Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 27654 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 27654 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 30/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Milano il 22-11-1978, avverso la sentenza del 10-09-2024 della Corte di appello di Milano; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni rassegnate dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del l’11 gennaio 2022, il G.U.P. del Tribunale di Milano condannava NOME COGNOME alla pena, condizionalmente sospesa, di anni 2 di reclusione, in quanto ritenuto colpevole del reato ex art. 110 e 452 quaterdecies cod. pen., a lui contestato per avere concorso, nella sua veste di amministratore di diritto e/o comunque di fatto delle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, nella gestione abusiva di ingenti quantitativi di rifiuti provenienti dalle attività di costruzione e di demolizione edilizie, conferendo almeno 2.225 tonnellate di rifiuti, ciò al fine di trarne profitto; fatti commessi in Nerviano, Buccinasco e Zibido San Giacomo fino al 5 maggio 2021.
Con la medesima pronuncia, il G.U.P. escludeva la contestata aggravante di cui all’art. 416 bis 1 cod. pen., disponeva la confisca dei beni in sequestro e rigettava la domanda di risarcimento dei danni avanzata dal Comune di Zibido San Giacomo.
Con sentenza del 10 settembre 2024, la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della decisione di primo grado, appellata sia dall’imputato che dal P.M. e dalla parte civile, riteneva sussistente la contestata aggravante di cui all’art. 416 bis 1 cod. pen. e, per l’effetto, rideterminava la pena in anni 2 e mesi 10 di reclusione, escludendo la sospensione condizionale della pena, applicando le pene accessorie di legge e ordinando all’imputato di ripristinare lo stato dell’ambiente .
Avverso la sentenza della Corte di appello meneghina, COGNOME tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando tre motivi.
Con il primo motivo, è stata eccepita l ‘inosserv anza degli art. 443, comma 3, 568 comma 1, 591, comma 1, lett. b) e commi 2 e 4, e 593, comma 1, cod. proc. pen., evidenziandosi che tali norme non consentono al P.M. di proporre appello avverso le sentenze di condanna emesse all’esito di rito abbreviato, in assenza di una modificazione del titolo di reato, che nel caso di specie non vi è stata, avendo il primo giudice solamente escluso un’aggravante, per cui l’appello del P.M. doveva essere ritenuto inammissibile e neppure convertibile in ricorso per cassazione, non denunciando l’impugnazione vizi di legittimità . Dalla originaria inammissibilità dell’appello del P.M. discenderebbe quindi l’integrale reviviscenza di tutte le statuizioni a carico dell’imputato contenut e nella sentenza del G.U.P.
Con il secondo motivo, si contesta, sotto il duplice profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione, il giudizio sulla sussistenza dell ‘ aggravante dell’agevolazione mafiosa di cui all’art. 416 bis 1 cod. pen., osservandosi che la Corte di appello si è limitata a utilizzare l’argomento della spendita da parte dell’imputato del nome del padre NOME COGNOME condannato per il delitto ex art. 416 bis cod. pen., senza approfondire l’esistenza e l’attualità del sodalizio e senza motivare rispetto all’esistenza di una concreta finalità agevolatrice .
Né si è considerato che alcuna contestazione concorsuale è stata elevata in questo giudizio a carico di NOME COGNOME padre dell’imputato, sebbene questi, secondo la ricostruzione del P.M. e della Corte di appello, sia stato considerato il vero dominus delle società e delle operazioni gestite dal figlio, non essendovi peraltro nella condotta contestata alcun riferimento, neppure indiretto, alla vicenda della protezione dei cantieri di Forastieri, vicenda in alcun modo correlata ai fatti di causa. A ciò si aggiunge che la Corte di appello non ha tenuto conto del fatto che, nel procedimento cd. ‘Mensa dei poveri’, relativo a fatti connessi a quelli di causa, è stata esclusa, con una pronuncia non impugnata sul punto, l’aggravante dell’agevolazione mafiosa contestata a carico di NOME COGNOME, che era in affari con COGNOME per la gestione dei rifiuti provenienti dai cantieri.
Il terzo motivo, infine, è ancora dedicato al giudizio sulla contestata aggravante di cui all’art. 416 bis 1 cod. pen., evidenziandosi che, a tutto concedere, il reato sarebbe stato commesso dall’imputato solo per favorire il nucleo familiare di appartenenza, i COGNOME appunto, e non la cosca di ‘ndrangheta di Corsico, il che parimenti porterebbe all’esclusione dell’aggravante de qua , posto che quella dei COGNOME non è una famiglia di ‘ndrangheta, né appartiene ad alcuna ‘ndrina locale, riferendosi la condanna del padre del ricorrente a fatti risalenti al lontano 2007.
