultato illegittimo.
Ed invero, come è noto, allorché il giudizio è celebrato nelle forme del rito abbreviato, la possibilità da parte del Pm di impugnare con un secondo grado di merito la sentenza emessa ai sensi dell’art. 442 cod. proc. pen. è soggetta a pesanti limiti chiaramente segnati dall’art. 443, comma 2, cod. proc. pen.
Prevede, infatti, tale disposizione che, in caso di processo celebrato nelle forme del rito abbreviato, il Pm “non può proporre appello contro le sentenze di condanna, salvo che si tratti di sentenza che modifichi il titolo del reato”; poiché nel caso ora in esame il Gup del Tribunale di Napoli aveva bensì dichiarato la penale responsabilità dei partecipanti al sodalizio criminale condannandoli, pertanto, alla pena ritenuta di giustizia per tale reato, la circostanza che egli non avesse ravvisato la sussistenza di un’aggravante, ancorché ad effetto speciale quale è l’aggravante di cui all’art. 416-bis1 cod. pen. – non comportando la modificazione del titolo del reato (evenienza questa che si verifica allorché il giudicante, nel qualificare giuridicamente la condotta contestata all’imputato, la faccia rientrare all’interno di un reato caratterizzato, nelle sue linee essenziali e non solamente in quelle accidentali, da un nomen iuris diverso da quello attribuitogli in sede di imputazione (cfr.: Corte di cassazione, Sezione IV penale, 9 maggio 1997, n. 4244, rv 207918, in fattispecie avente ad oggetto una sentenza pronunziata allorchè la ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, del dPR n. 309 del 1990 costituiva una ipotesi attenuata della ipotesi base) – non era tale da legittimare il potere dì impugnazione in sede di merito del Pm (per un caso, sostanzialmente analogo al presente si veda, infatti: Corte di cassazione, Sezione I penale, 30 novembre 2022, n. 45451, rv 283760, secondo la quale: in tema di giudizio abbreviato, è inammissibile l’appello del Pm proposto avverso la sentenza di condanna che abbia ritenuto insussistente un’aggravante a effetto speciale, in quanto l’art. 593, comma 1, cod. proc. pen., come riformulato dai dlgs n. 11 del 2018, disposizione da ritenersi applicabile ai soli processi celebrati nelle forme ordinarie, nel far, invece, salvi i limiti all’appello previsti dall’art. 443, comma 3, cod. proc. pen., per la ipotesi di processo celebrato secondo il rito Corte di Cassazione – copia non ufficiale
abbreviato, differenzia tale disconoscimento dalle ipotesi di modifica del titolo del reato).
Correttamente, pertanto, la Corte partenopea ha ritenuto inammissibile, in quanto introduttivo di un ordinario giudizio di gravame l’atto di impugnazione presentato dal Pm in data 5 agosto 2023.
Aderendo, tuttavia, ad un prevalente – sebbene non isolatamente contrastato (cfr. infatti: Corte di cassazione, Sezione IV penale, 12 gennaio 2024, n. 1441, rv 285634; Corte di cassazione, Sezione III penale, 16 gennaio 2020, n. 1589, rv 277945; Corte di cassazione, Sezione Il penale, 25 settembre 2018, n. 41510, rv 274246; Corte di cassazione, Sezione III penale, 16 maggio 2018, n. 21640, rv 273149) – orientamento di questa Corte, secondo il quale in tema di impugnazioni, allorché un provvedimento giurisdizionale sia impugnato dalla parte interessata con un mezzo di gravame diverso da quello legislativamente prescritto, il giudice adito, prescindendo da qualunque analisi valutativa in ordine all’indicazione della parte, deve limitarsi, a norma dell’art. 568, comma 5, cod. proc. pen., a verificare l’oggettiva impugnabilità del provvedimento, nonché l’esistenza di una voluntas impugnationís, consistente nell’intento di sottoporre l’atto impugnato a sindacato giurisdizionale e, quindi, a trasmettere gli atti, non necessariamente previa adozione di un atto giurisdizionale, al giudice competente (così: Corte di cassazione, Sezione V penale, 20 novembre 2024, n. 42578, rv 287234, e, fra le altre, nello stesso senso: Corte di cassazione, Sezione I penale, 23 gennaio 2024, n. 3063, rv 285720, ord.; Corte di cassazione, Sezione V penale, 25 agosto 20234, n. 35796, rv 285134; Corte di cassazione, Sezione I penale, 16 dicembre 2022, n. 47750, rv 283858, ord.), la Corte partenopea, previa sua conversione, ha ascritto il ricorso in appello presentato dal Pm alla categoria concettuale del ricorso per cassazione.