Il fine che ha contraddistinto la condotta dell’imputato è stato dunque egoistico e personale e non diretto al perseguimento dei fini di una cosca locale, alla quale erano del resto estranei sia NOME COGNOME soggetto incensurato, sia il padre COGNOME nei confronti del quale peraltro il Tribunale di Milano, Sezione Misure di Prevenzione, con provvedimento del novembre 2024, ha rigettato la richiesta di applicazione di misura di prevenzione, essendo stata attestata dai Carabinieri l’assenza di collegamenti attuali del predetto con la criminalità organizzata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
È fondato e assorbente il primo motivo di ricorso.
1. In via preliminare deve osservarsi che, come correttamente rilevato anche dal Procuratore generale nella sua requisitoria scritta, questa Corte (cfr. Sez. 1, n. 45451 del 14/09/2022, Rv. 283760) ha affermato il principio, condiviso dal Collegio, secondo cui, in tema di giudizio abbreviato, è inammissibile l ‘ appello del pubblico ministero proposto avverso la sentenza di condanna che abbia ritenuto insussistente un ‘ aggravante a effetto speciale, in quanto l ‘ art. 593, comma 1, cod. proc. pen., come riformulato dal d. lgs. 6 febbraio 2018, n. 11, nel far salvi i limiti all ‘ appello previsti dall ‘ art. 443, comma 3, cod. proc. pen., differenzia tale disconoscimento dalle ipotesi di modifica del titolo del reato.
Si è in particolare osservato che il citato art. 593, comma 1, come modificato, prevede che il pubblico ministero possa appellare contro le sentenze di condanna pronunziate nei giudizi diversi dall ‘abbreviato, dall’applicazione di pena a richiesta, o aventi ad oggetto misure di sicurezza, per le quali valgono i limiti rispettivamente previsti dagli art. 443, comma 3, 448, comma 2, 579 e 680 cod. proc. pen., ‘ solo quando modificano il titolo del reato o escludono la sussistenza di una circostanza aggravante ad effetto speciale o stabiliscono una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato ‘. L’ipotesi dell’esclusione dell’aggravante a effetto speciale è stata esplicitamente differenziata da quella della modifica del titolo del reato sul presupposto, ritenuto rilevante ai fini della legittimazione all’appello, che si tratti di pronunce diverse e, come tali, sottoposte a diversi limiti. Non è quindi più possibile includere nel genus ‘sentenze che modificano il titolo del reato’ anche la species delle sen tenze che ‘escludono la sussistenza di una circostanza aggravante ad effetto speciale’. Pertanto, il legislatore, individuando diverse categorie di sentenze appellabili dal pubblico ministero a seconda del rito prescelto, ordinario o abbreviato, intende chiaramente configurare un potere di impugnazione dell’accusa più limitato ove abbia ad o ggetto le pronunce emesse nel rito speciale al fine rendere quest’ultimo, in un’ottica deflattiva, più conveniente per l’imputato, anche sotto questo profilo. Solo nel rito ordinario, dunque, il pubblico ministero può proporre appello conto le sentenze che escludono la sussistenza di circostanze aggravanti ad effetto speciale e cioè di quelle circostanze che importano un aumento della pena superiore a un terzo (art. 63, comma 3, cod. proc. pen.) o l’irrogazione di una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato. Peraltro, la nuova normativa ha superato il controllo di costituzionalità da parte della Consulta, che ne ha escluso l’irragionevolezza, evidenziando che l’impugnazione del pubblico ministero non è giuridicamente connessa al principio di obbligatorietà dell ‘ azione penale e che, diversamente dall ‘ impugnazione dell ‘ imputato, proiezione del suo inviolabile diritto di difesa, ex art. 24 Cost., essa si presenta pertanto più flessibile nel contrasto con altri valori di pari rango, come, ad esempio, il principio della ragionevole durata del processo (Corte cost., sent. n. 34 del 26/2/2020).
1.1. Alla stregua di tale premessa interpretativa, deve quindi ritenersi che la Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare inammissibile l’appello del P.M., avendo lo stesso ad oggetto soltanto il mancato riconoscimento dell’ aggravante a effetto speciale di cui all’ art. 416 bis .1 cod. pen., aggravante che era stata invece esclusa dal primo giudizio all’esito del rito abbreviato scelto dall’imputato. Né può sostenersi che l’appello del P.M. potesse essere convertito in ricorso per cassazione, posto che l’impugnazione, come si evince dalla sua lettura, conteneva principalmente censure in fatto, correlate a una differente lettura del materiale probatorio, profilo questo che esula dal perimetro del giudizio di legittimità
Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio in relazione all a ritenuta sussistenza dell’ aggravante ex art. 416 bis .1 cod. pen., da ciò discendendo l’integrale reviviscenza di tutte le statuizioni contenute nella sentenza del G.U.P. del Tribunale di Milano resa in data 11 gennaio 2022.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata in relazione all’aggravante di cui all’art. 416 bis .1 cod. pen.
Così deciso il 30.04.2025