A questo punto, però, una ulteriore “complicazione” arricchisce la fattispecie; infatti, avverso la medesima sentenza oggetto della impugnazione del Pm, convertita in ricorso per cassazione, risultano essere stati presentati atti di gravame anche dagli imputati condannati in sede di giudizio di primo grado.
Una tale evenienza storica trova la sua conseguenza giuridica nell’art. 580, cod. proc. pen., in forza del quale, allorché avverso una medesima sentenza, ipotesi ora indubbiamente ricorrente, siano proposti mezzi di
impugnazione diversi, nel caso in cui sussista la connessione ex art. 12 cod. proc. pen., “il ricorso per cassazione si converte in appello”.
Poiché nella presente occorrenza è ravvisabile, quanto meno, la ipotesi di connessione ex art. 12, comma 1, lettera a), cod. proc. pen., atteso che sia la impugnazìone del Pm che quelle dei ricorrenti hanno, anche, ad oggetto un unico reato associativo (oltre ad una serie di reati scopo commessi anche in concorso fra i diversi imputati) commesso da tutti i ricorrenti, ancora correttamente la Corte di appello ha ritenuto di dovere “astrattamente” (ri)convertire in appello l’impugnazione presentata dal Pm; questa, tuttavia, essendo rivolta nei confronti di sentenza inappellabile doveva essere trattata, sia pure di fronte alla Corte di appello, in guisa di ricorso per cassazione, del quale, cioè, essa doveva mutuare, anche in relazione alla sua concreta ammissibilità, tutti gli aspetti contenutistici.
Come, infatti, ha limpidamente chiarito questa Corte, in tema di giudizio abbreviato, il ricorso per cassazione proposto dal Pm avverso la sentenza di condanna e convertito in appello in applicazione dell’art. 580 cod. proc. pen., conserva la propria natura di impugnazione di legittimità, onde la Corte di appello deve sindacarne l’anrimissibilità secondo i parametri di cui all’art. 606 cod. proc. pen. ed i suoi poteri di cognizione sono limitati alle censure di legittimità; tuttavia, una volta concluso positivamente il giudizio rescindente, il giudice d’appello riprende la propria funzione di giudice del merito e può adottare le statuizioni conseguenti alla formulazione del giudizio rescissorio devolutogli (Corte di cassazione, Sezione II penale, 29 luglio 2019, n. 34487, rv 276739; Corte di cassazione, Sezione III penale, 3 ottobre 2018, n. 43649, rv 274416; Corte di cassazione, Sezione I penale, 3 dicembre 2016, n. 55359, rv 269041).
Ed è proprio qui che si annida il vizio che, in relazione all’avvenuta riforma della sentenza di primo grado in ordine alla sussistenza della aggravante della agevolazione mafiosa, mina la legittimità della sentenza emessa dalla Corte partenopea; questa, infatti, ha ritenuto di dovere ammettere (e poi accogliere) il ricorso del Pm, sebbene questo fosse articolato sulla base di motivi di impugnazione che ne avrebbero dovuto determinare, essendo lo stesso scrutínabile alla stregua di un ricorso in sede di legittimità, la inammissibilità.
Invero il ricorrente COGNOME ha sviluppato il suo ricorso (che, giova ricordare, era stato dal medesimo erroneamente concepito come un ricorso in grado di appello) attraverso il tentativo di sollecitare la Corte di appello alla
rivalutazione critica dell’esame compiuto dal Gup partenopeo del materiale probatorio intercettivo acquisito in atti; in tale senso sono significativi i passaggi del ricorso da quello presentato nei quale egli evidenzia i contenuti di talune conversazioni intervenute fra NOME COGNOME e tale COGNOME NOMECOGNOME individuo legato, anche per ragioni di stretta parentela, con i vertici del sodalizio criminoso guidato da tale COGNOME NOME e, in termini sostanzialmente paradigmatici, i contenuti di una conversazione fra presenti avvenuta all’interno della abitazione del Landolfo fra questo, COGNOME NOME e NOME; da tale conversazione, oltre che da altre non espressamente riportate dal ricorrente, emergerebbe A ad avviso di quest’ultimo / la “metodologia tipicamente camorristica che connota tutti i reati ascritti agli imputati” a partire da quello associativo, e ciò, si osserva, “a differenza di quanto ritenuto dal Gup”.
E’, pertanto, evidente che, attraverso la propria impugnazione il Pm ha inteso criticare la “valutazione” del materiale intercettivo operata dal giudice di primo grado.
Una tale operazione – cui la Corte di appello si è pienamente prestata, ove si analizzi il contenuto della sentenza da questa emessa, avendo la Corte riesaminato il contenuto del materiale probatorio, senza avere prima valutato se lo scrutinio che di esso aveva fatto il Gup rispondesse o meno ad elementari criteri di logicità – che sarebbe stata pienamente legittima se fosse stata sollecitata di fronte ai giudici del merito, è, però, inibita ove la stessa debba essere svolta di fronte ai giudici della legittimità o, comunque, nella ipotesi in cui essa debba essere eseguita, come nel presente caso, utilizzando i metodi critici propri del giudizio di legittimità (ancorché, come si è visto, la loro applicazione, data la singolare peculiarità della fattispecie, debba avvenire innanzi ai giudici della Corte di appello).
Questa Corte ha, infatti, in svariate occasioni avuto modo di precisare che è inammissibile il ricorso per cassazione che, offrendo al giudice di legittimità frammenti probatori o indiziari, solleciti quest’ultimo ad una rivalutazione o ad una diretta interpretazione degli stessi, anziché al controllo sulle modalità con le quali tali elementi sono stati raccolti e sulla coerenza logica della interpretazione che ne è stata fornita (Corte di cassazione, Sezione V penale, 26 luglio 2019, n. 34149, rv 276566; Conte di cassazione, Sezione V penale, 16 dicembre 2012, n. 444992, rv 253774); in particolare è stato osservato, con argomentazioni che qui si intendono pienamente condivise, che In materia di captazioni, costituisce questione di fatto, rimessa
all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifest illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Corte di cassazione, Sezione III penale, 6 dicembre 2021, n. 44938, rv 282337), metodica questa che il ricorrente non ha neppure specificamente prospettato e che, in ogni caso, la Corte partenopea non ha impiegato.
Traendo le fila della illustrazione che precede deve, conclusivamente, osservarsi che ha errato la Corte di appello di Napoli nel ritenere ammissibile, in quanto la stessa – per le ragioni dianzi esposte – deve essere valutata all stregua di un ricorso in sede di legittimità, la impugnazione presentata dal Pm di Napoli e, pertanto, la sentenza, censurata sul punto dalle difese d COGNOME, COGNOME COGNOME COGNOME ed COGNOME, deve essere annullata senza rinvio (dovendosi ritenere non sussistere alcuna legittima impugnazione sul punto afferente alla esclusione della aggravante di cui all’art. 416-bis cod. pen. disposta dal giudice di primo grado) con le derivanti conseguenze a livello di trattamento sanzionatorio.
Come già accennato dell’accoglimento del ricorso dei suoi correi si giova anche il ricorrente COGNOME – che pure non aveva impugnato sotto lo specifico profilo ora trattato la sentenza del giudice di secondo grado – ai sensi dell’ar 587, comma 1, cod. proc. pen. essendo esso all’evidenza fondato non su ragioni personali che non siano estensibili anche in favore del ricorrente de quo nunc agitur.
Venendo, invece, ai restanti motivi d’impugnazione presentati dai ricorrenti, deve rilevarsi che gli stessi sono o direttamente inammissibili o comunque lo sono in quanto manifestamente infondati.
Ed invero, prendendo le mosse proprio dalla impugnazione del COGNOME si osserva che dei tre profili in essa trattati, il terzo, afferente al vi motivazione in punto di ricorrenza della aggravante di cui all’art. 416-bisl cod. pen., deve intendersi assorbito dal precedente annullamento senza rinvio disposto da questa Corte limitatamente a tale profilo della sentenza emessa dalla Corte di merito; il primo motivo di ricorso è connesso al ritenuto vizio di violazione di legge e di motivazione per avere la Corte territoriale ritenuto le pur riconosciute, circostanze attenuanti generiche non prevalenti sulle contestate aggravanti e non nella loro massima estensione, -si tratta di doglianza priva di sostanziale pregio, avendo i giudici del merito giustificato, per un verso, il riconoscimento delle predette circostanze sulla base
dell’accettazione della celebrazione del giudizio allo stato degli atti (scelta questa già caratterizzata da una spiccata longanimità giudiziaria, ove si consideri che la opzione per il giudizio secondo le forme del rito abbreviato è, di per sé, fonte di un beneficio sanzionatorio e, secondo la prevalente giurisprudenza, non giustifica altre riduzioni di pena . Corte di cassazione, Sezione III penale, 15 novembre 2019, n. 46463, rv 277271) ed in funzione dell’avvenuta rinunzia ad altri motivi di gravame, e per non avere il ricorrente indicato, in tale modo omettendo di soddisfare l’onere di specificità del ricorso, le ragioni per le quali, invece, le attenuanti generiche sarebbero dovute essere considerate prevalenti rispetto alla contestata aggravante.
Quanto al successivo motivo di censura riferito alla carenza di motivazione in relazione alla affermazione della responsabilità del prevenuto, si tratta di motivo inammissibile in quanto, per come emerge dalla sentenza censurata, il ricorrente aveva espressamente rinunziato ai motivi di ricorso inerenti alla affermazione della sua responsabilità.
Con un ricorso congiuntamente proposto NOME COGNOME e NOME hanno affidato le loro lagnanze a tre motivi; quanto al primo motivo, legato &Vermi jurís connesso alla valutazione del ricorso del Pnn già si è detto; il secondo motivo, riferito alla motivazione con la quale è stata affermata la ricorrenza della aggravante del metodo mafioso, l’accoglimento del precedente motivo di carattere processuale, rende irrilevante lo scrutinio del motivo ora in esame; infine, quanto al successivo motivo, afferente alla determinazione della pena loro inflitta (si ribadisce che il riferimento alla sola posizione della “prevenuta” – quindi della COGNOME – è frutto solo di un “trascorso di digitazione” e non vale, quindi, a limitare sola a questa il motivo di impugnazione), l’avvenuto contenimento della pena entro il medio edittale, rende manifestamente infondata la doglianza, essendo in tali casi, sotto il profilo motivazionale, sufficiente il riferimento alla adeguata congruità della pena stessa.
Anche COGNOME NOME e NOME hanno affidato le loro doglianze ad un unico atto, comune, di impugnazione, nel quale sono state articolate 5 ragioni di censura.
I primi tre motivi, concernenti il meccanismo attraverso il quale la Corte di appello, pur avendo ritenuto che il ricorso presentato dal Pm fosse inammissibile come ricorso in appello, lo ha, dapprima, convertito in ricorso per cassazione e lo ha poi esaminato ritenendolo ammissibile ed anche fondato, già sono stati, in sostanza trattati, allorché è stata esaminata ed
annullata sotto tale profilo la sentenza della Corte di merito, devono intendersi già tutti e tre, vantaggiosamente per i ricorrenti, esaminati e definiti.
In relazione al quarto motivo, diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti, correttamente i giudici del merito hanno ritenuto circostanza irrilevante il fatto che, al momento in cui, in data 8 marzo 2023, è stato eseguito il sequestro di sostanza stupefacente in Frattaminore, i due ricorrenti si trovavano all’estero, atteso che la disponibilità della sostanza stupefacente, risalente ad un momento anteriore all’avvenuto sequestro, era stata dimostrata sulla base di diversi plausibili indici, non sindacabili in sede di legittimità, ascrivibile anche ai due predetti ricorrenti.
Infine, il quinto motivo di impugnazione, riferito alla ricorrenza della aggravante del metodo camorristico, è assorbito, come già dianzi rilevato quanto ad altri ricorrenti, dall’avvenuto accoglimento dei motivi di ricorso aventi carattere processuaie riguardanti la inammissibilità della impugnazione della pubblica accusa.
Da ultimo, esaminando il ricorso di COGNOME Pasquale, si rileva che i primi 3 dei 5 motivi di cui esso si compone sono sovrapponibili ai primi tre motivi del ricorso redatto nell’interesse di COGNOME e COGNOME e, pertanto, ne condividono il favorevole destino; parimenti il quinto motivo è identico al quinto motivo del ricorso immediatamente prima esaminato e, pertanto, anche in questo caso lo stesso deve ritenersi assorbito.
Venendo all’esame del restante quarto motivo di ricorso, relativo alla motivazione della sentenza impugnata quanto all’avvenuta conferma della sua penale responsabilità in relazione ai reati di cui ai punti da 8) e G) del capo di imputazione, si osserva che lo stesso è inammissibile, posto che il ricorrente aveva espressamente rinunziato ai motivi di appello il cui oggetto era concernente appunto la affermazione della sua penale responsabilità in ordine ai reati dianzi ricordati.
Sintetizzando, quindi i contenuti della presente decisione, deve concludersi che la sentenza impugnata, in parziale accoglimento dei ricorsi presentati dai ricorrenti, eccettuato il COGNOME (di cui si è, peraltro, già detto quanto al riverberarsi anche su di lui degli effetti dell’annullamento), deve essere annullata, senza rinvio, quanto alla affermata ricorrenza della aggravante di cui all’art. 416-bisl cod. pen., mentre vanno dichiarati inammissibili i restanti motivi di ricorso formulati dai singoli ricorrenti.
Quale conseguenza dell’avvenuto annullamento senza rinvio della statuizione relativa alla ricordata circostanza aggravante, è conclusivamente
necessario depurare la sanzione inflitta ai singoli ricorrenti (ivi compreso il
COGNOME, a cagione del già più volte ricordato fenomeno della estensione degli effetti della impugnazione penale) dal portato, in punto di determinazione
della pena, della ritenuta ricorrenza della detta aggravante.
Va, peraltro, osservato che, essendo stata la circostanza in questione applicata dalla Corte di merito solamente in relazione al reato di associazione
per delinquere finalizzato alla commissione di reati in materia di stupefacente, la sua eliminazione non è tale da determinare conseguenze anche in ordine
alla entità degli aumenti di pena derivanti dalla rilevata continuazione del reato associativo con i reati satelliti (essendo questi non incisi dall’avvenuta
esclusione della aggravante).
Le sanzioni penali cui sottoporre i ricorrenti vanno, pertanto, rideterminate come segue: nei confronti di COGNOME NOME e NOME
NOME in anni 6, mesi 9 e giorni 10 di reclusione, nei confronti di NOME NOME in anni 14, mesi 10 e giorni 20 di reclusione, nei confronti di NOME in anni 7 di reclusione, nei confronti di COGNOME NOME in anni 7, mesi 2 e giorni 20 di reclusione e nei confronti di COGNOME NOME in anni 6 e mesi 8 di reclusione.
Nel resto i ricorsi vanno, invece, dichiarati inammissibili.
PQM
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. e ridetermina per l’effetto la pena nei confronti di COGNOME NOME e NOME NOME in anni 6, mesi 9 e giorni 10 di reclusione, nei confronti di NOME NOME in anni 14, mesi 10 e giorni 20 di reclusione, nei confronti di NOME in anni 7 di reclusione, nei confronti di COGNOME NOME in anni 7, mesi 2 e giorni 20 di reclusione e nei confronti di COGNOME NOME in anni 6 e mesi 8 di reclusione.
Dichiara inammissibili nel resto i ricorsi.
Così deciso in Roma, il 11 marzo 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente